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Fare qualcosa che non si ritiene etico: quando il lavoro è in conflitto coi propri principi

Fare qualcosa che non si ritiene etico: quando il lavoro è in conflitto coi propri principi

Il lavoro ci identifica.
Non solo dal punto di vista sociale – per il prestigio o il reddito – ma, per certi aspetti, dal punto di vista umano.

Di un’artista si suppone sia una persona creativa, di un soldato che sia rispettoso delle regole, di una volontaria o di un missionario che siano altruisti.

Il lavoro e la professione che ci siamo scelti, in qualche modo, ci raccontano come persone.
Scegliendoli, ne abbiamo abbracciato le condotte e i valori di fondo.

Il conflitto valoriale

Che succede quando l’esercizio della nostra professione va contro i nostri valori e le nostre credenze profonde?
Entro certi limiti ci conviviamo.

Un giudice applica la norma anche quando non la condivide, perché non ha scelta: l’ordinamento italiano prevede che possa astenersi dal giudizio solo in caso di interesse diretto o indiretto in quella causa o in altra analoga (art. 51 c.p.c. e art. 36 c.p.p.); mai per ragioni di coscienza.

Allo stesso modo un soldato deve combattere anche una guerra che non avrebbe mai iniziato.
Chi sceglie queste professioni lo sa: prendere o lasciare.

Non esiste una terza via, o per lo meno: non senza conseguenze (ad esempio la corte marziale per il soldato che rifiuta di prestare servizio o diserta).

La questione etica

Il filosofo Fernando Savater ha definito l’etica come “la pratica di riflettere su quello che decidiamo di fare e sui motivi per cui decidiamo di farlo”.

Essa attiene quindi alla libertà di scegliere tra due comportamenti opposti, in base ai nostri valori, al nostro concetto di bene e male.

A questo proposito, Max Weber distingueva tra etica dei principi ed etica della responsabilità: la prima attiene a chi opera solo seguendo i propri principi, indipendentemente dalle conseguenze; la seconda, invece, tiene conto delle conseguenze delle proprie scelte e dei propri comportamenti.

Etica dei principi: valori a confronto

Nelle società moderne e democratiche, non esiste un’etica assoluta.
Il concetto di bene e male è relativamente soggettivo e, inevitabilmente, genera conflitti tra valori e, in certi casi, diritti.

Esempio 1: L’interruzione di gravidanza

Un esempio tipico di etica dei principi è l’obiezione di coscienza: un obiettore si rifiuta di compiere una determinata azione, anche se stabilita dalla legge, perché contraria alla propria coscienza, alla propria visione di bene e male.

La tanto discussa l. 194/78 disciplina la pratica dell’aborto in Italia.
Il tema è controverso e non vorrei esprimere giudizi anche se, per trasparenza, dirò che – avendo conosciuto il dolore emotivo di donne che lo hanno praticato (anche per scelta) – personalmente non riuscirei a farlo, ma sono disposta a combattere perché rimanga un diritto.

Poiché secondo una certa corrente di pensiero, che identifica il feto con un bambino, l’aborto equivale a un omicidio, ai medici è consentito dichiarare l’obiezione di coscienza. Trattandosi di una dichiarazione preventiva, non è soggetta a valutazione del caso specifico.

Il medico obiettore non pratica l’aborto e basta. Poco importa se la gravidanza sia frutto di violenza o incesto o se la madre non sia nelle condizioni fisiche o psichiche o economiche di crescere quel figlio.

Esempio 2: Il testamento biologico

Diversa la situazione per le DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento), note anche come testamento biologico.
La l. 219/2017 non prevede l’istituto dell’obiezione di coscienza anche se lascia un significativo margine discrezionale al medico.

Di fronte alla mia dichiarazione di rifiuto di determinate terapie o di mantenimento forzato in vita, il medico può opporsi nel caso le mie disposizioni risultino illogiche o se dovessero esserci nuove terapie sconosciute al tempo della mia dichiarazione.

La discrezione è nel principio di logicità delle mie disposizioni. Al pari dell’etica, la domanda che mi viene è: chi definisce cosa è logico e cosa non lo è?

