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DRD4-7R

DRD4-7R

DRD4-7R, lo aveva fatto stampare in arancione su una maglietta verde militare. Il gene dell’avventura, ripeteva. Cercava una giustificazione al sue vivere di sfide. Era lo scarto forte tra me e lui, tanto lontani da non poterci compensare, ma capaci di amarci. L’amore se ne frega delle affinità, lo avevo imparato stando con lui.

– Parto tra una settimana.
– Tra una settimana si sposa Elena.
– Abbiamo già comprato il regalo.
È mia sorella!
Ma basta che ci vada tu.
Non basta un cazzo.

Avevo buttato giù d’un fiato il succo di mirtilli che colorava il bicchiere, lui si era alzato e si era avvicinato ai cassetti della cucina. Nel secondo, in mezzo alle tovaglie, tenevamo i documenti importanti: le tessere elettorali, il contratto con l’Enel, la copia della mia assicurazione, la separazione che avevamo fatto annullare dal giudice, ci eravamo accorti in fretta che separarci era una cazzata più grossa dello stare insieme: non avrebbe funzionato. Frugando, aveva tirato fuori un libretto dei vaccini, lo avevo riconosciuto perché avevo accompagnato Gabriella con il piccolo Leo in via Bassi, erano passate giusto un paio di settimane. Lei non sopportava di tenerlo fermo mentre qualcuno gli infilava un ago e allora mi aveva chiesto se potevo farlo io.

– Li ho tutti.

Lo aveva aperto sul tavolo, sedendosi vicino a me.
Antitetanica, meningococco A, B e C, epatite, malaria …

     Uh la malaria!
Aveva agitato il libretto davanti al mio viso come una farfalla.

– Ma quando li hai fatti?
A quel punto avevo visto il suo sorriso scoprire le gengive. Era la soddisfazione infantile che mi alzava onde grosse di rabbia.

– Non ho pagato niente, il tipo, quello della copisteria di via Legnano, si diverte a falsificarli. Gli ho offerto solo una Ceres.
– Tu lo sai cos’è la Nigeria?

Credo nemmeno sapesse esattamente in quale punto dell’Africa si trovasse.

Ero io che mi preoccupavo: quando gli avevano offerto di partire, avevo fatto ricerche, telefonato alla Farnesina, scaricato foto e foto da internet. Avevo raccolto tutto in una cartelletta. C’era anche l’elenco dei vaccini obbligatori e consigliati, i primi evidenziati in giallo, i secondi in verde. Gli avevo fissato gli appuntamenti al centro vaccinale, non si era presentato né al primo né al secondo.

– L’unico modo per conoscere un luogo è andarci.
Sarebbe bello anche non finire ammazzati.
– Marti bella, prova a vivere ogni tanto.
– Sono impegnata a sopravviverti.

Poi mi aveva mostrato il biglietto aereo, tirando fuori di nuovo le sue gengive sorridenti, le stesse di cui mi ero innamorata. Era un biglietto aperto, non potevo sapere nemmeno quando sarebbe tornato. Dentro di me le ondate si facevano più alte. Una zanzara mi ronzava vicino all’orecchio.

Zzzzzzzzzz … zzzzzzzzz …. zzzzzzzz

Provai a scacciarla muovendo le mani, poi mi alzai improvvisa facendo cadere la sedia indietro e rovinandoci sopra. Quando lui si avvicinò per aiutarmi, lo colpii forte su una guancia.
Tutto si fermò per qualche secondo, la zanzara le parole noi. Come in uno scatto.

– Ci si lascia ogni giorno, si muore ogni giorno, lo disse a bassa voce, toccandosi la guancia sinistra.

Faceva così, passava da tre toni sopra a tre sotto. Stare con lui era un giro sul Blue Tornado. Mi portava a Gardaland una volta all’anno da quando eravamo sposati, mi convinceva a salirci e finiva sempre che vomitavo.

Come capitava quando litigavamo forte, i due giorni successivi furono lunghi silenzi, controllavamo le parole, contando il numero di sillabe. Credo non superassimo le 30 nelle ore di veglia, forse nel sonno erano di più, mi aveva sempre detto che parlavo molto quando dormivo, cose senza senso con la lingua che picchiava sui denti. Non ho mai saputo se credergli.

– Andiamo all’Adda, ha annunciato verso la fine del secondo giorno di penitenza.

Abbiamo nascosto la vespa dietro i cespugli perché nessuno la trovasse, siamo scesi fino alla riva, poi ci siamo messi a buttare sassi nell’acqua. Manu cercava quelli piatti per farli rimbalzare sulla superficie. Era arrivato fino a quattro salti. Io li lanciavo e basta aspettando che cadessero, rompendo le trasparenze. Eravamo sempre stati diversi, lui cadeva meglio di me, con più grazia.

Ci si lascia ogni giorno, si muore ogni giorno.

Lo aveva detto facendola sembrare una cosa normale e per un attimo, un attimo soltanto, guardando i suoi pantaloncini tagliati sopra il ginocchio, le sue braccia forti che accompagnavano i lanci, avevo pensato che avesse ragione, poteva capitare. Poi mi ero seduta sentendo i sassi che mi disegnavano la pelle sotto il sedere, avevo continuato a guardarlo. Lo vedevo in mezzo al rumore del fiume. Si era tolto le scarpe e aveva infilato i piedi nell’acqua. Voleva provare il quinto rimbalzo. Sapevo che non ce ne saremmo andati finché non ci fosse riuscito, avrebbe potuto piovere o arrivare il buio, le zanzare ci avrebbero mangiato succhiando le parti scoperte di noi, ma lui sarebbe andato avanti a perfezionare la rotazione del braccio, chiudendo un occhio per trovare la linea esatta del tiro. Io lo avrei aspettato mentre la sera mi bagnava i capelli.

Si muore ogni giorno, ci si lascia ogni giorno.

Non noi, avevo urlato alla sua schiena. C’erano stati in mezzo due ore di tonfi e silenzio. Si era voltato, sorridendomi con i capelli troppo corti. Lo faceva apposta, li tagliava corti ad ogni litigata per farmi un dispetto, lo faceva con il rasoio elettrico, poco più di cinque minuti, poi lasciava i capelli nel lavandino.

– Non noi.

Aveva raccolto da terra il sasso perfetto e lo aveva lanciato.
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque.

Adesso potevamo tornare a casa insieme, ancora una volta. Poi lo avrei aiutato a fare i bagagli, sarei andata a comprargli i fermenti lattici e avrei aspettato che il giro sul Blue Tornado finisse per poterlo amare di nuovo.

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