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A che ora arriva l’ispirazione?

A che ora arriva l’ispirazione?

Ho mentito. Proprio ieri. Su questo blog.

Ho detto che non temo il foglio bianco. In un certo senso è una bugia. Sembrerebbe che sappia sempre cosa dire e scrivere, che le idee, quelle giuste, buone o accettabili, vengano con le prime luci del mattino.

Non è vero.

La mia giornata è ormai scandita da un sacco di cose noiose, non proprio dolorose ma quasi, da parole scritte e gettate via alla voce bozze – cose che non pubblicherò mai.
Inizio a guardare più di 100 siti che ho segnato come “stimolanti”. Guardo una dozzina di Ted, senza un ordine preciso, diciamo random.
Apro a caso i libri che ho già letto mille volte.
Guardo tutti i topic trend, mi perdo in mille meme su twitter.
Faccio avanti e indietro verso la veranda, cerco di guardare più lontano possibile e cercare di sentire cosa dice la signora nel palazzo accanto.
Poi torno sulla sedia. E scrivo. E taglio. E archivio cioè butto.

Poi finalmente arriva
E poi quando pare che sia l’eccezione…arriva la regola. Un’idea brilla, le parole si incastrano e ne viene fuori un pensiero. Non sempre memorabile ma con senso, direi anche con significato.
Ogni giorno, ogni mattina, ormai sono quasi 90 giorni uno dietro l’altro.
(Più di 200 se metto dentro anche ciò che scrivo per i clienti).

Insomma, ancora una volta ha ragione il Re:

Non aspettate l’arrivo della musa. A costo di ripetermi, è un tizio cocciuto, poco disposto a svolazzare in giro spargendo la sua polverina. Qui non stiamo discutendo di spiritismo o tavole Ouija, ma di un impiego qualunque, tipo installare tubazioni o guidare autoarticolati. Sarà vostro preciso compito accertarvi che la musa sappia dove scovarvi dalle nove a mezzogiorno o, poniamo, dalle sette alle tre del pomeriggio. Se righerete dritto, vi assicuro che prima o poi il nostro amico comincerà a fare capolino, masticando un sigaro e dando fondo alle sue magie.

(Tratto da Stephen King, “On writing – autobiografia di un mestiere”)

Anche se il tuo lavoro non ha a che fare con la scrittura

Il tizio barbuto non è solo la creatività, la figura reale di ciò che i poeti chiamano musa e ci hanno insegnato ad immaginare strafiga.
Il tizio barbuto è semplicemente “Fare il lavoro”

È la mamma, il babbo, il maestro, l’amico più grande e navigato, chi ci vuole bene, noi in un momento di lucidità che diciamo “no pain, no gain” o “gli occhi sulla palla”
È il costo. Il costo della libertà. Di fare un lavoro che ci fa stare bene, di fare un lavoro che amiamo.

Perché poi si torna a questa cosa: il lavoro che amiamo, una vita che amiamo non è mai tutta rosa. O tutto bianco o tutto nero.
È un arcobaleno, con varianti di grigio e persino marrone.

È scegliersi a tal punto da ingoiare rospi come fossero moncheri
È fare il lavoro. Fare tanto.

Correre contro vento
Correre anche quando fuori piove

Alzarsi dal letto
Alzarsi dal letto anche se si sta così caldi e fuori fa invece un freddo cane.

Perché poi, essendo sinceri, ci rimane solo questo: essere fedeli a noi stessi.
Non tradirsi. Non fare ciò che è comodo per una vita e poi rimpiangerlo per l’eternità.

Fare ciò che amiamo. Quindi fare anche ciò che odiamo.

Perché c’è uno scopo che ci guida.
Avere uno scopo, la libertà, ed il prezzo.

Andare d’accordo con il tizio barbuto che ci sta accanto.
Rancoroso. Puzzolente. Tendenzialmente antipatico.

Fa schifo.
Ma ne vale la pena.

Anzi è la cosa più bella che possa capitare.

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