
Valentina Maran è nata a Varese nel 1977. È una…
Diventare madre ha inciso in modo abbastanza forte sulla mia vita lavorativa.
Quando è nata la mia prima figlia, mi sono presa tre mesi di maternità per prendere il ritmo, capire che non rischiavo di spaccargli una spalla ogni volta che le cambiavo un body e comprendere che non rischiavo di ucciderla ogni volta che le andava di traverso il latte.
Ripresa la fiducia verso le mie doti di essere umano, ho mollato la piccola alla nonna e ho ripreso i miei ritmi lavorativi.
Dopo due anni è arrivato il secondo e qui è stato molto più agevole.
Una sola settimana di maternità – perché il lavoro chiama e alla fine scopri che si può tranquillamente gestire la cosa. I secondogeniti – poveri loro – non godono delle attenzioni dei primi, e il mio è finito davanti al computer con me fin da subito.
Si è fatto tutte le call su Skype insieme alla mia collega, si è sorbito le telefonate coi clienti mentre gli tappavo la bocca col ciuccio, in un impeto di sano e santo spirito materno l’ho anche allattato in presentazione.
Lui aveva circa una decina di giorni, dei colleghi che mi avevano commissionato un lavoro sono venuti a casa mia per conoscere il piccolo e per vedere il lavoro svolto che era in consegna da lì a pochi giorni.
Pomeriggio inoltrato, comincio con la mia presentazione in power point dove, mentre ninno il pargolo innescando relax e sbadigli ad abbaio anche nei presenti, porto avanti trionfalmente slide dopo slide.
Poi il piccolo comincia a rognare, si lamenta, è nervosetto. La nenia della mia presentazione probabilmente non è abbastanza avvincente e lui comincia a piangere. Lo cocco ancora più forte ma nulla, sbraita come un diavolo della Tasmania. E allora non ci sono alternative: andando avanti come se nulla fosse sfodero la tetta e gliela caccio in bocca. Tempo dell’intervento: due secondi netti. Risultato: piccoletto sedato e felice.
Faccia dei presenti: un po’ imbarazzati – evidentemente la pratica dell’allattamento risulta ancora insolita ai più che ne vedono ancora qualcosa di troppo intimo o personale. Per me non era altro che sfamare mio figlio.
Il tutto è accaduto con la massima naturalezza, tanto che non ho smesso un secondo di parlare del lavoro e ho portato a casa un’approvazione piena e definitiva del progetto.
Potevo fare altrimenti? No: in quei giorni allattavo solo al seno e lui non prendeva latte artificiale.
C’è qualcosa di strano? No, credo che debba essere ovvio e accettato che in alcune situazioni madre e figlio non possano essere temporaneamente divisi, e se lavori non fai altro che portartelo dietro e fare quello che farebbe chiunque: dargli da mangiare.
Se poi il cibo arriva da una parte del tuo corpo deputata a farlo non ci vedo nulla di strano.
La maternità – non solo come condizione ma anche come pratica – andrebbe normalizzata.
Non dovremmo stupirci di vedere delle madri sul posto di lavoro che allattano (ovviamente parlo di lavori dove le cose siano conciliabili).
Riunioni, conference call, presentazioni… nulla ci dovrebbe fermare.
Voi avete mai fatto qualcosa di strano in bilico tra lavoro e maternità? Vi è mai capitato di mettervi ad allattare in occasioni curiose?
Cosa ne pensi?

Valentina Maran è nata a Varese nel 1977. È una copywriter freelance. Si è formata nelle più grandi agenzie di comunicazione milanesi e dopo un trionfale licenziamento ha scritto “Premiata Macelleria Creativa” (Fandango 2011). Scrive per riviste, committenza privata, blog di ogni tipo e si occupa prevalentemente di questioni di genere, femminismo, parità di diritti nella comunicazione. Con la sua socia Vanessa Vidale ha una piccola agenzia di comunicazione che si chiama NoAgency dalla quale non può licenziare nessuno, tranne se stessa. Da anni è docente in corsi ITS e IFTS post diploma dove insegna creatività.