
Maturità classica, laurea in Scienze Politiche con indirizzo specialistico sulla…
Ho ecceduto in amore e non voglio sconti o pacche sulle spalle. Lo ha stabilito il mio Critico Interiore, che quest’estate ha sentenziato che, in appena quarant’anni di vita su questa Terra, ben tre storie d’amore importanti – di cui una arrivata ad un passo dal fatidico “Sì!” – sono overflow, troppe, sfacciatamente debordanti.
Del resto, il sociologo Zygmunt Bauman mi aveva ammonito già nel 2003 – purtroppo non personalmente, ma attraverso il bel libro Amore liquido – invitandomi a stare attenta al consumismo relazionale. Ed eccomi, invece, insieme a molti altri, oggi ormai quaranta o cinquantenni, a lucidare i cocci di corsi e vite sentimentalmente fin troppo animate, con il 2020 dietro l’angolo.
Vi è mai capitato di ripensare ad esperienze, anche banalissime, ma di non ricordare con quale dei vostri due – o tre? O quattro? Ma poi le storie di qualche mese, quelle che tutti considerano irrilevanti ma che comunque ci hanno dato emozioni mai più ripetutesi, le vogliamo contare oppure no? – ex le avete vissute?
A me è successo, al mare. Liguria. Spiaggia. Ombrellone e un libro di Oriana Fallaci sul Vietnam. La mia quiete rovinata da due bambini indemoniati e urlanti – con al seguito genitori incapaci di redarguirli perché completamente assoggettati ai loro voleri. Mi sottraggo prontamente all’agonia e mi tuffo in un’acqua freddissima bramando quiete e ricordi. Mi ritrovo in un treno che corre fra un’estate passata e l’altra: “2018, Ischia; 2017, Lisbona; 2016, Cinque Terre; 2013, Londra; 2008… figo, non c’erano bambini. Ma io dov’ero? Ah già, San Lorenzo al Mare! Ma con chi… ? Stavo con… x? O avevo iniziato a vedermi con y?”.
La risposta alla mie domande è arrivata solo quando sono tornata in spiaggia, grazie al fedelissimo registro attività di Facebook, uno dei pochi punti fermi di questa era post-moderna (lì tutto resta, almeno), che mi ha rimandato uno scatto datato 17 agosto 2008: ed eccomi lì, senza occhiaie, single e piuttosto paffutella. I capelli che sembravano saggina. Ero single e lo sarei stata ancora per un annetto almeno, ma con capelli più in ordine.
Andando a indagare le ragioni della mia smemoratezza e volendo escludere l’ipotesi di un precoce rincoglionimento, sono giunta alla conclusione che la questione sia generazionale. Insomma, il problema non è mio, ma della Generazione X. E a scriverlo già mi sento meglio e meno colpevole per la mia “collezione di amori dalle gambe corte”.
Noi, i nati fra il 1965 e il 1980, gente cupa e cresciuta in piena recessione, ci hanno spiegato i sociologi – gli ex ragazzini che nel DNA portano le conseguenze del crollo del Muro di Berlino e della fine della Guerra Fredda, nel cui immaginario corrono fieri i Ragazzi dello zoo di Berlino sulle note della struggente Heroes di David Bowie, noi che vedendo Philadelphia abbiamo capito che mai avremmo potuto vivere una sessualità libera e spensierata, noi che abbiamo corso inconsapevoli verso la bocca spalancata di un mostro a tre teste, quello della precarietà, lavorativa, abitativa, e anche sentimentale – abbiamo un problema con l’Amore. E non credo ci consolerà sapere che siamo stati anche i primi a sperimentare le nuove tecnologie… e ‘sti cazzi!, direbbe il buon Marco Giallini.
Che poi, a volerla scrivere tutta, le colpe non sono nemmeno nostre, ma dell’infausta generazione dei nostri genitori – e lo scrivo senza timore per le conseguenze durante la prossima cena a casa di mamma – i Baby boomer, i nati fra il 1945 e il 1965. Gli spocchiosissimi, egocentrati e famosi per essere stati i figli della rivoluzione sessuale e del ’68, sono il vero problema. Loro ci hanno instillato la seduttiva credenza che risuona nel nostro inconscio e ci conduce al disastro: puoi avere tutto quello che vuoi, che nel campo sentimentale è subito diventato il famigerato: posso avere di meglio, avanti il prossimo!.
