
Valentina Maran è nata a Varese nel 1977. È una…
Correre gli 800 è un’esperienza quasi mistica. Difficile da raccontare: quando parti sei a pieno carico, poi man mano la benzina finisce, i muscoli diventano duri, sempre più rigidi, devi controllare quello che fanno le avversarie, ma allo stesso tempo devi assicurarti che il tuo corpo non fallisca e risponda bene ancora e ancora a quello che gli stai chiedendo.
Una gara che per ben due giri di campo ti chiede di ragionare e far caso a te e agli altri.
È una gara complessa, a metà tra la velocità e il mezzofondo.
Non è né carne né pesce: è fatica in salsa strategica.
In questi anno c’è stata un’atleta controversa che ha messo la firma su alcuni successi memorabili: Caster Semenya. Atleta da sempre molto chiacchierata soprattutto per il suo aspetto fisico: “Quella è un uomo!” è stato il commento più ricorrente che ho sentito fare riguardo al suo aspetto.
Caster Semenya è infatti quella che viene definita un’atleta iperandrogina, ovvero con livelli ormonali differenti dalla media. Variazione che genera vantaggi ma anche numerosi scompensi al fisico femminile.
È giusto di qualche giorno fa la decisione della Iaaf e del TAS (due organi che regolamentano a livello internazionale le discipline sportive) di accettare la sua iscrizione alle gare solo ed esclusivamente se abbasserà i livelli di testosterone nel sangue sottoponendosi a cure ormonali.
Ecco, io non so se nella vita vi sia mai capitato di dover assumere ormoni di vario genere. A me si, e sono onesta: non lo auguro al mio peggior nemico. Maschio o femmina che sia.
Ma detto questo in passato Caster Semenya si è più volte sottoposta a questo genere di cure, il che non le ha impedito di vincere l’oro alle Olimpiadi del 2016 e l’oro ai mondiali di Londra nel 2017.
Essere straordinari è un’anomalia
Essere una grande atleta significa essere diversa. Quello che rende speciale qualcuno in qualsiasi campo spesso è un’anomalia.
Quella di Caster Semenya è un’anomalia ormonale naturale che l’ha portata ad essere un personaggio controverso: spesso mi sono sentita dire “guardala: dimmi se quella è una donna!”. Alla medesima domanda di un giudice di gara una volta rispose “vuole vedere i miei genitali?”
Semenya è donna.
I suoi livelli ormonali invece dicono che è qualcosa di speciale. Di diverso.
E questo essere diversa la porta pericolosamente vicina a qualcosa di difficilmente definibile.
Quel livello ormonale ha determinato le sue vittorie?
Ho letto un po’ di articoli, non sono assolutamente un’esperta e la mia è un’opinione dettata esclusivamente dalla passione verso l’atletica, ma ho avuto l’impressione che non ci siano dati assoluti e oggettivi che possano dire a livello matematico che sia così.
Sembra infatti che questo livello ormonale possa aiutare entro distanze tra i 400 e gli 800 metri, per distanza superiori il vantaggio del testosterone si azzera. Per dimostrare di avere ragione del proprio talento Semenya cosa ha fatto? Ha corso e vinto il titolo nazionale dei 5000.
Quindi come la mettiamo?
Basta ancora suddividere gli atleti tra uomini e donne?
Le atlete iperandrogine sono il 3% del totale. Conosciute, segnalate, spesso al centro di polemiche. Vengono guardate come animali rari che tanto rari alla fine non sono.
C’è un ma in questa vicenda: la TAS sta pensando, pare, di introdurre la rettifica a un regolamento che preveda il monitoraggio continuo dei valori ormonali delle atlete iperandrogine.
Ma la cosa strana è che si parla sempre e solo di donne. Magari è una mia impressione (me lo auguro vivamente), ma mi pare che si giudichi con maggiore facilità la metà femminile. Quella maschile mai, o comunque… con meno accanimento.
La sensazione è che agli uomini sia concesso essere straordinari. Alle donne un po’ meno, sempre e solo in relazione a loro.
Le donne paiono essere quelle persone che devono essere racchiudibili in una cerchia di valore inferiore al maschile.
E se Caster Semenya fosse solo un esempio di un’evoluzione del corpo femminile e delle sue caratteristiche?
E se fosse ora di andare oltre alla differenza semplicemente sessuale della categorie e non si cominciasse a ragionare in maniera più ampia? In modo intersessuale?
Forse è il caso di andare anche oltre la categorizzazione per sesso e cominciare a valutare gli atleti secondo altri indici.
E se valesse la pena considerare un terzo genere ibrido, a metà tra i due?
Le caratteristiche di Semenya non è certo che siano state determinanti per vincere.
Ha anche perso spesso. Non ha portato a casa titoli a tappeto. È stata spesso anche battuta.
Perché un uomo può essere un x-man e una donna no?
Credo che lo sport debba essere inclusivo e non divisivo, e vedere un’atleta tormentata sistematicamente in questo modo non mi piace.
Semenya ha detto bene: “Io sono questo.”
E questo forse è una definizione nuova, inusuale, diversa, che ci impone un cambio di rotta.
Non c’è altro modo per identificare e determinare le categorie di atleti?
Cosa ne pensi?

Valentina Maran è nata a Varese nel 1977. È una copywriter freelance. Si è formata nelle più grandi agenzie di comunicazione milanesi e dopo un trionfale licenziamento ha scritto “Premiata Macelleria Creativa” (Fandango 2011). Scrive per riviste, committenza privata, blog di ogni tipo e si occupa prevalentemente di questioni di genere, femminismo, parità di diritti nella comunicazione. Con la sua socia Vanessa Vidale ha una piccola agenzia di comunicazione che si chiama NoAgency dalla quale non può licenziare nessuno, tranne se stessa. Da anni è docente in corsi ITS e IFTS post diploma dove insegna creatività.