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Chi governa il mondo conosce le parole (quelle che creano le storie che tengono in piedi il mondo).

Chi governa il mondo conosce le parole (quelle che creano le storie che tengono in piedi il mondo).

Non si può non comunicare

La comunicazione consapevole ha un potere universale: può generare vita.

Può accendere realtà addormentate. E, in alcuni casi, può pure trasformare intere esistenze umane (lo dice uno che a 20 anni non parlava e non esprimeva opinioni).

Ora però, non voglio incartarmi con slogan da mentalità positiva e storytelling autobiografico.

Stiamo invece alla realtà dei fatti. Che dice questo: la radice del termine comunicare risale al latino communico (‘metto in comune’, ‘metto insieme’).

Che caspita è la comunicazione?

La comunicazione è uno scambio, un rapporto di trasmissione, una messa in comune, una socializzazione di informazioni percepite.

Ti risuona? Lo senti il suono dolce di queste parole?

Il processo di comunicazione implica quindi una relazione. Ed è il mezzo attraverso il quale tutti gli esseri viventi hanno rapporti tra di loro.

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Per capirlo sorridendo, ti propongo di fare un gioco. Si chiama “Senza comunicare” ed è pericolosissimo (qualcuno dice che è più rischioso dello scherzare col fuoco).

Consiste nel provare a togliere la comunicazione – quella che va oltre l’uso della parola – dalla nostra vita quotidiana.

Strap! Estirpare la comunicazione dal nostro quotidiano.

Già da oggi: basta comunicare. Stop alle comunicazioni.

Ci hai provato?

Ma no dai, è impossibile questo gioco. Impossibile oggi e pure tra 1000 anni.

Non si può non comunicare, perché vorrebbe dire “stare sospesi in aria”.
Vorrebbe dire non essere più interagenti né interconnessi.
Essere soli. Abbondantemente soli. Destinati ben presto a morire.

Non si può non comunicare anche perché – come insegnano i maestri di quest’arte – se non comunichi, probabilmente sei già defunto.

Tornare in terza elementare

Poi però a volte, siamo curiosi. O meglio, risultiamo parecchio curiosi.

Per esempio quando diciamo “Ah sì, e poi mi interesso di comunicazione”.

Come, scusa?

È davvero divertente questo punto di vista perché, ripetendo un gioco di parole già fatto, è la comunicazione che si interessa a noi.

Da migliaia di anni ormai.

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Ok, facciamo un altro gioco, ti va?

Questo è più noioso del precedente, ma è molto più solido nella realtà che viviamo.

Immaginiamo che la nostra comunicazione sia come un impasto, che facciamo ogni santo giorno. Lo facciamo in automatico, senza pensarci e, talvolta, senza nemmeno ascoltarci. A ripetizione, lo facciamo.

Ta ta ta ta ta ta ta ta…

Il gioco, in questo caso, consiste nel riconoscere gli ingredienti. Cioè osservarli, per comprenderli.

A quel punto, come se tornassimo in terza elementare, ci ricordiamo di un dettaglio: la comunicazione è un fenomeno complesso, che si articola in varie componenti tra loro dinamicamente connesse.

  • Gli scopi per cui si comunica (trasferire informazioni, manifestare sentimenti, indurre comportamenti, soddisfare bisogni, ecc.).
  • Le persone coinvolte nella comunicazione (l’emittente è colui che invia il messaggio; il ricevente è colui che lo riceve).
  • Il contesto – condizionante – entro cui si comunica (famiglia, amici, lavoro, luoghi pubblici, ecc.)
  • La forma. Emotiva, referenziale, conativa, metalinguistica, fatica estetica.
  • I segni e i linguaggi usati per comunicare (vedi anche: semiologia)
  • Le informazioni che si scambiano nella comunicazione (il messaggio da trasmettere).
  • I media (il canale o contatto) attraverso cui si comunica.

Sembra una gran rottura di scatole riascoltare questi termini. Ma sono gli ingredienti dell’impasto che poi mettiamo in forno, per alimentare ogni nostro giorno.

Abitare nel mondo delle parole

Poi c’è la comunicazione nel meraviglioso mondo delle parole.

“Abitandoci” sia per necessità che per lavoro, trovo sorprendente quanto sia ancora diffusa l’inconsapevolezza sull’architettura del comunicare.

Trovo sorprendente soprattutto il nostro analfabetismo percettivo. Quello verso l’influenza delle parole usate e dei toni che le accompagnano.

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Abbiamo fatto invenzioni e scoperte incredibili. Ma, a volte, ho la sensazione che non ci siamo ancora resi conto del vero potere della parola millenaria.

Così tendiamo a pensare che i grandi oratori abbiano un impatto sul mondo, grazie a caratteristiche carismatiche o a un sorriso smagliante.

Certamente influisce anche quello (che è un modo di comunicare).

Ma, santa polenta, c’è un mondo gigantesco oltre al talento naturale e alle caratteristiche personali. Un mondo con tre corsie:

  • allenamento alla conoscenza di sé (non finisce mai)
  • allenamento allo studio della propria espressione e comunicazione (non finisce mai)
  • allenamento al contatto con il proprio coraggio di esprimersi e comunicare (non finisce mai)

A volte porte, a volte prigioni

Chi conosce le parole è una persona che ha potere, perché con le parole apre porte su mondi con cui desidera interagire.

Certo, quel potere poi lo possiamo usare a seconda di dove vanno la nostra coscienza, i nostri stimoli, le nostre pulsioni. I nostri desideri.

Chi governa il mondo, di solito, conosce le parole.
Chi conosce le parole, crea le storie.
Le stesse storie che tengono in piedi il mondo.

Nelle parole, però, si può anche rimanere imprigionati.

Io che della parola ho scelto di definirmi “mosaicista”, lo sento costantemente questo pericolo: è l’altra faccia del potere.

Che in conclusione al post, il grande Anthony De Mello ci racconta così.

Un guru una volta stava tentando di spiegare a una folla il modo in cui gli esseri umani reagiscono alle parole, si nutrono di parole piuttosto che di realtà.
Uno degli uomini si alzò e protestò, dicendo: “Non sono d’accordo sul fatto che le parole abbiano un effetto di questa portata su di noi”.
Il guru rispose: “Siediti, figlio di puttana”.
L’uomo divenne livido di rabbia e disse: “Tu ti definisci una persona illuminata, un guru, un maestro, ma dovresti vergognarti di te stesso”.
Il guru allora rispose: “Perdonami, mi sono lasciato trasportare. Non volevo. Chiedo scusa.”
L’uomo si calmò. Allora il guru disse: “Sono bastate poche parole per scatenare una tempesta dentro di te. E ne sono bastate poche altre per farti calmare nuovamente, non è vero?
Parole, parole, parole, parole: quanto possono imprigionarci se non sono usate correttamente.
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