Change coreographer e primo Holacracy Certified Coach italiano, Andrea si…
La documentazione fotografica della mia infanzia, gelosamente custodita da mia madre su romanticissimi supporti di carta lucida, mi ritrae con la riga della pettinatura su un lato, e la classica immagine da ragazzino ordinato che ogni genitore sogna per suo figlio.
Era quindi naturale che, raggiunta la veneranda età di 12 anni, e forse influenzato dal carattere ribelle di Ralph Macchio nel film “Karate Kid”, io decidessi di oppormi a tale forzatura, restituendo alla mia immagine una connotazione che fosse fedele all’indole guerriera che mi animava.
E riga in mezzo fu.
La cosa in sè rientrerebbe nell’ordinario, se non fossero esistite le “rose”. Nome elegante e nobilissimo che cela un processo di autodeterminazione infernale di vasti gruppi di capelli, i quali, fregandosene delle nobili intenzioni del loro padrone, decidono di crescere un po’ come diavolo pare a loro in direzioni predeterminate e immodificabili.
Ora, la strategica disposizione di queste rose richiede un sapiente uso dell’asciugacapelli e rende non banale il processo di pettinatura con riga in mezzo. Ma, hey, il look ha il suo prezzo, no?
Il cambiamento arriva quando non te lo aspetti
Dopo circa 35 anni in cui mi ero pettinato sempre allo stesso modo, sono tornato a farmi la riga di lato. Ero appena risalito dalla spiaggia, in tempo per cena, andavo di fretta, l’ho fatto quasi inconsciamente.
La mia compagna, alla vista di questa nuova pettinatura, ha esclamato: “Stai benissimo, perché non ti pettini sempre così”?
Quanto mi era costata, negli anni, l’incapacità di osservare, sperimentare e rompere quell’abitudine? Qual era il delta di esecuzione, in termini di tempo, tra le due pettinature?
Mentre riflettevo all’ironia della sorte, in quanto il mio mestiere consiste nell’aiutare i clienti a fare proprio questo, ovvero sperimentare, e mentre addentavo il primo di pesce, ho realizzato che a causa di Ralph Macchio avevo sprecato il time equivalent di un Master in business administration.
Il pettinarmi in quel modo era semplicemente un’abitudine, un habit, come si dice in gergo business: un comportamento periodico regolare inciso nel mio cervello dalla pura ripetizione. Forse associato ad una qualche funzione d’utilità iniziale, ma ormai affondato nel mio subconscio e mai più sottoposto a revisione.
Quantificare il tempo dedicato alle abitudini
Si stima che il 40% del nostro tempo quotidiano sia dedicato a svolgere degli habit, dai più nobili (come l’esercizio fisico, leggere le news), ai meno nobili (controllare ripetutamente il telefonino, fumare, giocare troppo ai video game), a quelli neutri (guidare).
Gli habit si sviluppano grazie ad una qualche forma di trigger contestuale: può essere un particolare ambiente in cui ci troviamo o un evento a cui siamo sottoposti, ad esempio. Per quanto diversi siano, sono sempre caratterizzati da una ricompensa finale, ovvero qualcosa che inneschi un rilascio di dopamina.
Una volta ripetuti a sufficienza, diventano assolutamente automatici: si stima che bastino in media 66 giorni di ripetizione giornaliera (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/ejsp.674) per creare un habit da zero.
Al cervello non interessa affatto se gli habit siano buoni o cattivi. Lui applica un semplice algoritmo: se lo ripeti, vuol dire che ti serve, e quindi gli dedicherò delle connessioni neuronali dedicate e ben carrozzate, affinché a fronte di un trigger, il processo parta in automatico.
È possibile riprogrammare le abitudini
Le connessioni neuronali più spesse sono quelle che richiedono meno energia al cervello per funzionare, e per questo vengono dedicate agli habit e per lo stesso motivo sono difficili da smontare.
Questa è sia una cattiva che una buona notizia.
Significa che è difficile disfarsi di un’abitudine, ma significa anche che si può insegnare al nostro cervello l’utilità di una abitudine buona. In pratica, se riuscite a resistere per 66 giorni ad andare in palestra, dopo sarà molto più facile. E anzi: piacevole, grazie al rilascio di dopamina.
Ora, non so voi, ma dopo qualche mese, io sono il felice possessore di un nuovo habit che mi fa risparmiare circa 3 minuti al giorno e si chiama “riga di lato” e sono sicuro che voi sarete in grado di generarne di molto più smart: siete pronti a riprogrammarvi? Ecco cosa dovete fare.
Come disfarsi delle vecchie abitudini e crearne di nuove più utili
Ci vuole un po’ di disciplina, ma non è niente di insormontabile: la prima cosa da fare è creare una lista dettagliata di ciò che fate giornalmente. E questo per una settimana. È importante fare prova di onestà rispetto ogni piccolo comportamento, genere alzarsi a prendere qualcosa da mangiare all’inizio di una serie TV.
Una volta stilata un log delle abitudini, potete classificarle in utili, inutili e dannose.
Il terzo passo è sostituire gli habit dannosi con quelli utili, seguendo questi consiglio:Iniziate da una cosa piccola
- Scegliete una mansione che sapete essere utile per voi e che vorreste fosse ripetitiva (fin qui facilissimo a farsi)
- Associate a questa mansione un trigger chiaro (in tal modo il cervello si abituerà ad attendersi una ricompensa finale non appena il trigger scatta); questo genererà col tempo una sorta di metaforica salivazione che faciliterà l’esecuzione dell’abitudine virtuosa.
- Scegliete una ricompensa in modo che il cervello associ il rilascio di dopamina alla conclusione della mansione stessa (e qui le cose si fanno un filo più difficili).
- Ripetetelo per 60 giorni – e qui diventa durissima 🙂
Un esempio concreto
- Voglio creare piccole sessioni di lavoro ininterrotto.
- Stabilisco un intervallo temporale e lo quantifico in 25 minuti
- Installo un’app che mi aiuti a cronometrarlo; quando la farò partire con un gesto (trigger) saprò che devo iniziare a lavorare, a fine task riceverò un premio, magari una pausa di 5 minuti in cui fare tutt’altro
- Ripeto il punto 3 giornalmente e più volte al giorno per 60 giorni.
Io, ad esempio, ho scaricato Forest: è un’ottima app che permette di costruire una foresta virtuale di piantine che rappresentano task realizzate con successo, e addirittura permette di finanziare la coltivazione di piante vere ogni tot piantine virtuali create. Dopaminico!
In generarle per creare un buon habit è necessario renderlo:
ovvio, attraente, facile e soddisfacente.
Per disfarsi di un cattivo habit è necessario renderlo:
invisibile, non attraente, difficile, insoddisfacente.
Scegliete bene le vostre abitudini: all’inizio le odierete, poi le tollererete, alla fine ne sentirete la mancanza se smettete di praticarle. Quello è il segno che il cervello è stato riprogrammato: congratulazioni 🙂
Cosa ne pensi?
Change coreographer e primo Holacracy Certified Coach italiano, Andrea si occupa di trasformazione organizzativa orientata al self management, ossia al progressivo superamento dei rapporti di subordinazione diretta tra persone in azienda tramite l’adozione di pratiche e modelli decisionali inclusivi volti a produrre miglioramento collettivo e continuo. Con Leapfrog, azienda fondata insieme a Demetrio Labate, intende contribuire ad un mondo in cui le organizzazioni diventino luoghi di senso e realizzazione personale, organismi viventi, con un proposito evolutivo che gli individui possano fare proprio per non sentirsi più eternamente divisi tra work & life.