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L’amore non finisce (ma può finire un amore)

L’amore non finisce (ma può finire un amore)

Guidavo da casa verso Parma. A volte mi capita di passare per i pezzi di strada che passo, non è la stessa cosa che guidare, sembra più un arrampicarsi in verticale che non un rollare stancamente picchiettando volante o nuca per non addormentarmi; sembrano rami tòrti che s’incrociano ogni tanto con altri rami, e quando faccio così trovo sempre appesa da qualche parte come una sorta di sacca nella quale depongo i pensieri che ho pensato. Guido e conto sul navigatore i chilometri che mi separano da casa, a volte quelli che mi staccano dalla stazione, dalla libreria, dall’intrico di vie che è Parma – tutte perpendicolari tra loro, almeno nel centro, con le direttrici certe per uno che si perde come me -; guido e conto i chilometri, ascolto canzoni prese a caso dalla mia playlist, penso ai fatti miei e ogni tanto li ritrovo in una curva, quei vecchi pensieri abbandonati, li ripenso, mi dico: Che ci fai qui? Come ho fatto a dimenticarmi di te?

A volte si tratta di libri – tipo: quel Cercas che ho letto quest’estate, in traghetto, sdraiato in mezzo a bimbi che urlavano e genitori che urlavano più di quelli.

Stamattina, da Parma verso casa, in una rotonda vicino alla Barilla ho pensato che ho amato dieci volte. Le macchine in quella rotonda si dividono letteralmente a mezzo: alcune tirano dritte verso Sorbolo, Lentigione e Viadana; altre vanno verso la sbarra, quella s’alza, puntano a fari accesi verso i diversi capannoni di uno stabilimento che già a guardarlo da Google è immenso. {Saba amava Trieste, le sue commistioni di lingue; io che la Bassa ho sempre faticato a ingerirla dico questo, il senso di solitudine immane che provi quando la attraversi in auto, attento a gatti e nutrie}.

Dieci volte. Non è un pensiero a posteriori – intendo: non è che stamattina mi sia messo a contare le dieci volte e, soddisfatto, ho pensato ad altro, tipo al caffè e al pezzo di parmigiano che avrei mangiucchiato a casa sfogliando la copia del New Yorker comprata ieri in stazione a Milano. No, al contrario: diverse volte, facendo quel tragitto, mi sono detto: cinque, e poi: sette, e poi: nove. Il sacco si riempiva piano, con la timidezza che hanno i momenti in cui ci diciamo: Ancora, e poi ancora, e poi: non più, per piacere.

(Come quando ieri sera ho visto quella ragazza di colore sul 16, aveva i capelli crespi e gli occhi di un fotografo, l’ho fotografata io fingendo un selfie da imbecille, guardava lontano e poi con un trapano a manovella mi puntava gli occhi negli occhi; Dio).

Stamattina ho detto: dieci; e allora è opportuno che le fissi, perché dieci è un numero serio.

Ma prima, visto che c’è spazio – e ho una mezza idea che mi prenderanno più di un paio di post, queste parole -, è indispensabile che spieghi cosa intendo con: amore.

Per me l’amore è un picco, non un lago. C’è amore se finisce?, mi chiese una volta una ragazza. Eravamo a Bologna e stavamo guardando un quadro che il suo compagno di appartamento aveva appeso. Era un olio, raffigurava una bambina che provava a salire su una bici troppo più alta di lei; s’inerpicava sui pedali. Per lei era significativo, per me storto; questo riassume il rapporto fra me e lei, lei ci guardava da dentro, per me eravamo sempre appesi male, per quanto aggiustassi il tiro c’era un qualcosa che non finiva a bolla. Sì, pensai e penso; o meglio: L’amore non finisce ma può finire un amore, e poi riversarsi in un altro amore, diverso ma quello. E per me l’amore è il picco, il momento in cui dici: Io non sono mai esistito se non così, il resto è follia e insensatezza, il resto sono direttrici dissolute; ma qui e così sono io, e t’impietrisci di fronte a cosa la tua immane povertà ha ospitato, fosse anche per una mezz’ora. Raffaele La Capria dice: Sono stato esistenzialista. Io penso: Siamo mai stati altro?

E i dieci momenti che ricorderò, questo sono, spesso: mezz’ore o ore, a volte culmini di mesi o anni, a volte solo mezz’ore o ore.

Il primo amore, per dire, è durato solo qualche minuto, si chiamava Rossella, ve ne parlo la prossima volta.

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