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Perché è giusto mentire in azienda e in politica

Perché è giusto mentire in azienda e in politica

Mentire

L’azienda e la politica hanno vari punti in comune. Uno mi pare essere questo: a volte si fanno cose consapevolmente inutili rispetto ai bisogni reali. Di conseguenza, ciò che si racconta su finalità e benefici di queste cose è sostanzialmente falso. Non stiamo certo scoprendo l’acqua calda: in politica, come in azienda, mentire è sistematico. Lo sappiamo.

La cosa interessante però è che ce lo dimentichiamo di continuo.
Ma andiamo con ordine.

La balle non sono tutte uguali

Io dico bugie. Moderatamente, a supporto di un certo grado di fisiologica ipocrisia, ma ne dico. Penso però di poter dire che sono in buona compagnia.

In uno studio di qualche anno fa condotto negli USA hanno mappato una media di almeno due bugie al giorno a carico degli americani. Al di là del numero (e del fatto che rientro nella media) bisogna però che ci intendiamo su cosa significhi mentire.

Una balla è propriamente detta se c’è una persona che fa un’affermazione sapendo che il contenuto di quell’affermazione è falso, e la fa con l’intento di ingannare chi ascolta. Mentire ha quindi a che fare in un certo senso con l’intenzione di chi parla, non con l’azione in sé. Banalmente, si può dire una bugia e non essere creduti.

Ma oltre all’intenzione (voglio ingannarti) e all’azione (ci riesco), c’è anche un terzo elemento che non mi sembra trascurabile: la finalità.
Diciamocelo, è un po’ la scappatoia che ci pulisce la coscienza, è il pulsante rosso di emergenza che sopisce qualche senso di colpa di troppo: è il concetto di bugia buona (o ” bianca”). Si è vero: ho detto una bugia e sono stato bravo perché mi hai creduto. Ma l’ho fatto per una buona ragione che tutto sommato non ha conseguenze negative su di te. Anzi, magari mentire era per il tuo bene.

Il paradosso di far accadere le cose (e mentire)

Se in azienda, come in politica, fosse sufficiente decidere quali sono le cose che servono davvero, vivremmo in un mondo ideale. Purtroppo individuare le cose necessarie per il raggiungimento di un dato obiettivo è solo il primo passo della faccenda. Il passaggio più tosto viene dopo ed è quello dell’implementazione e della stabilizzazione.

Cioè il grosso problema è fare accadere le cose. E fare accadere le cose è complicato perché ha a che fare con i vincoli, con i comportamenti e con le aspettative.

Ad esempio, potremmo essere tutti d’accordo che mettere più soldi in tasca agli italiani dovrebbe portarli (semplificando) a spenderne di più, ad aumentare i consumi, e quindi la ricchezza e il tasso di crescita del Paese. Ma non ne hai la certezza: cioè non sai se e quanti di quei soldi che hai messo loro in tasca spenderanno o risparmieranno nel breve termine. Dipende da molte cose, ma una di queste è appunto l’aspettativa e la fiducia: le cose andranno bene o andranno male, nel prossimo futuro? Mi conviene tenere i denari nel salvadanaio o metterli in circolo?

Ed ecco il paradosso: se le cose vanno male e metti i soldi in tasca agli italiani sperando di farle andare meglio domani, devi convincerli che le cose stanno già andando bene oggi. Insomma, devi mentire.

Le cose inutili che servono

Questo paradosso vale in politica, così come in azienda.
E le aziende, ultimamente, le ho vissute con uno sguardo esterno che mi fa perdere molti pezzi ma allo stesso tempo mi offre la giusta lucidità per coglierne altri.

Chi mi conosce sa che sono dipendente dalle serie TV. Quando ho iniziato a lavorare nell’ambito della consulenza pochi anni fa, ne ho cercata qualcuna sul tema e ne ricordo una molto godibile, dal titolo interessante: House of Lies, la casa delle bugie.

Ecco, consulenza e bugie nell’esperienza di molti hanno fatto (e fanno) dei pezzi di strada assieme. Può capitare che un consulente menta sulla propria esperienza per avere più probabilità di prendere un lavoro, o peggio ancora che menta sui risultati raggiungibili per il cliente.
Altre volte è il cliente a mentire: minimizzando o edulcorando alcune variabili critiche in fase di ingaggio, raccogliendo la “terza offerta” formale consapevole che la decisione è già stata presa. Per fortuna non è la normalità, ed è anche il motivo per il quale in questo ambito la fiducia reciproca conta anche più del denaro, se non altro perché se non costruisci o ottieni la prima, è difficile che vedrai il secondo.

Anche qui però c’è uno spazio di non verità nel quale può capitare che cliente e consulente scelgano consapevolmente di lavorare. Succede quando un progetto utile non ha le condizioni per partire o per generare un cambiamento sostenibile nel tempo. In questi casi una delle opzioni disponibili è creare le condizioni con un’attività che presa da sola magari è inutile o non prioritaria, ma tatticamente serve a preparare il terreno per il progetto vero.

Poi può anche portare dei risultati operativi utili al momento, oltre alla consapevolezza, e allora lo descriviamo come un quick win. Ma è incidentale, un effetto collaterale positivo.
Diciamo che è un po’ come un placebo: non ha nulla di efficace ma, se le aspettative del paziente sono positive, può generare comunque un lieve miglioramento.

La versione buona della balla

Il punto di unione tra bugie, politica e business l’ho trovato in un bel paper (qui per approfondire)) che prende spunto dai lavori di Hannah Arendt sulla menzogna in politica e fa l’esercizio di ricercare un parallelo con quanto accade in azienda.

Ma tra le categorie dei motivi per cui i manager e i politici mentono, ho trovato sempre un filo conduttore negativo: il fatto di mentire è legato alla costruzione e al mantenimento di un’immagine di successo, spesso per piacere agli altri; si mente perché la comunicazione ha più a che fare con le opinioni che con i fatti, si mente perché si usano modelli che semplificano troppo la realtà, si mente perché ci si autoinganna (il famoso campo di distorsione della realtà di Steve Jobs).

Penso invece che alcune non-verità possano essere tatticamente utili in azienda, come in politica, e dovremmo imparare a riconoscerlo apertamente senza timore di dire cose sconce. Non fosse altro che per mettersi il cuore in pace: a volte non capisci il motivo delle cose che accadono in azienda semplicemente perché non ce n’è uno.

Naturalmente, bisogna fare attenzione a non farsi sfuggire la situazione di mano, altrimenti i risultati possono essere drammatici (vedi ricerca Ipsos sul confronto percezione vs realtà).

Ma ci vedo una nota consolatoria (se non autoassolutoria), per dirla sempre con Arendt:

[Il bugiardo] è un attore per natura; dice ciò che non è così perché vuole che le cose siano diverse da quello che sono – cioè, vuole cambiare il mondo.” (Arendt, H.: 1968, Truth in Politics)

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