All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in…
Delitto di faccia
In alcuni Paesi, è illegale chiedere una foto del(la) candidat*. Finiti i tempi della segretaria “poliglotta e di bell’aspetto”: una foto può rivelare l’età, la forma fisica, la razza, le peculiarità (i capelli tinti di blu, il piercing al sopracciglio).
Alcuni datori di lavoro, è possibile, utilizzeranno anche questo criterio per selezionare le persone che vogliono incontrare. Altri, invece, come me, apprezzeranno una foto recente e verosimile per ricordarsi meglio della persona e per fare mente locale, dopo l’eventuale colloquio.
Insomma, si ricorda più facilmente un viso che un nome, di solito.
Foto che sì foto che no
In generale, consiglio di mettere la propria foto: non abbiate nulla da nascondere. O meglio, nascondete ciò che non è il caso di mostrare: il bikini, ad esempio.
Vedo decine di CV con foto da spiaggia. Eh no, dai. O con delle pose da selfie su Snapchat: le ragazze, tutte ammiccanti; i ragazzi, tutti tenebrosi.
Non esagerate con i filtri, non lisciatevi le rughe, non allungatevi il volto e per favore: non cerchiate la vostra faccia in mezzo a un gruppo di amici, ad una cena annaffiata di vino, con bottiglie e bicchieri ben in vista (sì, ho visto anche questo).
Che tipo di foto?
La foto deve essere recente. Ma veramente: non recente del genere prima della gravidanza o recente genere prima della calvizia. Non fa buona impressione presentarsi in un modo e rappresentarsi in un altro.
Una foto sobria e sorridente veicola sempre un’immagine di serietà. Quello che potete fare, è evitare la flashata frontale, girando leggermente le spalle o il viso.
Secondo certi studi, inoltre, gli occhiali contribuiscono a dare un’idea di intelligenza: per cui se li portate, non toglieteli per l’occasione. Ma questo vale per tutto, anche per i piercing: insomma, siate voi stess*
All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in seconda elementare, la maestra ha convocato i miei genitori perché “non era normale” che un bambino conoscesse tutti i nomi dei funghi in latino; a 13 anni ho amato per la prima volta senza sapere che non era amore; a 15 ho smesso di fare decathlon perché odiavo la competizione; ancora minorenne, sono stato processato da una corte marziale.
A 20 anni mi sono sposato e a 23 ho divorziato; a 25 anni dirigevo una start-up che ho fatto fallire; a 29 ho avuto la meningite, sono morto ma non ho saputo restarlo.
A 35 anni ho vissuto una relazione poliamorista e sono diventato padre di figli di altri.
A 42 mi sono licenziato da un posto fisso, statale e ben pagato per fondare l’Agenzia per il Cambiamento Purple&People e la sua rivista Purpletude.
A parte questo, ho 20 anni di esperienza nelle risorse umane, ho studiato a Ginevra, Singapore e Los Angeles, ho un master in comunicazione e uno in digital transformation e ho tenuto ruoli manageriali in varie aziende e in quattro lingue diverse: l’ONG svizzera, la multinazionale francese, le società americane quotate in borsa, la non-profit parastatale. Mi occupo soprattutto di comunicazione del cambiamento, di organizzazioni aziendali alternative e di gestione della diversità – e scrivo solo di cose che conosco, che ho implementato o che ho vissuto.