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Allenare il desiderio nel lavoro ci può rendere felici

Allenare il desiderio nel lavoro ci può rendere felici

Allenare il desiderio nel lavoro ci può rendere felici

La domanda insidiosa

Come ti chiami? Simone. Quanti anni hai? 40. Dove vivi? Lucca. Che lavoro fai? Sono orientatore. Cos’è il lavoro per te?…

La ricerca della risposta all’ultima domanda mette in crisi la maggior parte dei miei studenti.
Per molti il lavoro è uno strumento, un mezzo, la condizione necessaria per acquisire una dignità.
Tutte cose comprensibili, ma se il lavoro è un mezzo, qual è il fine? I soldi? La felicità? Una stabilità economica, famigliare, personale? Secondo il mio punto di vista qui sta il grande errore sociologico che la cultura e la società civile ci ha portato a compiere.

L’etimologia del termine lavoro ritrova le sue basi nella cultura greca e richiama a una componente, anch’essa spesso dimenticata, della condizione lavorativa: quella della fatica. Il lavoro in fisica è dato dal prodotto della forza per lo spostamento tale da garantire, in un sistema ben preciso, una modifica o un cambiamento di qualcosa.

Nel lavoro è quindi richiesta un’energia particolare per far sì che tale sforzo porti al risultato sperato. Questa energia si chiama motivazione, e la motivazione è ciò che produce premi (in denaro o di merito), soddisfazioni e un lavoro ben fatto.

Il lavoro può darci felicità?

Il lavoro quindi non è altro che quella condizione che offre all’uomo la possibilità di farsi valere nella società e nel servizio per gli altri. Chiamarlo “mezzo” o “strumento” è riduttivo e non dà il giusto valore alle attività.

Dovremmo riuscire a definire il lavoro come il fine della nostra felicità.
Passiamo gran parte della nostra giornata nei luoghi di lavoro o nel creare relazioni professionali; nel tempo libero invece ci occupiamo di noi stessi, della nostra famiglia e dei nostri hobby.

Credo sia urgente riconsiderare il tempo del lavoro come tempo in cui creare e allenare la felicità per sé e per gli altri. Semplicemente essere felici, in relazione con gli altri. Senza doppi fini, senza chimere o utopie di stipendi che non si potranno avere o posti di lavoro di grande riconoscimento sociale che non potremo mai raggiungere. Ognuno è chiamato, per conto di Dio, come direbbero i Blues Brothers, a rispondere a questa missione sociale e personale.

Quando parlo di ciò in aula o in contesti pubblici, mi sento dire che il lavoro manca, non c’è, se ne trovo uno devo ritenermi fortunato. Quello di cui stiamo parlando è il lavoro inteso alla vecchia maniera, quello dell’errore sociologico. Se modifichiamo la nostra mentalità e se impostiamo noi stessi sulla giusta ricerca della nostra posizione professionale, sarà difficile non riuscirci o doversi accontentare di un lavoro qualunque.

Non uno bensì più obiettivi

Questa valenza negativa del lavoro è solo una questione di mentalità. Sì, proprio così, una mentalità disfunzionale che ci fa perdere il riferimento, l’oggetto della nostra ambizione, il nostro obiettivo professionale, oserei dire il nostro Moby Dick.

Nei vari percorsi di coaching si sente sempre parlare di porsi degli obiettivi, perché senza il motivo per cui dobbiamo o vogliamo fare qualcosa, è letteralmente impossibile rivolgere la giusta attenzione e sapere che direzione dobbiamo prendere. Niente di più vero, ogni ricerca e viaggio parte dal conoscere o dal desiderio di conoscere la destinazione, la meta.

In poche parole devo conoscere che tipo di lavoro voglio svolgere se devo indirizzare la ricerca in quella direzione. Ecco che ci troviamo di fronte al grande dilemma. Come riesco a sapere quale lavoro voglio fare se quel tipo di lavoro non lo conosco?

L’unica persona che può venirti in aiuto in questi casi sei tu!

E la parola magica che ti aiuta a scoprirlo è il desiderio.

I sogni son desideri

Trovare il lavoro che permetta la realizzazione di sé e la propria felicità non è impossibile, ma innanzitutto si deve desiderare.
Il desiderio è la volontà di avere qualcosa che non conosciamo e il fatto di immaginare o sognare questo qualcosa ci rende felici.

Il desiderio è il motore della nostra felicità. Molti letterati hanno individuato nell’atto del desiderare, il momento in cui alleniamo la felicità. La sua ricerca costante per molti di loro non è altro che essa stessa felicità perché dal momento che un obiettivo viene raggiunto, la felicità vede il suo culmine, e subito dopo tende a sgonfiarsi.
A questo punto la felicità sta nella ricerca di nuovi stimoli e nuovi obiettivi. Questa grande e continua recherche si può applicare al lavoro nel desiderio di raggiungere un obiettivo dopo l’altro per raggiungere il macro obiettivo che talvolta corrisponde al sogno.

Ecco perché poi verrà naturale, quando ti chiedono qual è la tua professione, rispondere “sono” tal dei tali, e non “faccio” o “svolgo” queste attività, o “vorrei fare…” queste cose, “vorrei diventare…” un determinato ruolo.

Vedere scritto ciò che desidero è già un primo passo verso il suo raggiungimento, proprio perché io stesso inizio a crederci.

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