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Lapo e Saviano: quando la credibilità è attaccata dall’invidia

Lapo e Saviano: quando la credibilità è attaccata dall’invidia

Fino a qualche anno fa, quando ci svegliavamo, la prima cosa che si faceva era allungare il braccio verso il comodino per “brancolare”, con la mano nel buio, alla ricerca della sveglia da posticipare o silenziare. Oggi lo stesso gesto viene compiuto dalla maggior parte di noi per afferrare il prezioso smartphone e, sbirciata l’ora con un occhio ancora chiuso, leggere le notifiche apparse nella notte.

Mercoledì scorso, alle sette del mattino, ho fatto la stessa cosa di sempre: stesso movimento, ma senza la solita sensazione di riposo e pace, bensì con un’ansia addosso incredibile. Era da tanto tempo, infatti, che non facevo un sogno così inquietante: non un vero incubo, di quelli spaventosi che ti fanno sobbalzare in un lago di sudore, ma una specie di “plot twist” catastrofico. Così, il primo pensiero appena tornato in contatto con la realtà, è stato quello di verificare se quanto percepito fosse veramente accaduto o il frutto dell’immaginazione.

Fortunatamente, un rapido scroll agli ultimi post pubblicati sui social mi ha rimesso con le ruote per terra, rassicurandomi (sì, lo so, ho bisogno di nuove ferie…). Ma cosa era accaduto di così tragico mentre dormivo, da farmi già pregustare il resto della vita trascorso all’ombra, lontano da tutti, chiuso in camera per la vergogna?

La scena sognata è stata breve e semplice. Mi trovavo in uno spazio circoscritto che sapeva di studio televisivo, con pochi presenti e una sorta di “conduttore” ad incalzare domande che, lentamente, si trasformavano sempre più in un interrogatorio, finché non è stata proiettata una mia foto con in mano un cartello. Non saprei dire cosa ci fosse scritto, so solo che era qualcosa di scomodo e amaro, un’affermazione evidentemente in contrasto con la maggioranza dell’opinione pubblica.

A seguito di quella mia dichiarazione, i canali social personali sono stati invasi da commenti di delusione e disappunto, ma anche qualche insulto e arrabbiatura. Insomma, stavo assistendo nel giro di pochi minuti allo sgretolamento di quella credibilità che con il tempo e tanta fatica mi ero, in qualche modo, costruito nei confronti di chi mi legge con piacere. Quella community” che, escluso i curiosi o gli utenti di passaggio, sostiene e supporta il mio lavoro e i miei progetti: abbandonato seduta stante per un singolo passo falso, per una sola nota storta.

Se è vero che “fa più rumore un albero che cade rispetto ad un’intera foresta che cresce”, per citare Lao Tzu (antico filosofo e scrittore cinese), è anche vero che in ambito social questo effetto si amplifica in modo esponenziale, direttamente proporzionale al potere e alla visibilità che la rete stessa conferisce a tutti, essendo ormai l’unico “luogo” dove le barriere non esistono e dove chiunque può ritrovarsi ovunque con un solo click. Insomma, per ricordare le parole di Eco, il web ha dato realmente diritto di parola a tutti, compreso a “legioni di imbecilli”: in fin dei conti, una sciocchezza detta al bar sotto casa diventerà al massimo una buona leggenda da tramandare tra pochi intimi, mentre il web ha una memoria assai più grande e ben più lunga quando si tratta di strafalcioni da non perdonare.

Perché allora, nonostante le buone qualità che qualcuno ci può dimostrare nel tempo con i suoi contenuti pubblicati, che in un modo o l’altro vanno a mescolarsi con “la vita vera” e cementificano l’opinione positiva che abbiamo di lui, siamo subito pronti a non sorvolare su uno scivolone nel momento in cui, magari sbadatamente, viene compiuto sui social network? Credo che la risposta vada ricercata in una forma di invidia 2.0 dove i like sono l’unità di misura di un ecosistema formato da concetti come “follower”, “hater”, “engagement”, “reach”… Ma adesso provo a spiegarmi meglio.

Prendiamo Lapo Elkann e Roberto Saviano. Due figure diverse, due ruoli diversi, due storie diverse. Possono starci singolarmente più o meno simpatici, oppure potremmo avvicinarci o prendere le distanze dalle loro personali idee: resta il fatto che di “scivoloni”, se così vogliamo definirli, ne abbia fatti decisamente più il primo del secondo (quest’ultimo, appunto, criticabile al massimo sul piano delle idee, qualora ci si dovesse trovare in disaccordo con uno dei suoi concetti espressi). Eppure è un dato di fatto che sul web (e non solo) sia decisamente più attaccato il secondo rispetto al primo: perché?

Lapo Elkann è famoso, ma soprattutto ricco (e la ricchezza rende invidiosi più della fama fine a se stessa), grazie alla sua storia e alle sue origini. Non possiamo scegliere la famiglia nella quale nascere, purtroppo o per fortuna: Elkann, agli occhi dei più, è stato semplicemente baciato dal caso e dalla sorte. Per Roberto Saviano, invece, la fama è arrivata attraverso il suo lavoro e il suo impegno: “Ha solo scritto un libro!” è la frase che si legge più spesso quando si vuole screditare la sua figura, come a dire “Anche io avrei potuto scriverlo…” (se non addirittura “Io lo avrei scritto meglio!”).

Ecco, la stessa cosa avviene ogni giorno, ad esempio, con l’arte contemporanea. Non riusciamo a comprendere quei gesti, quelle intuizioni, quelle manifestazioni espressive: non ci capacitiamo di come qualcuno possa esser considerato “artista” (e quindi fare soldi, vivere di questo) prendendo una tela bianca e squarciandola “banalmente” in mezzo. E allora proviamo istintivamente invidia per quel “piedistallo” sul quale noi stessi, per primi, poniamo l’altro: colui che “ce l’ha fatta prima di noi, come avremmo potuto fare anche noi”. E stiamo lì, ad aspettare pazienti, disposti a battere le mani tutto il tempo per mascherare ciò che coviamo dentro, per poi azzannare famelici al primo passo falso. Intransigenti.

Guai, però, a parlare di invidia. Ci sentiamo in dovere di far così: “sei un personaggio pubblico, vieni letto da tanti, hai delle responsabilità, non puoi permetterti di dare cattivi esempi, hai voluto la bicicletta. Vedi? Non te la meriti!”. In fin dei conti, c’è chi resta uno che “ha solo scritto un libro”… Che qualcun altro, sempre, avrebbe saputo scrivere meglio.

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