
Ivano Porpora (1976) ha lavorato in radio e per la…
A., io, la amai subito.
La conobbi in un pub qua a Viadana, un pub che stava in un angolo, su una rotonda; ora l’han chiuso dopo troppi cambi di gestione, chissà che ci faranno dentro.
Eravamo io e un amico, quella sera, a brindare per un qualcosa che al momento mi sfugge. Mi diede un pugno nei coglioni, a un certo punto, perché gli avevo rubato il posto mentre era andato in bagno – ma era il 2002, più o meno, eravamo giovani e pieni d’ormoni; io nel trambusto ribaltai la panca che stava alle mie spalle; chiesi scusa, la vidi che sorrideva, aveva un sorriso incantevole e le treccine, le dissi: Mi dai il tuo numero?
Tutto quello che accadde nei due anni successivi, io lo ringrazierò finché campo: A. fu la prima donna della quale dissi: Era questo, quindi, l’amore? Intendo: non solo il sentimento – che, come ho raccontato, già c’era stato -, ma quella forma di sprofondamento interiore in una caverna lucida nella quale siamo solo io e lei, il resto del mondo è di fuori, l’imboccatura della caverna è coperta da una cascata.
Che fatica, con lei, a dire quale fu il momento migliore. Saprei enumerare quelli peggiori, quasi sempre dovuti a me: quando non fui presente alla sua laurea, quando stavamo andando in un locale e me la presi, e ritornai indietro, lei mi disse: Se mi riporti a casa è finita; la riportai a casa.
Però ricordo anche la sera in cui indossava una veste di cotonina senza niente sotto, ospitammo una cena con i suoi amici, loro mi odiavano ed erano cortesemente ricambiati; e io attesi le sei del mattino, le prime luci dell’alba, per dire: Ora siamo solo noi due, vieni qua, non dire nient’altro, vieni, l’aurora dalle dita rosate ci accolse.
Oppure ricordo la sera in cui fumammo il narghilé e poi vedemmo un Terminator; lei era vestita con una giacca nera lunga, sembrava Trinity di Matrix, mi pare, le dissi Sei bellissima, rispose: Tu.
Oppure ricordo momenti altri, momenti in cui ci tenemmo per mano, momenti in cui pianse, io non piangevo mai.
Ma se devo dire l’istante in cui fummo noi due, ecco, forse tradirò me stesso e invece che uno ne dirò tre.
Il primo l’ho già citato: è il momento in cui mi infuriai per la sua tristezza immotivata, tornai indietro, le dissi: Ok, basta.
In quel momento avevo la sensazione di guidare, di girarmi e avere una piovra nera accanto a me. Una piovra che allungava i suoi tentacoli e diceva Amami, e io sapevo che qualsiasi scelta avessi fatto avrei perso. La accompagnai, perdendo; ci richiamammo, perdendo, e fummo ancora per mesi meravigliosi perdenti, sassi che rotolano e vedono il burrone ma non il motivo per cui fermarsi.
Il secondo fu quando facendo l’amore ci addormentammo. Provai a raccontarlo, anni dopo, mi dissero: Che schifo. Ma che schifo cosa, rispondo io, cosa? Non è il momento più bello del mondo quello in cui sei troppo stanco per far l’amore e invece lo fai, e ti addormenti insieme a lei, siete a cucchiaio, lei è di spalle, e ogni tanto uno dei due si sveglia e ridà il ritmo, dolce, stavi dormendo?, no, no, e tu?
Il terzo momento, fu quello in cui le dissi basta; e quello in cui lei mi disse basta.
Tornai a piangere, e non piangevo più da anni.
Seppi che quello che avevo avuto era stato prezioso, una piovra viola e nera ma preziosa; e seppi che era entrata dentro me dicendomi basta.
Cosa ne pensi?

Ivano Porpora (1976) ha lavorato in radio e per la stampa, in pubblicità e su internet, come area manager e insegnante di narrazione per bambini. Ha esordito per Einaudi nel 2012 e da allora si concentra sull’ambito letterario e si è specializzato in corsi di scrittura, che tiene tutto il territorio nazionale. Ha pubblicato tre romanzi (La conservazione metodica del dolore, Einaudi 2012, Nudi come siamo stati, Marsilio 2017, L’argentino, Marsilio 2018), un libro di poesie (Parole d’amore che moriranno quando morirai, Miraggi 2016), una favola per bambini (La vera storia del Leone Gedeone, Corrimano 2017) e un libro di fiabe per adulti (Fiabe così belle che non immaginerete mai, LiberAria 2017).