
Fabio Martinez è scrittore (ha pubblicato tre libri e Il…
Sono passati poco più di 18 anni, e di questi tempi sono tanti, ma questa lettera, che mio padre mi scrisse poco prima che fui concepita, mi sembra così attuale e credo, anzi ne sono convinta, lo sarà anche fra 180, fra 1800 anni e oltre! Basta poco, davvero, basta poco. Per cosa? Per trovare un lavoro, per trovare la serenità, la felicità. Basta poco e mio padre può dimostrarvelo:
“Sto per fare proprio una di quelle cose che pensavo non avrei mai fatto. “Non scriverò mai a mia figlia una di quelle lettere che dovrà leggere quando avrà 18 anni. Poi perché dovrei scriverle, sono in pericolo di vita?” Mi dicevo questo, ogni volta che vedevo una scena simile nei film.
Eppure, lo sto proprio facendo. Ma la cosa più stupida non è questa, no. C’è di peggio. Ancora non solo non sei nata, nemmeno ti abbiamo concepita. Io e tua madre nemmeno ne abbiamo parlato, ancora. Però, ti voglio e questo, ho imparato, fa tutta la differenza. E l’ho imparato proprio di recente, figlia mia.
Gli ultimi mesi sono stati un incubo, una frustrazione dopo l’altra. Sì, d’accordo, solo per quanto riguarda la sfera lavorativa, ma, quando qualcosa di importante va male o non va affatto, si soffre, c’è poco da fare. Non dico che tutto il resto finisca per sembrare uno schifo, no, anzi. Ma fino all’altro giorno ero un dannatissimo disoccupato e ci stavo male, malissimo. Nella mia vita ho sempre rigato dritto, mi sono laureato in tempo e tutto. Ho fatto pure un master, non volevo, ma l’ho fatto. Non volevo perché non mi convinceva alcun master. Tutti ti promettevano di imparare a vendere di tutto ma nessuno sapeva vendere se stesso. Alla fine l’ho fatto, perché non sapevo che fare, col risultato che ho perso solo un altro anno. Comunque, senza pensarci su poi tanto, ho iniziato a darmi da fare a mandare CV. Ne avrò mandati un centinaio, ogni volta facendo una seria indagine di mercato, studiando l’azienda ecc. ecc. Meraviglioso! Niente di niente! Nemmeno un maledettissimo colloquio di lavoro. Tua madre mi stava vicino, però, e questo mi permetteva di continuare a sperare. Almeno fino a un certo punto.
Una domenica sono rimasto solo in casa, tua madre era con delle amiche, e io non avevo voglia di far nulla. Per fortuna avevamo Amazon Prime. Così, ho provato a cercare qualcosa di carino da vedere e ho beccato The Boys. Ho iniziato con la prima puntata, poi con la seconda, poi è diventata una droga! In quella serie tv, i super eroi erano dei veri stronzi e dei tizi comuni hanno pensato bene di fare loro guerra. Credimi, quando vedrai cosa sa fare Homelander, capirai il coraggio o l’incoscienza che anno avuto quei ragazzi. E io? Io ancora continuavo a mandare CV a super eroi. Dopo l’ultima puntata (era già sera e tua madre era tornata da un po’), mi sono alzato, mi sono battuto il pugno sul petto e ho deciso cosa avrei fatto: mi sarei fatto assumere in una di quelle banche che si ostinava a non rispondermi. Sì, mi sarei fatto assumere e poi avrei trovato un modo per rubarle una macello di soldi!
Ed ecco qui il paradosso: mi sarei fatto assumere per derubare quella stessa banca e da quella stessa banca dove non riuscivo ad essere assunto. Come avrei fatto, allora? In quel momento, forse perché avevo visto troppe puntate di fila, non ci pensavo. Sapevo solo che ce l’avrei fatta. Ho fatto tanto, però, che, dopo appena una settimana, mi hanno assunto davvero! Così, seduto alla mia nuova scrivania, ho pensato “ora posso finalmente attuare il mio piano. Vi colpirò dall’interno, maledetti!”. Ma, se adesso avevo un lavoro, a cosa mi sarebbe servito rubare? Per far guerra ai super eroi? E allora ho capito: in un anno intero, non sono riuscito a trovare un solo lavoro; mentre, in solo sette giorni, puntando non a trovare un lavoro ma a volerlo, a considerarlo certo, l’ho davvero trovato.
Ora ho deciso, figlia mia, non deruberò la mia banca ma mi darò da fare e soprattutto per metterti al Mondo. Troverai un mare di studi sulle frequenze che emaniamo e su quanto queste possano condizionare la realtà circostante, come appunto il successo nel lavoro. Non so, sai, non ci capisco molto di fisica quantistica e di roba simile. Ho imparato solo questo: conta solo quanto vuoi una cosa, e quella cosa la troverai proprio quando avrai smesso di cercarla, quando avrai cominciato a pensarla come già raggiunta.
Buon diciottesimo, figlia mia.
Tuo padre.”
Cosa ne pensi?

Fabio Martinez è scrittore (ha pubblicato tre libri e Il Graal ritrovato, edito da Tipheret, è il suo ultimo romanzo), sceneggiatore e storyteller. Per narrare (anche impresa), ha inventato un nuovo format (#dialoghidimpresa): dialoghi autonomi, per lo più brevi e che non si esauriscono svolgendo la loro funzione pubblicitaria, restando capaci di durare nel tempo e nello spazio. Possono essere tra due o più persone, tra un essere umano e un animale, un robot, il vento o qualunque altro interlocutore immaginabile. Possono raccontare e parlare di tutto anche dello Zen. D’altronde, il nostro modo di pensare, di ragionare non è un dialogare con noi stessi? Tutta la nostra realtà non è forse un dialogo costante?