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Codice binario: più facile, meno buono (ecco, ci sono cascato anch’io)

Codice binario: più facile, meno buono (ecco, ci sono cascato anch’io)

Una scena frequente, forse è capitato persino a te: sei davanti a un pc, o una macchina, un distributore automatico, un modulo da compilare on line… e non riesci ad andare avanti.
Il computer/robot/chiamalo come vuoi si blocca. Non riesce a tollerare la discrezionalità e indugia in cose per te assolutamente superabili.
La stupidità delle macchine. Il pregiudizio delle macchine. L’ostinazione delle macchine, per le quali o è on o off, o bianco o nero.
Giusto. Quasi giusto.

In realtà dovremmo dire l’ostinazione dell’uomo, il pregiudizio dell’uomo, il modo di ragionare dell’essere umano.
Perché le macchine sono programmate a nostra immagine e somiglianza – difetti inclusi.
Secondo le ultime ricerche, ai robot e ai dispositivi artificialmente intelligenti viene insegnato di essere razzisti, sessisti e pieni di pregiudizi. Anche involontariamente sia chiaro.

Uno studio massiccio di milioni di parole online ha esaminato il modo in cui i termini erano molto diversi tra loro nel testo – allo stesso modo in cui i traduttori automatici usano “machine learning” per stabilire che cosa significa il linguaggio. Alcuni risultati erano sbalorditivi.

I ricercatori hanno scoperto che i nomi maschili erano più strettamente associati a termini legati alla carriera rispetto a quelli femminili, che erano più strettamente associati a parole legate alla famiglia.

Il pensiero binario (on/off e dentro/fuori) che a volte ci fa imbestialire non è davvero tipico delle macchine ma dell’uomo. E ad essere sinceri non solo è sempre stato così ma lo è stato, e lo è ancora, perché in fondo ci assomiglia.

La comodità di pensare in modo binario

Il pensiero binario ha un grosso vantaggio: consuma poco ed è rassicurante.
Nasce dal nostro cervello rettiliano, quello più antico, dove gli stimoli e le risposte non conoscono l’ambivalenza: orso > scappa; fuoco > non toccare; ho sete > bevo.

Diverse ricerche hanno dimostrato che la nostra capacità di prendere decisioni complesse risente del numero elevato di opzioni disponibili. Più scelta c’è, più facciamo fatica: è talmente più economico quando il nostro cervello propone delle alternative immediate.

Questo fenomeno è conosciuto come il paradosso della scelta e per esemplificarlo basta pensare all’ultima volta che siete andati a comprare il riso al supermercato: arborio, originale, carnaroli, basmati, vialone, moltiplicati per almeno tre marche diverse con indicazioni di cottura diverse.
Alla fine io compro quello dello stesso colore che comprava mia madre (sbagliando, perché nel frattempo hanno cambiato il colore della confezione, mi è stato fatto notare; ma il mio cervello rettiliano non lo sa e, anche ora che ha l’informazione, è difficile da riprogrammare).

O sei dentro o sei fuori

La grammatica generativa ha dimostrato che tutte le lingue del mondo funzionano sul principio dell’on/off. L’esempio più facile da capire è il seguente: in inglese il soggetto è sempre espresso (on): “I speak, we write, you run” in italiano è “off”: “parlo, scriviamo, correte”. Al punto che se decidiamo di esprimerlo, c’è un motivo: “Io parlo, voi scrivete”. L’avete sentito il significato diverso? Tutte le lingue naturali funzionano nello stesso modo: o esplicitano il soggetto (on) oppure no (off).

Le specie animali: maschi e femmine. Per questo ci è così difficile accettare tutto ciò che sta in mezzo: alla nascita di un’ermafrodita, i medici consigliano sempre un’operazione per rendere il bimbo una o l’altra cosa (on/off, mica onf).
E restando in ambito riproduttivo: l’uomo penetra, la donna è penetrata. Naturale. Infatti quando è l’uomo a farsi penetrare, la maggior parte dei testi religioso-normativi lo condanna, perché di nuovo: o sei On o sei Off. Le cose non definite in termini di bianco e nero ci confondono.

Funzioniamo così anche nelle relazioni sociali: ci sono prima io, poi l’altro. E mi direte: no, io tengo alla mia famiglia. Appunto, la “tua” famiglia: quindi ci siamo “noi” (io, famiglia, amici, vicini, ecc) e “loro” (il non-di quanto prima).

E in azienda? La gerarchia è espressione della logica binaria (io sopra, tu sotto). La contabilità? Idem: guadagno o spendo. Cifre nere (positive) o cifre rosse (negative).

O bene o male

Nello stesso modo giudichiamo la performance delle persone: va bene o va male. Se va così così, diciamo che potrebbe fare di più (dove la dicotomia è meno/più). A ben pensarci, forse è qui che nasce l’antipatia per il discreto: nell’area grigia che c’è tra insufficiente (off) e eccellente (on).

Gli scadenziari e i gantt di progetto fanno anche parte del nostro modo di ragionare binario: un’attività ha un inizio e una fine. Le cose avvengono in maniera sequenziale e ordinate. Peccato che nel mondo reale non sia sempre così: e allora si cercano persone che sappiano fare più cose alla volta, che gestiscano molti progetti e che non abbiano bisogno di terminare una cosa per cominciarne un’altra. Persone che siano in grado di gestire l’ambiguità (direi la competenza numero uno in tutte le aziende per le quali ho lavorato).

