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Uccellin non porta pen(n)a

Uccellin non porta pen(n)a

miró bird

Tre anni fa, Twitter sembrava destinato a finir rilegato nel cassetto delle cose vecchie che erano state grandi. Poi Donald Trump è stato eletto Presidente degli Stati Uniti.

Nessuno (ab)usa i social come lui.
Passeranno alla storia le sue catene di tweet in cui spara a zero contro tutto e tutti.
Più che cinguettii, tra le manine di Trump, l’uccellino blu sembra in preda a un attacco di dissenteria.

L’apoteosi di questa modalità comunicativa, totalmente inedita per un commander-in-chief, è stata raggiunta il 5 gennaio del 2020:

Dopo essere stato criticato per non aver consultato il Congresso sulla decisione di autorizzare l’uccisione del Generale iraniano Qassem Soleimani, Trump ha twittato che i contenuti (minacciosi) affidati a quei post avrebbero avuto “validità di notifica al Congresso degli Stati Uniti” .

In pratica, è come se Mario comunicasse a sua moglie l’intenzione di lasciarla, girandole l’audio WhatsApp in cui dichiarava amore eterno all’amante.

In risposta al tweet, qualcuno ha fatto notare un parallelismo tra l’assassinio di Soleimani e l’attacco Giapponese su Pearl Harbour, avvenuto quando i due Paesi non si erano ancora ufficialmente dichiarati la guerra (nonostante la strage a sorpresa, il Presidente Franklin D. Roosevelt si sarebbe comunque recato al Congresso, il giorno seguente, per notificare la decisione di dichiarare guerra al Paese del Sol Levante).

Quanto ci sia di spontaneo e quanto di costruito, nelle modalità comunicative di Donald Trump, è difficile da dirsi. Possiamo dire con una certa sicurezza che, comunque, funziona.

Settimana scorsa, il New York Post ha reso noto che Andrew Bosworth, un uomo molto vicino a Mark Zuckerberg, aveva scritto in una comunicazione interna che Facebook era “responsabile” dell’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti, ma “non per le ragioni che le gente pensa”.

Il memo non avrebbe dovuto diventare pubblico, ma a seguito della fuga di notizie, lo stesso executive di Menlo Park lo ha postato sul suo profilo Facebook.

Secondo la tesi di Bosworth, non è stata né la “disinformazione” né l’ingerenza di potenze straniere a portare Trump al successo: è stato grazie alla “migliore campagna pubblicitaria digitale che ho mai visto da parte di un inserzionista. Punto.”.

Trump può dunque ringraziare Brad Parscale, il suo social media manager texano e attuale responsabile della sua campagna di rielezione.

E, grazie a lui, noi uomini e donne di azienda, abbiamo ora un case study di successo da studiare (nonché un nome e cognome sui quali deversare anatemi e defissioni).


Colonna sonora:
Aurora, Teartrop (2017)

Puoi scoprire tutta la playlist di Debarcadero
sul Canale YouTube di Purpletude.

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