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Wandering (vagare), l’arte di andare senza meta in cerca di qualcosa

Wandering (vagare), l’arte di andare senza meta in cerca di qualcosa

Ci fu un tempo in cui per l’essere umano vagare era un’attività di vitale importanza. Se non si vagava, non si esplorava. Se non si esplorava, non si trovava. E se non si trovava non si sopravviveva.

Oggi le cose sono cambiate… forse.

Qualcuno pensa che l’essere umano abbia esplorato tutto l’esplorabile, trovato tutto il trovabile e capito tutto il comprensibile.

Se è così siamo alla fine! Godiamoci il gran finale e mettiamoci l’anima in pace.

Qualcun’altro pensa che l’essere umano abbia ancora qualcosa da esplorare. Ma esplorare sembra essere diventata un’attività difficile, per pochi.

Se è così non siamo alla fine, ma ad una svolta. Siamo nell’epoca della specializzazione dell’esplorare.

Io sostengo una terza ipotesi. Esplorare per noi esseri umani è un’attività vitale, come respirare. E se l’essere umano smette di esplorare sta cominciando a deperire. Come se un albero smettesse di mandare rami e sottorami in tutte le direzioni ad acchiappare raggi di luce: morirebbe.

Questa mia idea si è rinforzata sempre di più quando qualche anno fa ho incontrato Keri Smith e i suoi meravigliosi libri. Libri che a mio avviso tutti dovrebbe leggere (sempre che leggere sia il vocabolo adeguato per descrivere l’esperienza di lettura dei libri di questa splendida scrittrice!).

Nel suo ultimo libro … si parla di wandering (vagare) che è diverso da going (andare). Wandering assomiglia ad andare, ma non è andare. Wandering è piuttosto andare senza meta in cerca di qualcosa, senza sapere cosa si troverà.

È leggendo e praticando i libri di Keri Smith che mi sono letteralmente ricordato del talento dimenticato del vagare, dell’esplorare e dello scuriosare.

Per ricordare cosa sia il vagare (wandering) è utile confrontarlo con l’andare (going).

Andare: si va in un luogo, in un posto, da qualche parte, a far qualcosa, a comprare qualcosa, a incontrare qualcuno. Si arriva e si torna a casa.

Vagare: si vaga non si sa dove, non si sa per cosa o per chi, non si quando o per quanto, non si sa se qualcosa accadrà o si troverà. All’improvviso ci si imbatte in una sorpresa inaspettata e si torna a casa cambiati.

Tutti percepiscono che senza andare non si vive. Andare al lavoro, a scuola, dagli altri. Se non si va non si riceve e non si dà. E se non si riceve e non si dà, non si vive.

Ma che dire del vagare? È un’attività necessaria come l’andare o è un’attività extra (o peggio ancora inutile e controproducente)?

Quando si va, si va con un intento. Quando si vaga, non si sa a cosa si va incontro.

In una società andare e vagare si completano e si sostengono. Ci sono addirittura gli specialisti nel vagare ed esplorare e gli specialisti nell’andare e coltivare. I primi sono i ricercatori, i secondi i lavoratori.

Chi vaga scopre il nuovo e chi va coltiva il nuovo che altri hanno scoperto.

Immagino l’uomo che per primo mentre vagava si è imbattuto in una spiga e ha visto in essa un potenziale. Ha inventato l’agricoltura!

Penso agli uomini che tutti i giorni si recano nei campi. Coltivano l’agricoltura e la perfezionano!

Per una popolazione avere qualcuno che si occupi di vagare è necessario. Tanto che gli esploratori ieri e gli scienziati oggi sono molto apprezzati e stimati.

E per il singolo vagare è ancora importante? O è un’attività delegabile?

Chi può dare una risposta?

Potresti approfittare di questi giorni di vacanza per esplorare la risposta. Prenditi una mezz’ora tutti i giorni per vagare.

Esci di casa senza scopo e va dove ti porta il cuore (o il caso).

Accetta la possibilità che arrivino il dubbio e la noia, prima che improvvisamente appaia qualcosa. Magari un dettaglio visto e rivisto che un giorno passa per il tuo centro e tu cominci a guardare tutto da quel nuovo punto di vista.

Tra 8 giorni raccontami la tua risposta.

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