Polarizzati

Socialmente tendiamo a rinforzare gli effetti del pensiero binario.

Basti pensare ai titoli di giornali, che tolgono i forse, i condizionali, e le inutili nuances per uscire con titoli del genere “Il ministro francese: l’Italia fa vomitare” (quando nell’intervista diceva qualcosa del genere “questo genere di atteggiamento dà la nausea”); “Salvini: toglieremo i limiti per i pagamenti in denaro” (quando aveva fatto l’ipotesi, dicendo che se fosse per lui, avrebbe tolto i limiti, che però non dipendono dal ministro dell’interno) e via dicendo.

La polarizzazione avviene anche a causa di questa ostinata ricerca della dicotomia.
In questi giorni, i social abbondano di esempi da manuale. Prendiamo una conversazione tra due persone (A e B):
A. I fascisti sono responsabili di crimini orribili.
B. E i comunisti allora?

Nel pensiero binario fascista si oppone a comunista, destra a sinistra, e implicitamente intende che una cosa è buona e l’altra è male. Invece (A) non esclude (B), e entrambe possono essere valutate in maniera negativa. Ma questo è proprio del pensiero complesso, che sa convivere con le contraddizioni (e implicitamente chi legge potrà avere l’impressione che ho detto: il pensiero complesso è bene, il pensiero binario è male; chi ragiona come (B) è peggio di chi ragiona in maniera complessa. Ma non ho detto questo. È l’interpretazione binaria che ci porta a credere che l’ho detto).

Il fenomeno delle fake news, a mio avviso, è fortemente influenzato dalla tendenza a semplificare in bianco e nero, on e off, di nuovo. Ma non solo. Prendiamo un film qualsiasi: ci sono i buoni e ci sono i cattivi. Eroi e villans. Noi e loro.

Okay, qui devo raccontarvi un aneddoto.
Nel 2000 è uscito il film U-571 che racconta di come l’equipaggio di un sottomarino americano sia riuscito a recuperare uno strumento utile a decriptare il famoso codice Enigma, utilizzato dai nazisti nelle loro comunicazioni. Prima dei titoli di coda, esce la frase che il film è ispirato a fatti reali. Bene. Peccato che nel 1941 gli Americani non erano ancora entrati in guerra e le gesta raccontate erano quelle degli inglesi della HRM Bulldog. Tony Blair, il primoministro dell’epoca, consegnò persino una nota di protesta ufficiale al governo americano.

Parlando di questa questione con un amico americano, se ne uscì con una frase fulminante: “Beh, il film è americano, è normale che gli eroi siano americani; immagino che nei film che fate voi in Europa, i buoni siano i nazisti”. Ecco fin dove arriva il pensiero binario: se ci sono dei buoni, devono esserci dei cattivi, e viceversa.

Giudizi binari

Un ultimo aspetto che a mio avviso è fondamentale per il successo del pensiero binario è che tende a compiacere il nostro Ego. Avevo già accennato al fatto che la maggior parte dei nostri giudizi su cose e persone tende ad essere binario, ma nel processo c’è un sottinteso implicito, e cioè che sulla scala valutativa delle possibilità, ci pone all’opposto dei giudizi che diamo.

Ho preso dei rischi ma oggi sono un imprenditore di successo
> dicotomia: imprenditore/salariato; successo/fallimento
> sono meglio di voi pecoroni che ancora correte dietro a un salario fisso

Ormai è troppo tardi per comprare dei Bitcoin, bisognava farlo prima
> dicotomia: prima-giusto/dopo-sbagliato (tempistiche)
> sono più sveglio della maggior parte delle persone e infatti ho investito nelle cripto monete quando tu ancora rimpiangevi il cambio euro-lira

L’iPhone è per le persone che non ne capiscono niente di tecnica
> dicotomia: iPhone/Android (come se fossero uno il contrario dell’altro)
> mi considero una persona migliore in base alle mie scelte d’acquisto

E in azienda? Uguale

Nella vita così come nelle organizzazioni (che sono fatte da persone, per cui funzionano in maniera molto più simile di quanto siamo abituati a credere) dovremmo rassegnarci al fatto che non c’è chi ha ragione e chi ha torto. E neppure chi ha spesso torto e chi ha spesso ragione. E no, neanche chi ha torto a volte e ragione altre. Qui siamo sempre nel binario.

La realtà è più sfumata: ho probabilmente ragione, forse, a dipendenza. Le mie decisioni sono relativamente corrette.

Poco importa il processo che mi ha portato a prendere la decisione: è solo un’approssimazione, un tentativo di definire uno stato “on” e uno stato “off”, un bene e un male, un conveniente e un problematico, e di posizionarmi da qualche parte su questa scala che va da 0 a 1.

Per cui questo mio post è utile perché dimostra che bisogna cercare di uscire dalla trappola del pensiero binario? Sì, in qualche modo. O no, non necessariamente. Forse. Dipende.

Direi: anche.

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