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[interludio nove] La debolezza è la nuova forza

[interludio nove] La debolezza è la nuova forza

Downward Dog Pose

Ora non ricordo con precisione ma credo che fosse un contadino, comunque un uomo illuminato, quello che, vedendolo come per la prima volta, disse a Miyamoto Musashi – colui che viene riconosciuto come il più grande samurai della storia – che il suo problema era la sua forza eccessiva, straripante. Ciò che in quel momento impediva a Musashi di comprendere fino in fondo l’arte della spada era, paradossalmente, proprio ciò che fino a lì era stato uno dei suoi punti di riferimento, la sua forza!

Quando lessi quelle parole (stavo leggendo il romanzo di Eiji Yoshikawa) restai folgorato, anch’io, infatti, mi riconoscevo un enorme limite: una scrittura troppo forte, fino a risultare pesante, insostenibile. Per anni ho cercato di porvi rimedio ma finivo soltanto per forzarla dall’altro lato. Non rendevo le mie parole e le mie immagini più malleabili, più lievi, più semplici, più naturali, ma opponevo loro, invece, una forza contraria. Di nuovo, impiegavo troppo, facevo troppo. Non riuscivo a trovare la giusta misura.

E mi ritrovavo proprio come ora, quando, facendo yoga, provo ad assumere la posizione del downward facing dog, la Adho mukha svanasana, mentre la rigidità delle mie gambe e delle mie spalle mi oppone una forza che mi sembra impossibile da sconfiggere. Mi sono allenato per almeno vent’anni in palestra senza fare un minimo di stretching e, ora, le mie gambe e le mie spalle non hanno elasticità. Ora, ciò che mi ostacola in molte asana è ciò che una volta mi sembrava forza.

Delle volte, addirittura, mi sorprendo a pensare di dover dimagrire, di dover perdere anche massa muscolare ma, in realtà, anche questo sarebbe forzare.

In realtà, non si tratta solo della mia forma fisica ma la mia vita tutta mi appare un forzare, quantomeno, di nuovo, la mia scrittura. La forzo per farne dialogo, quando, delle volte, vuole essere altro. E cado in un mio errore di anni fa, quando spingevo con forza di nuovo dentro il mio cuore parole che volevano prendere vita ma che io riconoscevo troppo prosaiche e ne soffrivo, finivo per non essere mai soddisfatto, finivo per allontanarmi da ciò che inconsapevolmente davvero cercavo: equilibrio.

Poi, finalmente, ho provato a lasciare tutto libero, parole, immagini, forma. Ma queste ancora non sono del tutto libere, ancora tendo a forzare. Credo mi serva ancora tempo e credo sia normale ma, di certo, ora non devo sforzarmi di gettarle fuori, non devo nulla. Soltanto, posso imparare a lasciare, lentamente, gradualmente, che accadano.

Per anni e anni ho visto l’equilibrio come un contrapporsi di forze, quando, forse, in realtà, è un’assenza di esse ma, se di nuovo penso allo Yoga, mi sembra assurdo. È possibile che nella posizione del corvo non ci voglia forza? A vederla e a farla sembrerebbe totalmente il contrario. Sto sulle mani, le ginocchia tendono a scivolare, allora provo a contrarre di più l’addome ma poi cado in avanti, faccio forza e cado verso dietro. Allora, forse, l’equilibrio è un’assenza di contrapposizioni. Forse, per raggiungerlo, non si può fare altro che smetterla col pensiero dualistico e discriminante, con bianco e nero, su e giù, forte e debole.

E se questi fossero la stessa identica cosa? Se la forza fosse una debolezza e la debolezza una forza? La prima ci rende sicuri, ci spinge ad aspettarci risultati, certi risultati, a puntare su essa stessa. Ci rende orgogliosi e io non conosco molti ostacoli più grandi dell’orgoglio verso la realizzazione della propria individualità, che sia nel lavoro o nella vita o, meglio, nella coincidenza di entrambi.

La debolezza, invece, ci costringe a fare i conti con noi stessi, con i nostri limiti, errori, fallimenti, con i punti in cui siamo più scoperti, indifesi, innocenti, liberi.

Magari, invece di sforzarmi ad abbassare quei dannatissimi talloni in downward facing dog, posso semplicemente stare e lasciare che, coi loro tempi, trovino da soli il suolo, il loro spazio.

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