
Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia,…
O te o niente.
Non ci sono battaglie altrettanto importanti. Non c’è fatica da sopportare se non in questa direzione. Non ci sono poi tante altre cose per le quali vale la pena sbattersi e pensare.
Come ha scritto quel poeta statunitense, non c’è battaglia più ardua che un essere umano possa combattere, in un mondo che fa del suo meglio notte e giorno per renderti un altro.
Lo disse E.E. Cummings, erano più o meno i primi anni del ‘900.
Vedeva che in giro era una corsa all’uniformarsi, un tentativo di uniformare anche quelli che in fondo avrebbero desiderato altro.
Certo ci sono alcune situazioni storiche che lo rendono un pensiero azzeccato e impegnativo (pensiamo al periodo dagli anni ’20 al ’50) ma viene da sorridere rileggendo la frase ai giorni nostri, ai giorni dell’Internet.
Delle nuove celebrità. Del senso di celebrità. E di parole come branding e personal branding.
Al tempo delle notifiche continue, di meno abbracci che like.
Pensandoci è tutto così poco sensato
Parlo ogni giorno con tante persone con il desiderio di cambiare. Con la necessità di cambiare, come dicono loro.
Cambiare per trovare un lavoro, per farsi comprare, per avere qualcosa di più.
Già, avere qualcosa di più… chi non vuole qualcosa di più? E chi può dire che non sia persino giusto?
Ma “il più” spesso non si quantifica, si pesa.
Cambiare per avere qualcosa di più (clienti, un lavoro, più soldi) e perdere se stessi non è mai stato uno scambio intelligente.
Ci sono persone che mi raccontano di averlo capito, di aver capito che oggi bisogna presentarsi per come vuole il mercato. Come se le fragole fossero di moda e dovessimo dunque dipingerci tutti di rosso, lentigginosi e con un ciuffo verde in testa.
Che poi, non è una metafora ma quel che succede.
Persone che spiegano come vendersi nel web, che parole e toni usare e che in fondo stanno spiegando come essere quello che altri vogliono tu sia. È un fallimento.
Che poi, per esperienza so che nemmeno funziona.
Copie, brutte copie. Anche nella bruttezza è sempre meglio l’originale. Penso ai venditori stile Wolf of Wall Street o mago Silvan di questo e quell’altro campo.
Non funziona e se dovesse funzionare… beh hai perso.
L’altro giorno una donna con tre figli, due lauree, 10 anni in giro per il mondo impegnata nel volontariato mi ha chiesto come potesse vendersi in modo più cool. Forse certe cose di lei non funzionavano, si chiedeva, e di altre ne avrebbe avuto bisogno.
Ma se non sei non sei. E dovrebbe essere bello così.
A che gioco giochiamo? Ogni tanto penso che il vero gioco del web sia quello di perdersi.
Per posizionarsi bisogna ritrovarsi
Anche se a me piace ancora credere il contrario. C’è una parola che amo ancora nonostante tutto: posizionarsi.
Posizionarsi significa scegliere. Cosa sei e cosa non sei. E se la scelta è sincera, se non ti adegui ma adegui la tua comunicazione, il tuo modo di essere, a ciò che sei, allora è bellissimo.
Un percorso diverso dal branding dei barattoli di fagioli… Ecco mi viene in mente che l’altro giorno ho visto un video con due pseudo esperti che suggerivano di fare di te un prodotto, che questo era la soluzione a ogni male. Scatole di fagioli, come dicevo.
Posizionarsi è decisamente un’altra cosa. Anche parole abusate come Personal Banding potrebbero esserlo.
Potrebbe significare ad esempio uno sforzo concreto prima di parlare. Pensare prima di parlare. Trovarsi prima di posizionarsi in qualche punto del quadrante.
Trovare chi sei.
Qualcosa sei di sicuro. Unico probabilmente.
Vorrei fosse più chiara l’immagine del Delfi. All’ingresso del tempio di Apollo. Trova te stesso.
Qualcosa sei di sicuro. È bellissimo. Vale lottare solo per quello.