Non sono un medico e sono una sostenitrice delle DAT ma mi rendo conto che, per chi ha deciso di dedicare la propria vita a salvare le vite di altri, “lasciar andare” sia un controsenso doloroso e difficilmente accettabile.

Esempio 3: L’avvocato d’ufficio

Un altro esempio riguarda gli avvocati penalisti.
Essi devono obbligatoriamente prestare parte della propria professionalità con nomina d’ufficio.

Se un imputato non ha nominato o non ha potuto nominare un difensore di fiducia, il tribunale ne nomina uno per suo conto, attingendo da un elenco di professionisti abilitati.
Al momento dell’iscrizione, l’avvocato può dichiarare di non essere disponibile ad assistere persone imputate di determinati reati, per ragioni di coscienza.

Qui i diritti convergono.

La ratio di questa concessione, infatti, non è consentire al professionista di operare secondo i propri valori etici, ma di garantire all’imputato un giusto processo e una difesa adeguata.

Etica della responsabilità: valori prevalenti

Secondo Weber, questo tipo di etica dovrebbe appartenere ai politici.

A mio parere, un esempio calzante è l’operato dei sindaci che decisero di violare il c.d. decreto sicurezza del Ministro Salvini.

Senza entrare nel merito della norma, i principi che hanno guidato questi sindaci si ispiravano a umanità e solidarietà, considerati prevalenti rispetto alle esigenze di pubblica sicurezza.

La scelta avrebbe potuto avere conseguenze gravi, fino alla reclusione (art. 328 c.p. – rifiuto od omissione di atti d’ufficio).
Indipendentemente dalle speculazioni politiche, questo è un esempio tipico di valori etici a confronto.

Cosa doveva prevalere? Umanità o sicurezza?
Secondo quei sindaci, l’umanità.

E la mancanza di sostanziali sanzioni fa supporre che non avessero torto.

Etica in azienda

Anche senza ricoprire ruoli a così alto impatto sociale, ciascuno di noi può trovarsi a dover gestire conflitti etici nel proprio lavoro.

Fino a che punto è legittimo omettere o sminuire informazioni rilevanti ad un cliente per garantirsi una vendita?
Fino a che punto è legittimo promettere opportunità ad una risorsa pur di reclutarla?Quali informazioni sull’andamento dell’azienda devono essere assolutamente date a dipendenti e collaboratori? Anche a costo di farli scappare?
L’organizzazione deve essere collaborativa o verticistica?

A ciascuno le proprie valutazioni e relative conseguenze.

Nella mia vita aziendale, ho conosciuto diverse persone che hanno piegato i propri principi all’esigenza di non perdere il lavoro; o, peggio, che facevano buon viso a cattivo gioco: fingevano di sposare le regole aziendali per poi serenamente e regolarmente violarle.Personalmente, quando non mi sentivo allineata con i principi della mia azienda, ho provato a cambiarli dall’interno; e quando non ci sono riuscita, me ne sono andata.

Per rispetto di tutti, me inclusa.

Per concludere

La conclusione, come spesso capita quando si toccano temi tanto personali, non è una soluzione ma una serie di domande, cui ciascuno sarà libero di dare la risposta che più gli risuona.

Cos’è etico?
Dove termina il mio diritto in favore di quello di un altro o della collettività?

È più importante il mio diritto di donna all’autodeterminazione o quello del feto che ho in grembo di diventare un bambino?

Deve prevalere il diritto del pedofilo a vedersi assegnato un avvocato efficace, o quello dell’avvocato a non voler assistere una persona che disprezza?

È più importante il benessere dell’azienda o quello dei suoi clienti?
Il benessere dell’azienda e quello dei dipendenti coincidono sempre?

È più importante incassare un compenso o vivere in armonia con noi stessi?

Io ho le mie risposte, che so valere solo per me.
Ho scelto di vivere in armonia con i miei valori, senza compromessi, consapevole che ciò ha un prezzo e disposta a pagarlo.

E tu?

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