Lavoro come medico, agopuntore e psicoterapeuta. Scrivo di salute, benessere…
“Gli africani hanno il tempo in tasca, mentre noi siamo nelle tasche del tempo”. Fu un missionario italiano in Africa a dirmi questa frase e ammetto che ne rimasi folgorato. Improvvisamente molte cose mi si erano chiarite. Non tanto in relazione agli africani, ma in relazione a me stesso.
Tutto questo successe più di 25 anni fa. Forse oggi anche alcuni africani sono scivolati nelle tasche del tempo. Può essere. Di certo da allora ho conosciuto molte persone che hanno il tempo nelle loro tasche. Alcune sono africane, altre no. Le riconosco subito. Hanno in mano il metronomo della loro vita e la pazza idea di soffermarsi in cose futili.
Salutano, domandano “Come va?” e soprattutto ascoltano la risposta dell’altro.
Ero rimasto colpito dal fatto che in Tanzania le persone non sembravano dare importanza ai ritardi propri e altrui. Si davano appuntamento alle 10:00, ma arrivavano alle 13:00. Nessuno si lamentava, nessuno si scusava.
Lì per lì, quando osservavo tutto ciò, sentivo una sorta di superiorità morale. Mi sentivo figlio di una società superiore, non perché sempre puntuale, ma perché rigorosa nell’indignarsi davanti al ritardo altrui.
Ero consapevole che il ritardo spesso non è frutto di una mancanza o di una volontà di chi arriva in ritardo. E sapevo anche che nella nostra società “usa” scusarsi, come se tutto dipendesse da noi. Così, avevo imparato a dimostrarmi dispiaciuto quando arrivavo in ritardo io e a far sentire in colpa l’altro quando era lui in ritardo.
In quel paese lontano, invece, avevano il tempo nelle loro tasche. Non si offendevano per un ritardo, né consideravano offensivo arrivare in ritardo. Anzi, appena le persone si incontravano, cominciavano a salutarsi. “Come stai tu?”, “Come sto io?”, “Come sta la tua famiglia?”, “Come sta la mia famiglia?”. E la parte più stupefacente era che ascoltavano le risposte. E intanto il tempo passava. Per cui al ritardo si sommava il tempo perso a non fare apparentemente nulla. Tempo inutile, pensavo allora.
Poi le cose in me sono cambiate.
Sono felice di aver imparato ad essere puntuale per dimostrare il mio rispetto per le persone. Tuttavia, sono ancora più felice di aver imparato che anche se io arrivo in ritardo o qualcuno arriva in ritardo, è altrettanto importante cominciare con il saluto. Prendersi cura della prima impressione. Creare relazione, sintonia, contatto. Sincronizzare i respiri, trovare una tonalità comune su cui discorrere. Darsi il tempo di mettere i propri occhi negli occhi dell’altro e lasciare il tempo all’altro di ricambiare. Ognuno con nel rispetto dei propri tempi.
In fondo era questo che mi affascinava degli africani. Vedere quanta “presenza d’animo” mettevano nel momento in cui si incontravano e si salutavano. Nonostante il ritardo o nonostante il fatto che rischiassero di arrivare in ritardo ad un appuntamento.
Il tempo non veniva prima di loro, ma dopo.
Eppure, quelle persone non avevano le certezze che avevo io. Io ero certo che da mattina a sera avrei mangiato tre volte, avrei dormito all’asciutto. Loro, invece, no! Non avevano queste certezze. E invece di affrettarsi, di sorvolare sui saluti gli dedicavano più tempo e più intensità.
Era uno spettacolo vedere come quelle persone investivano il loro tempo in saluti. Io avevo 13 anni e li vedevo mentre mettevano in scena il primo atto dell’arte di vivere: la relazione.
Il loro calore era penetrato nel mio cuore come un fine vapore che improvvisamente scioglie una coltre di ghiaccio. Fu allora che percepii che da lì in avanti sarebbe toccato a me scegliere a cosa dare “più” importanza.
Quando mi capita di essere in ritardo o di ricevere qualcuno in ritardo e sento la pressione del tempo che vorrebbe farmi saltare i saluti, allungo la mano verso l’altro e mi prendo tutto il tempo che servirà per creare la sintonia.
Tutto ciò è così piacevole che il senso di colpa per essere arrivato in ritardo o la rabbia per aver ricevuto un ritardo scompaiono.
Nella vita si devono sempre fare delle scelte. E una di queste è scegliere se tenere il tempo in tasca o stare nelle tasche del tempo.
Anche questo è #gowild
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Lavoro come medico, agopuntore e psicoterapeuta. Scrivo di salute, benessere e coltivazione di sé. Mi impegno nell'offrire strumenti di riflessione e azione quotidiana, affinché ciascuno possa essere un po' più protagonista della propria vita anche quando si parla di salute. Credo in una medicina che funziona perché è fatta da medici che si prendono cura di tutti e di ciascuno al tempo stesso.