Il pasticcio del marchio personale
Ci sono libri e corsi sull’argomento ma il Personal Branding, creare un marchio personale (o come diavolo lo vuoi chiamare) non è una vera disciplina…
È un’idea che mi trova d’accordo e che ha espresso qualche mese fa Mark Ritson – un esperto della materia 🙂
Il punto è che per vendere qualsiasi cosa hai bisogno di creare un pubblico e prim’ancora di essere riconoscibile. Ma se lavori per occupare una nicchia, un’idea (una categoria!) sei solo un bugiardo che prima o poi dovrà fare i conti con se stesso.
L’equivoco, il pasticcio, sta nel credere che si tratti davvero di comunicazione e percezione. È vero soltanto a metà o anche meno.
I contenuti dei quali si parla esageratamente tanto devi averli innanzitutto dentro. E riguardano più i valori che le competenze, più il tuo modo di muoverti e respirare che funnel e landing page.
Sempre Mark racconta un aneddoto che trovo spassoso e vero.
Un giorno era invitato a parlare ad una conferenza piuttosto importante. Il suo intervento lo assillava da mesi e si era preparato duramente. Aveva studiato modo e tono, soprattutto cosa dire. Un discorso perfetto, di altissimo livello. E la cosa che lo emozionava era che avrebbe parlato poco prima di una vera celebrità.
Per farla breve, il suo discorso filò liscio e con un discreto successo, poi toccò allo speaker principale.
Che però non c’era…Non era proprio lì nella sala.
Ad un tratto venne calato un pannello e apparve la star in videoconferenza.
Rilassato. Anzi come se si fosse appena svegliato. Disse qualcosa di strano, confuso, di poco conto e tutti diventarono pazzi.
Come riflette Mark a distanza di anni, ci sono due considerazioni che puoi fare:
- Le persone non apprezzano la qualità
- Le persone amano le persone
ll tizio che non si era preparato il discorso, che era saltato dalla doccia alla videoconferenza era un “marchio personale”. Ma non nel senso di costruito. O meglio non per come possiamo intenderlo.
Era una persona che per anni aveva raccontato così tanto di se, e in modo autentico, da essere diventato Reale e Vero anche per chi non l’aveva mai incontrato.
Ecco il senso. Ecco tutto.
E la terza considerazione, anche se l’ho detto prima, è che questo genere di successo non si può programmare.
Se sei in un modo, in un modo che piace, e lo racconti. E ti prendi tempo di andare in giro con la tua storia vera ed i tuoi tic… allora funziona.
Se sei in un modo che non piace…hai solo sbagliato stanza. Non sei mica sbagliato tu, non lo è nessuno.
Promuoversi senza sembrare un coglione
Perché alla fine, anche se può sembrare scortese dirlo, promuoversi come fossi un barattolo di fagioli, non farà di te una celebrità ma un coglione.
Un tizio che si loda e sbrodola nell’illusione. E se per sbaglio ottenesse il risultato sarebbe persino più triste.
L’alternativa c’è. Richiede tempo e sapere che il gioco è diverso dal vincere like e consenso digitale.
C’è una cosa chiamata vita anche se non la prendiamo in considerazione perché non c’è da fare il log in, o l’abbiamo fatto un sacco di tempo fa e non ce ne ricordiamo.
O te o niente
C’è che di questa vita ne abbiamo una e non sappiamo nemmeno per quanto. C’è che o te o niente. Non c’è battaglia più ardua e nobile. Non ci sono strade altrettanto sensate.
Nessuno in realtà ha bisogno di “immagine” o di Personal Branding. Tutti hanno semplicemente bisogno di vivere ciò che sono.
C’è solo bisogno di ricordarlo, raccontarlo. Dunque viverlo.
O questo o è niente.
O te o niente.
“Non essere altro se non te stesso – in un mondo che fa del suo meglio notte e giorno per renderti un altro – significa combattere la battaglia più ardua che un essere umano possa combattere; e non smettere mai di lottare.” E. E. Cummings
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Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia, Quattro (Schnauzer) e Pixel in crisi (libro) Aiuto le persone a trovare-raccontare-vivere il proprio scopo. Qualcuno parlerebbe di Personal Branding ma preferisco dire “Posizionamento personale”. (Perché non riguarda affatto solo il tuo lavoro e perché l’obiettivo è vivere pienamente e non essere scelti da uno scaffale.)