Oggi, i nostri genitori, passati dalla rivoluzione sessuale alle tecniche per “invecchiare bene” mantenendo un aspetto giovanile grazie alle bave di lumaca e al fitness (è proprio il caso di scriverlo: “dalle stelle…”) ci osservano disorientati mentre annaspiamo fra contratti di lavoro precari e divorzi, e con preoccupazione pensano che forse alcuni insegnamenti dei loro genitori non fossero così sbagliati.
Non nego che sia stato bellissimo avere più esperienze, miei cari boomers. Dico soltanto che alla lunga risulta un tantino effimero. Certo, prima facie, cambiare partner ogni cinque anni pare quasi la panacea per tutti i mali: in questi vent’anni e spicci di vita relazionale adulta mi sono goduta un viaggio fra esperienze, meravigliosi corpi, punti vista, geografie interiori e ricordi. Ho rifuggito la noia, per non parlare del sesso davvero super e di un erotismo vissuto a 360 gradi. Senza contare che certi ex sono i migliori amici che si possano avere.
Ma al di là di tutte queste belle cose, dovremmo dircelo che – mutatis mutandis – i problemi si ripresentano sempre, ad ogni storia e che, se non ci si allena quotidianamente ad una buona dose di ragionevolezza e compromessi, nessuna coppia dura a lungo.
E così, oggi sogno di avere accanto, almeno per i prossimi vent’anni, una persona sola. Un’anima che sappia essermi intima e familiare, che conosca le strade in cui sono cresciuta, le scuole che ho frequentato e le lacrime versate durante le mie lotte. Che un domani possa ricordare che sguardo hanno oggi i miei genitori e che cosa li rende buffi ai miei occhi mentre invecchiano, che venga con me a pregare in una chiesetta sul mare in barba al mio ateismo, che voglia camminarmi vicino quando nessun altro lo vorrà fare. Che ami il mio esser cattiva, come il mio essere buona. Voglio accanto una persona che sia anche la mia memoria. E poter insegnare – alle generazioni successive alla mia con le quali entro in contatto soprattutto grazie all’associazionismo e attraverso i miei libri – tutte le cose che da cupa esponente della Generazione X ho imparato. La più importante di tutte, è questa: se hai degli ideali per cui batterti e qualcosa per cui lottare, la vita e l’amore – quello vero – hanno tutto un altro sapore.
Lo dico pensando con molto affetto a una coppia di canuti amici gay che condivide la vita da più di 35 anni. Tempo fa mi hanno raccontato – con gli occhi pieni di felicità, quella vera – delle continue telefonate al loro comune di residenza nel 2016, anno in cui sono state approvate le unioni civili fra persone dello stesso sesso. Come tutte le leggi, anche quella sulle unioni civili ha scontato i suoi tempi tecnici per poter essere fattivamente applicata.
L’impiegata del comune si era ormai fatta una ragione del continuo stalking: telefonico di quei due signori distinti che – insieme dai primi anni ’80 – non volevano più trascorrere un solo giorno da fidanzati.
Qual è, dunque, la ricetta per un’unione durevole? – ho chiesto loro.
Non ricordo precisamente la risposta, avevamo un po’ bevuto quella sera.
So che mi hanno spiegato che gli ingredienti per un rapporto che duri per la vita hanno a che vedere con doti umane per le quali non mi sono distinta particolarmente fino ad oggi, e che hanno a che fare con il perdono, con l’arte di lasciar perdere, col lasciare andare la gelosia e la possessività… senza dimenticare il comandamento: “in coppia, non forzare mai la mano”.
Tutte cose di cui, da buona figlia del mio tempo, non conosco nemmeno le basi. Ma posso sempre iniziare ad applicarmi.
Cosa ne pensi?

Maturità classica, laurea in Scienze Politiche con indirizzo specialistico sulla gestione delle risorse umane, giungo alla soglia dei miei quarant’anni sull’onda dell’entusiasmo per l’ennesimo cambiamento a livello lavorativo, quello che mi ha portato a decidere di integrare due importanti esperienze: da una parte le collaborazioni sviluppatesi lungo un decennio con tre studi di consulenza del lavoro di Milano in qualità di HR Administrator e consulente in ambito giuslavoristico, dall’altra l’avventura editoriale con la pubblicazione di tre libri sulle tematiche LGBT e l’organizzazione di momenti di informazione, formazione e sensibilizzazione in tutta Italia.
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