
Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia,…
Leggevo un libro quando mi sono imbattuto in questa semplice domanda. Che cosa hai fatto giovedì scorso?
In realtà il ragionamento era più fine. L’autore sosteneva il fatto che la maggior parte delle cose che facciamo viene fatta in modo automatico, la classica ruota del criceto dove noi siamo criceto inconsapevole su una ruota che forse neanche c’è.
La vera domanda era “che cosa hai mangiato giovedì scorso?” ma poi continuava con “che cosa hai fatto giovedì scorso?” “E Domenica? “E due sabati fa?”
Illuminante e fulminante.
Mi vergogno ad ammetterlo ma faccio una fatica bestiale a provare a rispondere, in alcuni casi il risultato è il nulla.
Non ricordo cosa ho mangiato tre giorni fa a cena, cosa ho davvero fatto due domeniche fa. Non ricordo un sacco di cose.
Ed è un male se ci si ferma a riflettere davvero, e qui ci vuole onestà non memoria, e si comprende che in sostanza non ci ricordiamo della nostra vita.
“Che cosa hai fatto l’11 Settembre?” è invece quella domanda che si usa per spiegare il concetto contrario: quasi tutti lo ricordano, ancorata ad un evento troppo importante, per quanto spiacevole.
Ed è anche probabile che tu ricordi alla perfezione cosa hai fatto il 9 Luglio 2006, almeno dalle 19:00 in poi.
Ed è normale, spero, che tu ricordi come hai trascorso il giorno in cui sono nati i tuoi figli.
È normale ma la cosa preoccupante è che si tratta, volendo essere generosi, di una manciata di giorni. Dove sono finiti tutti gli altri? Dove finiscono i momenti?
Sono come sigarette che bruciano veloci, si ammassano in un posacenere e vengono svuotate ad ore. Chi ricorda più cosa!
Maledetta maratona
Il problema sta nelle metafore, specie quando sembrano azzeccate. Ci entrano dentro, ci entriamo dentro e non si esce più.
Il mercato è competizione, lotta, guerra, scontro. Nemici e competitor, target ed altri termini che ti rendono davvero un militare e ti ritrovi con un fucile anche quando fuori c’è il sole e non c’è alcun pericolo. Ma tu vai avanti, combatti. Resisti…che verbo brutto è resistere!
O il concetto di maratona. Che a me fa venire la stanchezza già a pensarci ma questo è il male minore.
Il problema è che quando pensi di correre la maratona non ti curi troppo dell’atto estetico, della fluidità della corsa, della velocità. Non sono un esperto ma per alcuni anni ho corso 2 ore al giorno. In tondo su un campo di atletica. Ricordo che mi dissociavo da tutto e andavo avanti. Si era anche bello perché ti ritrovavi a pensare ma la corsa era talmente automatica da non fare troppa attenzione al fatto che stessi correndo.
E forse è giusto così. Nelle maratone, nella corsa. Ma nella vita?
Correre perché tanto c’è ancora un sacco di strada da fare.
Correre perché non importa ora ma il traguardo.
Correre a testa bassa, stringendo i denti, con i polpacci che tirano ma continuano a sostenerti in piedi.
E vai avanti, avanti, ancora avanti.
Ma dove cazzo stiamo andando?
Qui è dove le cose sembrano chiarirsi e semplificarsi ma è un’illusione.
Se hai uno scopo è bello e giusto.
Se non hai uno scopo è un problema.
Sembra ok ma non lo è.
Anche avendo uno scopo significa che hai tagliato via tutto il resto. E corri. Corri.
E poi capita che ti chiedano “cosa hai fatto giovedì scorso?” e tu non sai rispondere.
Era solo un giorno, solo una tappa del viaggio ed hai lasciato fosse davvero così.
Chissà quante cose però lasciamo per strada.
Come sigarette che bruciano veloci, si ammassano in un posacenere e vengono svuotate ad ore.
Peccato siano momenti, ore, giorni.
Peccato siano la nostra vita.
Cosa ne pensi?

Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia, Quattro (Schnauzer) e Pixel in crisi (libro) Aiuto le persone a trovare-raccontare-vivere il proprio scopo. Qualcuno parlerebbe di Personal Branding ma preferisco dire “Posizionamento personale”. (Perché non riguarda affatto solo il tuo lavoro e perché l’obiettivo è vivere pienamente e non essere scelti da uno scaffale.)