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L’ora in cui la sera comincia

L’ora in cui la sera comincia

Non sanno che ormai riesco a riconoscerli: vedo la loro falsa disinvoltura, la loro occhiata non curante di sottecchi, il loro passo apparentemente indeciso e svogliato, la loro direzione di marcia sempre parallela alla mia. Non sono uno sprovveduto. Li ho notati anche poco fa, quando sono sceso in strada e ho cominciato a camminare con una marcetta veloce. Ho una bella falcata, è un dato di fatto.

Mi sono diretto verso il lago, seguendo il fiume. Poi mi sono diretto verso il parco, seguendo il lago. Poi mi sono diretto verso la sola panchina sdraiata nel sole, seguendo la stradicciola tra le aiuole del parco. Mi sono seduto con le braccia conserte e le gambe allungate, e ho guardato intorno a me, imitando chi sa come godersi la primavera.

Eccoli lì, in un piccolo gruppo. A fingere di rovinare l’erba che non si può calpestare e a scambiare sigarette di marijuana. Hanno un assetto organizzativo impressionante ed esteso a tutte le zone in cui transito abitualmente: il vicino di casa che non ho mai visto, il finto commesso, la presunta mamma a passeggio con un bambolotto in carrozzina. Tutti convinti che io me la beva. Sono veramente ben organizzati: al parco non ci vengo mai, eppure sono anche qui. Ma oggi ne avevo bisogno, ho dovuto prendere il rischio. Troppe ore in ospedale, e implodo. Un passero mi passa sopra la testa, e volo.

Stavo quasi per rilassarmi per davvero, quando una ragazza che doveva essere una di loro mi ha avvicinato. Mi ha chiesto se avevo un altro sigaro per lei. Non so perché ho mentito, ma le ho detto di sì, che ne avevo un altro, ma che lo tenevo per il mio amico che doveva venire a cena. Non possiamo fare a metà? mi ha chiesto e io ho annuito. Ho tirato con calma una boccata e le ho passato il mio sigaro. Vestiva guanti senza dita. Lo ha trattenuto tra le labbra un secondo e due decimi di troppo, bagnando il tabacco di goccioline a carica virale, e me lo ha ripassato con un movimento del mento, gettandomi in faccia un Potremmo fare sesso, io e Lei che mi ha colto di sorpresa. Le ho risposto piuttosto prontamente Non credo e lei ha fatto spallucce, sedendosi all’estremità della panchina.

Emanava un forte odore di vaniglia. Mi sono detto che era una drogata, una prostituta o entrambe le cose. Invece è venuto fuori che frequentava ancora il liceo e che era molto arrabbiata con l’ottusità del sistema scolastico perché avrebbe voluto studiare sanscrito, ma non ne aveva la possibilità. L’ho convinta che fare sesso insieme non sarebbe stato etico perché avrebbe potuto essere mia figlia, e lei si è lasciata convincere. Si è persino avvicinata a me e mi ha confessato di fare spesso i pompini a suo fratello. Fratellastro, aveva precisato con una punta di morale nella voce. Probabilmente voleva indebolire l’argomento che potessi essere suo padre.

La vaniglia si ingarbugliava al sigaro e i suoi capelli sembravano una foresta del Madagascar. Io sono rimasto zitto e allora la ragazzina mi ha chiesto se lo ero o no; cioè se ero eterosessuale oppure no. Non sono eterosessuale, risposi. Ma ultimamente sogno di esserlo. Sono sposato da tanti anni con la stessa donna, ma mi sono innamorato di un uomo. Non ha detto nulla ed è rimasta a fissare l’aria e il suo fumo. L’ho osservata bene: era tutta una contraddizione di vestiti, e aveva questo profumo così dolce. Tu lo sei? le ho chiesto. Credo di sì, mi ha risposto. Poi Ho fatto sesso solo con maschi fino ad oggi, ha aggiunto. Mi sono detto che non voleva dire niente e ho smesso di interessarmi a lei.

Questa conversazione era stata inopportuna. Temo che faccia parte della loro strategia. Ho notato che l’invasione di campo, ormai, è all’ordine del giorno. Niente dogane, disimpegni, linee di frontiera, sottotitoli, didascalie, bugiardini, indicazioni, linee tratteggiate, boe galleggianti, niente più certezze, niente, nulla. Solo le pagine della mia agenda con dei nomi, uno sopra l’altro, in ordine di apparizione. Sono nomi ma sono anche persone, che esasperate dal continuo flusso e riflusso delle onde, senza più confini, si aggrappano a me. Un punto fermo, stabile e rassicurante, calmo e ponderato, sicuro e infallibile. Ti rendi conto che responsabilità fare il mio lavoro? Sono molto stanco e sono stufo di curare la gente e di fingere questa solidità. È tutto duale, al limite del patologico. Credo di poter dire di essere felice e disperato; felicemente disperato; oppure disperatamente felice. Non so bene quale sia la versione più corretta. Istintivamente mi piace la terza ma si stava facendo tardi e dovevo rientrare in ospedale. Non mi aspettavo né una risposta né tanto meno quella dolcezza: Chissà che forse non riescano a fidarsi di Lei proprio perché sentono che ha un’anima disorientata come la loro, mi ha risposto. Dicevano che le ragazze di Non è la RAI avessero Gianni Boncompagni che suggeriva loro le battute nell’auricolare. Penso che la cosa sia molto, molto verosimile.

Mi sono diretto verso le aiuole del parco, seguendo le stradicciole. Poi ho attraversato il parco, costeggiando il lago. E infine ho girato a sinistra, verso l’ospedale, seguendo il fiume. Erano già le cinque e questo vuol dire che è quasi sera e che lui stava per venire a casa per cena. Avremmo mangiato insieme, guardandoci negli occhi e sfiorandoci le ginocchia in modo clandestino, sotto il tavolo. Poi avremmo messo a letto i bimbi, avremmo chiacchierato del più e del meno tutti e tre insieme, dopo i piatti, e lui sarebbe rientrato a casa sua e io mi sarei fatto una doccia molto calda e forse mi sarei masturbato. La sera è anche il momento in cui posso bere un mojito, quindi devo solo aspettare che il pomeriggio finisca.

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