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Teorie complottiste, fondi di verità e fondi di caffè: perché credere alle cospirazioni ci viene facile

Teorie complottiste, fondi di verità e fondi di caffè: perché credere alle cospirazioni ci viene facile

  • Una teoria complottista è una credenza che dei gruppi agiscano in maniera occulta con fini propri e solitamente malevoli
  • Nasce spesso in situazioni complesse che non sono facili da spiegare
  • Soddisfa il nostro bisogno di comprendere e controllare il caos
teorie complottiste

Le teorie complottiste fioriscono. Certo, viviamo in un’epoca di post-verità. Lo sappiamo e abbiamo trovato il modo di conviverci: c’è chi l’abbraccia e c’è chi la combatte a colpi di debunking. Per ogni bufala spiegata ci sono due teorie complottiste che nascono e che sembrano sufficientemente solide.

O forse solide non proprio, ma logiche.
Perché è questa la caratteristica principale di una buona teoria complottista: deve essere in grado di individuare delle relazioni, anche improbabili, tra elementi disgiunti.

Il complotto è sempre sistemico perché si oppone al caos

Quando ci troviamo di fronte a delle situazioni più grandi di noi, caotiche e difficili da comprendere, è normale cercare delle spiegazioni. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci aiuti a connettere i puntini. Una teoria della conspirazione fa esattamente questo: ci fornisce la spiegazione di come le cose siano (o potrebbe essere) in relazione tra loro.

Ma perché non ci siamo arrivati da soli?
Il suggerimento delle teorie complottiste è che le cause sono state occultate, per malafede o malgoverno. Facile quindi non averle notate.

Un esempio: ieri pomeriggio ho montato un armadio modulare per la cantina, le cui istruzioni erano state disegnate con lo scopino del cesso. Mi è sembrato quindi normale che alla fine avanzassero tre connettori e quattro tubi; e che lo scaffale fosse sostanzialemnte più basso di quello che avevo previsto.

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Come sono arrivato a questa conclusione? Ho aperto la scatola, sono saltati fuori 200 pezzi organizzati alla carlona, le istruzioni erano stampate male e sapevo di averlo comprato online a basso prezzo.

La più logica spiegazione è che la ditta aveva fatto male il proprio lavoro: giustificava i pezzi in più e confermava il mio pregiudizio. Invece avevo sbagliato a montarlo io.

È quello che gli psicologi chiamano «bias di conferma».

Abbiamo bisogno di conferme

Il fenomeno è semplice: noi esseri umani tendiamo a sentirci a nostro agio nell’ambito delle nostre convinzioni acquisite. I complotti vanno in questo senso.

In passato ho montato dei mobili con successo; mi considero una persona intelligente; il prodotto che ho acquistato è di scarsa qualità = è «normale» che rimangano dei pezzi e che sia più basso del previsto (per la cronaca: mancava un piano, e me ne sono accorto quando ho cercato di mettere la copertura che era molto più lunga della struttura che avevo montato).

Insomma, quando succedono delle cose che ci confondono o non ci piacciono, la soluzione più semplice è quella di credere che qualcuno ci abbia intenzionalmente nascosto delle informazioni. Oppure che quelle stesse informazioni siano errate a causa di persone incompetenti o in malafede.

Un esempio lampante: il Presidente Conte e la gestione della pandemia. Punto. Ho detto tutto.

Ai complotti ci credono soprattutto i «perdenti»

Ho citato la gestione della pandemia da parte di Giuseppe Conte proprio perché è stato il punto di partenza di questa mia riflessione.

Stamattina, scorrendo il mio feed di LinkedIn, sono caduto su una discussione di stampo complottista. La teoria, in modo sommario, era questa:

Il Covid-19 è tutta una montatura per sottrarci le nostre libertà, sia individuali che collettive, come Paese. I cosiddetti «tamponi» non sono altro che un sistema organizzato per inoculare il virus in persone sane.
Non è un caso se i Paesi più colpiti sono la Gran Bretagna (punita per la Brexit) e l’Italia, da anni nel mirino dell’egemonia tedesca.
L’intenzione di mettere in ginocchio economicamente l’Italia è chiara: lo prova il fatto che la regione più colpita sia stata la Lombardia, notoriamente il motore economico del Paese. Le Regioni con il minor impatto sul PIL nazionale sono state quelle meno colpite: ad esempio, la Basilicata ha registrato solo 26 decessi.

