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Problem solving e smettere di complicarsi la vita

Problem solving e smettere di complicarsi la vita

tagliare il problema

“La porta è la via d’uscita, perché nessuno vuole servirsene?”. Così disse Confucio. Viviamo come se la soluzione ai problemi non avesse nulla a che fare con il modo in cui noi cerchiamo di risolverli, ma solo con il modo in cui i problemi sono iniziati. Per liberarci dalla maggior parte dei “casini” che affliggono la nostra vita sarebbero sufficienti un paio di forbici per tagliare i circoli viziosi che li alimentano, ma noi vogliamo le chiavi che li sciolgano. L’arte del Problem Solving comincia proprio da qui: imparare a risolvere i problemi, piuttosto che cancellarli.

Bravi a complicarci la vita

Come esseri umani abbiamo una tendenza irresistibile a complicarci la vita. Ed è proprio da questa presa di coscienza che dovrebbe iniziare l’apprendimento del Problem Solving.

La vita ci mette davanti problemi e noi cerchiamo di cancellarli. Nonostante i nostri tentativi di eliminarli, i problemi rimangono e diventano come un gomitolo attorno al quale arrotoliamo, come filamenti, i nostri eroici tentativi di dissolverli. È così che i problemi semplici diventano problemi complessi.

Come accade con l’ansia

Pensate all’ansia. Di per sé è un corteo di sensazioni, talvolta molto intense, talvolta meno intense. A volte blocca, altre volte accompagna per ore e giorni. Ma è e rimane una sensazione.

Se per sedare questa sensazione assumiamo farmaci ansiolitici, la sentiamo meno, ma quando smettiamo di assumere i farmaci, la sensazione può ritornare. Così decidiamo di assumere di nuovo i farmaci, tanto sono sicuri e soprattutto li prendono in tanti. Qualcuno allora preferisce andare alla ricerca delle cause e, a seconda di quello che trova, può diventare un figlio non amato, un adulto stressato, un cervello non ben programmato.

Pensate a cosa è accaduto. All’inizio avevamo un problema semplice, ossia delle sensazioni, alla fine abbiamo uno o più problemi complessi: una dipendenza da farmaci e/o qualche strana idea su di noi.

Come funziona un problem solving di qualità

Un buon Problem Solving di qualità dovrebbe quindi essere, innanzitutto, il saper evitare o lo smettere di trasformare i problemi semplici in problemi complessi. Piuttosto che complicarsi la vita alla ricerca della chiave che sciolga i nodi, imparare a usare le forbici per tagliarli.

La buona notizia che ci viene dallo studio del Problem Solving, infatti, è che dopo aver tagliato i circoli viziosi e aver smesso di complicarci la vita alla ricerca delle chiavi, possiamo affrontare i problemi che la vita ci mette davanti con più agilità fisica e freschezza mentale. E quello che più sorprende è che una buona parte dei problemi trova a questo punto la propria soluzione quasi senza sforzo, come per incanto.

La soluzione ai problemi è il cambiamento

Nel loro libro dal titolo Change: la formazione e la soluzione dei problemi, del 1974, Paul Watzlawick, John Weakland e Richard Fish ci ricordano che risolvere un problema richiede sempre un cambiamento, ossia una “deviazione dalla norma”. In virtù del tipo di cambiamento richiesto, i problemi possono essere classificati in due categorie:

  • I problemi semplici.
  • I problemi complessi.

I primi per essere risolti richiedono un cambiamento di tipo 1: un aumento o una diminuzione; i secondi un cambiamento di tipo 2; un salto logico, un passaggio di livello.

Il cambiamento di tipo 1 è paragonabile ad una accelerazione o ad una decelerazione. Il cambiamento di tipo di tipo 2, invece, ad un cambio di marcia.

Ci sono cambiamenti e metacambiamenti

Facciamo due esempi di Problem Solving applicato alla vita quotidiana:

– Quando viene freddo, se vogliamo risolvere il problema del freddo, possiamo fare due cose: vestirci di più e aumentare il riscaldamento. Se il freddo aumenta, possiamo vestirci di più e aumentare ulteriormente il riscaldamento. Il problema, il freddo, si risolve tramite un aumento del caldo; il suo opposto, l’eccesso di caldo, con una diminuzione del caldo. Questo è un problema semplice e per essere risolto richiede un cambiamento di tipo 1.

– Diverso è il problema dell’insonnia. Un conto è quando abbiamo difficoltà a dormire una notte ogni tanto, un conto è quando abbiamo difficoltà ad addormentarci tutte le notti per molto tempo. In questo secondo caso, di solito, la prima cosa che potremmo fare è sforzarci di addormentarci. Pensiamo, infatti, che più ci sforziamo più sarà facile addormentarci. Tuttavia, quello che accade in pratica è proprio l’opposto. Più ci sforziamo di addormentarci, meno riusciamo ad addormentarci. Lo stesso vale anche per altre funzioni fisiologiche come l’andare di corpo, il digerire, il respirare, l’essere felici. Più ci sforziamo e meno risolviamo.

I problemi diventano complessi quando cerchiamo di risolvere problemi semplice con un cambiamento di tipo 1, mentre richiederebbero un cambiamento di tipo 2. Cerchiamo di accelerare, quando dovremmo semplicemente cambiare marcia.

Le nostre tentate soluzioni preferite

Sempre in Change, premessa essenziale ad ogni forma di Problem Solving moderno, gli autori ci fanno capire che il modo in cui reagiamo ai problemi semplici, trasformandoli in problemi complessi, tende a seguire uno di tre copioni ricorrenti. Sono questi i modi in cui ci complichiamo la vita.

  1. Le semplificazioni terribili: “Bisognerebbe agire, ma non agiamo”.
  2. La sindrome da utopia: “Agiamo, quando non dovremmo”.
  3. I paradossi: “Agiamo a livello sbagliato”.

Come vedete, nulla di più semplice! Non agire, agire o agire a livello sbagliato.

Il Problem solving: nulla di più semplice

Sembra strano, ma alla fine dei conti l’arte del Problem solving non è tanto quella di ricostruire cosa è accaduto nel passato, ma piuttosto quella di osservare quello che accade nel presente. Prendere nota del modo in cui cerchiamo di risolvere le difficoltà che la vita ci mette davanti e osservare se funziona. E se non funziona: cambiare.

Forse vi ho stupito. Vi ho fatto grandi premesse e alla fine la ricetta finale è qualcosa di estremamente banale: imparare a cambiare marcia quando invece vorremmo limitarci ad accelerare e decelerare.

Come disse Kaspar “Per quanto sia audace esplorare l’ignoto, lo è ancora di più indagare il noto”.

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