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Nel lavoro la disciplina non è solo sinonimo di rigidità

Nel lavoro la disciplina non è solo sinonimo di rigidità

Pedoni in fila disciplinata con un'eccezione

Durante i miei corsi di orientamento al lavoro, mi capita spesso di stimolare gli studenti più o meno giovani con la fatidica domanda “che cos’è il lavoro per te?”

Una domanda che faccio così, a bruciapelo, enfatizzandone la sua scomodità, perché mi piace costringere i presenti a formulare una risposta che non sia né banale né troppo fantasiosa. E invece le risposte sono quasi sempre le solite: è lo strumento per guadagnare soldi utili alla sopravvivenza, è una condizione che ti dà uno status sociale, è un’esperienza, è un’azione che ti obbligano a fare, è fatica, è ciò che ti rende libero e indipendente. Insomma, tra tutte le risposte, non esce mai una definizione originale del lavoro. Almeno fino a ieri mattina. 

Un ragazzo mi ha risposto: è un’attività – fin qui niente di nuovo, ma aggiunge subito – disciplinata! Io gli chiedo in che senso lo veda come un’attività “disciplinata” e lui subito: il lavoro ha le sue regole, ha i suoi momenti e deve essere svolto bene, altrimenti non è possibile considerarlo tale. Mi isolo in me stesso per alcuni istanti per cercare di comprendere bene questa definizione e all’improvviso eureka! Mi viene subito da pensare che mai definizione sia stata così completa per capire le mille sfaccettature che stanno dietro alla cultura del lavoro.

Il successo sta nel disciplinarsi?

E invece, quando ha detto “disciplinata”, non nego che ho percepito un brivido lungo la schiena.
La disciplina, che richiama molto l’ordine militare, è qualcosa di duro, obbligato, che fa riferimento a degli “standard”,  a volte estremi. Sentir dare una definizione del genere da un giovane, mi fa pensare di quanto sia urgente e necessario iniziare a riflettere su un cambio di paradigma sulla cultura del lavoro!

Comunque se questa definizione è emersa, perché invece il futuro del lavoro (che è già quello di oggi) non fa altro che indicarci vie complesse, intricate, conoscenze diverse, contaminazioni, approcci “out of the box”? Perché quindi limitarsi a costruire una mentalità da lavoro “disciplinato”? Potrebbe sembrare anacronistico per i tempi in cui viviamo. E credo che la responsabilità di questo approccio sia comune e sia in parte dei genitori, spettatori inermi di una spettacolare narrazione di crisi economica e professionale, e in parte della scuola, ancora legata a certi canoni educativi ormai desueti, come la continua suddivisione delle materie e la mancanza di un programma condiviso tra i docenti delle varie discipline.

Quindi, in questo senso, essere disciplinati nel lavoro potrebbe significare essere inglobati in un modo di pensare e di fare secondo standard creati da altri (magari da altre generazioni) che spesso vanno in collisione con la realtà attuale. Senza libertà di pensiero si diventa il classico lavoratore che sicuramente non sarà soddisfatto del lavoro che svolge ma, soprattutto, che vivrà la divisione lavoro / vita in maniera tanto netta quanto pesante.

Forse è un altro tipo di disciplina

Alla luce di ciò però mi sorge un dubbio… forse il ragazzo intendeva un altro modo di “disciplinarsi”, forse pensava più a un lavoro fatto con responsabilità, dedizione e autodisciplina nel portarlo a termine. 

Perché se così fosse allora è una bella base di partenza per una riflessione più ampia, su quanto un lavoro può avere senso o meno all’interno di una comunità. Il rispetto delle regole professionali, del tempo che vi dedico, delle relazioni che curo, mi porta a valorizzare il senso sociale e di crescita personale nel lavoro.
Darsi una disciplina nel portare a termine gli obiettivi prefissati, rispettare e organizzare i tempi di lavoro senza cedere alla distrazione, creare una routine quotidiana in cui decido i tempi da dedicare al lavoro e quelli da dedicare alla famiglia, al tempo libero, comportarsi secondo quanto reputi etico e giusto: questo è quello che forse quel ragazzo intendeva con disciplina.

E forse questo approccio è un qualcosa che ha a che fare soprattutto con la libertà.
Si parla in questo caso del lato sostanziale di intendere l’attività disciplinata. Io posso muovermi in certi spazi con rispetto e per tutelare la libertà professionale altrui. Ecco che nell’incrocio di discipline, nel pieno della propria forma mutevole e performante, troviamo appiglio alla piena realizzazione di sé e a favorire il lavoro degli altri. 

Preso dal conoscere la risposta di altri studenti non mi sono soffermato a sufficienza su quanto mi ha riferito, avrei voluto informarmi meglio sulla sua definizione e su quello che intendeva. Se lo rivedrò a un prossimo incontro, saprò sicuramente cosa chiedergli.

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