Stendendo un pietoso velo sui contenuti, ho notato che le reazioni in generale si spaccavano in due, corrispondenti a due aree politiche contrapposte.
Perché?

A mente fredda, senza cadere cioè nei giochini di faziosità politica, la spiegazione mi sembra ovvia: c’è un gruppo «vincente», quello vicino al Presidente Conte e al suo Governo; e c’è un gruppo «perdente», rappresentato sia da chi non è al Governo sia dalle persone che non hanno esercitato il loro diritto di voto.

Le teorie complottiste permettono di dare una identità a chi è escluso dal potere, rendendolo un gruppo attivo di opposizione. Ci si sente meglio con se stessi quando si pensa di fare qualcosa di utile, smascherando le atrocità degli «altri» (chiunque essi siano). In qualche maniera, diventiamo gli eroi della storia, mentre gli «altri», i «nemici», cospirano contro di noi e il bene comune.

Il meccanismo funziona ancora meglio quando, oltre a sentirmi dalla parte «perdente» dello scacchiere politico, vivo sulla mia pelle i disagi delle decisioni prese dai nemici (ad esempio sono disoccupato, o non posso vedere il mio fidanzato che vive all’estero).

È sempre utile avere un nemico da accusare

La ciliegina sulla torta consiste nel rinforzo dei pregiudizi che posso già nutrire nei confronti dei gruppi che ho identificato come nemici. Che ne so: gli africani fancazzisti, gli stranieri che ci rubano donne e lavoro, i virologi che si credono tanto intelligenti solo perché hanno due dottorati mentre io ho la terza media.

E a proposito di istruzione: personalmente credo poco alla narrativa del sinistroide progressista e del destroide retrogrado. E credo ancora meno alla componente puramente educazionale. In parole povere: non penso che chi crede alle teorie complottiste sia più stupido di uno che le «debunka».

Questa mia osservazione è puramente empirica: ci sono troppe persone istruite che ci credono. È vero che istruzione non rima con intelligenza, tuttavia il fatto di aver superato tutta una serie di soglie qualificative, giungendo ad esempio a una laurea, dovrebbe garantire l’utilizzo degli strumenti critici di base.

A mio avviso, è piuttosto una questione di competenze. Competenze intese proprio come soft skills, come nella pratica manageriale.

Avere il controllo ci rende meno creduloni

Abbiamo visto che le persone tendono a credere a teorie che forniscono delle spiegazioni a fatti ed eventi caotici, difficili da capire o da accettare.
Traslando questa attitudine in azienda, la competenza in questione è subito chiara: si tratta di una bassa tolleranza all’incertezza.

Una delle caratteristiche dei manager che non gestiscono bene l’incertezza è che hanno bisogno di esercitare controllo su ciò che (e su chi) li circonda.
In questo ambito, secondo la mia esperienza, le persone si dividono in due gruppi:

  1. quelle proattive, convinte di avere il potere di fare ciò che vogliono del loro destino;
  2. e quelle preventive, che cercano invece di proteggere ciò che hanno, piuttosto di immaginarsi proiettate nel futuro.

Le ricerche mostrano che le persone proattive tendono ad essere più scettiche nei confronti delle teorie complottiste. Non faccio fatica a crederlo: chi ha una mentalità positiva e proattiva tende a sentirsi meno in balia degli eventi. Anzi: nei momenti di difficoltà reagisce in maniera risoluta.

Penso che il senso di autonomia e il fatto di non aver paura di perdere ciò che si ha possa contribuire a sentire meno la necessità di cercare teorie che spieghino, giusitifichino e quindi rendano il caos più gestibile.

Una questione culturale?

Ma quindi perché in Italia le teorie del complotto spopolano, mentre in altri Paesi, come la Svizzera, sembrano ininfluenti?

Nel suo libro Democracy of Truth, la storica Sophia Rosenfeld scrive che, a suo avviso, le teorie complottiste hanno più successo nelle società che presentano un divario importante tra la classe che governa e la classe governata.

È un’intuizione interessante: in Svizzera, i politici sono di milizia, non sono dei professionisti; mentre in Italia parliamo dei politici (che governano) come della «Casta». Più barriere e gradi di separazione di così, è difficile averne.

Queste condizioni, sempre secondo Sophia Rosenfeld, fanno sentire in diritto le persone di rifiutare le opinioni degli esperti, in quanto troppo distanti dalla gente comune. In qualche modo si viene a creare quella che definisce una «epistemiologia populista» che è fortemente associata a un cultura dell’essere contro.

Se ci pensiamo, il Movimento 5 Stelle ha costruito il suo successo politico su questa continua opposizione, ma ora si trova al Governo. Da gestire è una situazione schizofrenica. Infatti sentiamo spesso, nei pettegolezzi sui malumori in seno al M5S, di una «base» che si ribella al «capo politico»: si riproduce quindi anche all’interno del movimento stesso il modello basato sul binomio «gente comune» vs «casta».

Il ruolo dell’approccio scientifico…

Rosenfeld nota che i populisti «tendono a rifiutare la scienza e i suoi metodi in quanto fonte di direttive», preferendo invece «onestà emotiva, intuizione e verità del cuore piuttosto che la veridicità arida e fattuale» del metodo scientifico (la traduzione è mia).

Non credo che questo significhi che i complottisti siano da bollare come irrazionali. Anzi: come abbiamo visto, danno spesso delle solide spiegazioni sistemiche. Il problema di base è che queste spiegazioni sono il più delle volte partorite da persone che cercano di dare un senso a una realtà opprimente, utilizzando informazioni che sono esclusivamente basate sui valori personali, su delle prove facilmente reperibili (e comprensibili), in linea con le proprie esperienze e sostenute delle persone di cui si fidano.

Un po’ come ho fatto io in questo articolo: ho utilizzato dei pezzetti di ricerca scientifica, ordinandoli in modo che dessero senso e credibilità alle mie intuizioni. Senza intenzione di nuocere, anzi: con l’intento di rendere più comprensibile un fenomeno complesso, che è quello appunto del fiorire delle teorie complottiste (e del fatto che molti ci credono).

Ma questo è il risultato della mia formazione «umanista».

…e il ruolo dell’umanesimo

Le discipline cosiddette umaniste hanno proprio l’obiettivo di rinforzare gli strumenti che permettono di interpretare i testi, i fenomeni e, in ultima istanza, la realtà.

Da questo punto di vista, possiamo effettivamente parlare di educazione, nel senso che le persone che hanno avuto la possibilità di sviluppare degli strumenti di conoscenza personale, politica e sociale avranno meno paura dell’incertezza, avranno maggiore fiducia nei propri mezzi di costruire il futuro e, di conseguenza, abboccheranno meno facilmente agli specchietti per allodole che sono le teorie complottiste.

Il paradosso è che il metodo scientifico tende a volte a sminuire l’efficacia degli strumenti umanisti, che invece sono alla base dello sviluppo stesso delle scienze.

Confusi e felici

Uno degli aspetti di cui si è parlato maggiormente all’inizio della pandemia è stato che, una volta superata l’emergenza, avremmo dovuto chiedere i conti a chi ha contribuito alla sua diffusione. Gli esperti che dicevano che si trattava di un semplice raffreddore, gli economisti che negavano la necessità di andare in lockdown ma anche i politici che facevano l’aperitivo con selfie di gruppo perché #milanononsiferma.

Questo discorso è sparito, soppiantato da discussioni a volte utili a volte meno sul senso di democrazia, di libertà personale e di bene comune. A mio avviso la ragione è semplice: non ci costa nulla avere torto.

Se mi fa stare bene pensare che Conte voglia soffocare la mia libertà individuale, costringendomi a condividere tempo e spazio 24/7 con i miei marmocchi, posso esprimere questo pensiero pubblicamente sui social senza conseguenze. Che sia una teoria complottista o meno.

I complotti fanno parte di noi

Il vantaggio psicologico che ne traggo è superiore al possibile danno che le mie opinioni, se infondate o errate, avranno. O meglio: avranno in maniera dimostrabile e legalmente rilevante.

Un po’ come con i vaccini: se ritengo di fare il meglio per mia figlia e non la vaccino, le possibilità statistiche di essere sanzionato sono molto basse (e per sanzioni intendo ad esempio la contrazione della malattia con conseguenze permanenti sulla salute della bambina).

In fin dei conti, vogliamo sentirci bene e non è rilevante se abbiamo ragione o torto.

Per questo le teorie complottiste faranno sempre parte della nostra vita: rispondono a tutta una serie di bisogni che abbiamo. Combatterle serve a poco – e i commenti che fioccheranno a questo articolo saranno qui a dimostrarlo.

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