
Padre di Violante e marito di Tania. Divido la mia…
Che le grandi aziende informatiche e tecnologiche raccogliessero ogni tipo di dato del proprio utente, lo si sapeva benissimo.
La raccolta di tutte queste informazioni può avvenire in modo da ottenere una maggiore consapevolezza dei propri utenti, per migliorare i servizi oppure per semplice speculazione, con l’obiettivo di rendere l’ingaggio pubblicitario sempre più mirato (ne abbiamo parlato qui: “Il nuovo petrolio che infiamma la rete“).
Le app di salute sessuale e riproduttiva
La nuova frontiere etica della raccolta dati ha a che fare con quello che viene chiamato il “Femtech”, cioè quella serie di prodotti, applicativi e tecnologie che servono per monitorare la salute delle donne, nello specifico la fertilità, la gravidanza e la maternità.
Un mercato, questo, che sarà di 50 miliardi di dollari entro il 2025.
Un reportage del quotidiano Washington Post ha rivelato che l’azienda Ovia Health, produttrice di app femtech, avrebbe venduto i dati delle sue utenti alle compagnie assicurative e ai datori di lavoro, permettendo loro di analizzare i processi fisici ed intenzionali delle loro dipendenti.
I dati sono preziosi e il loro valore aumenta quando toccano la sfera ancora più intima e personale delle persone. Non è un caso che alcune aziende forniscano buoni del valore di 1 dollari al giorno per incentivare le loro dipendenti ad usare app specifiche per monitorare il loro stato di salute.
Una prigione di vetro
Come se tutto ciò non bastasse, l’associazione non profit Electronic Frontier Foundation che si batte per la privacy, la libertà di parola e per la libera innovazione, ha pubblicato un rapporto dove raccoglie tutte quelle tecnologie, per lo più app, dedite al Femtech che in realtà sono dei veri e propri colabrodo a livello di privacy e sicurezza, con tanta pubblicità, spam e cessione dei dati a software di terze parti.
Il rapporto è intitolato “Pregnancy Panopticon”: un termine che esiste anche in italiano, “panottico”, non molto usato ma di grande attualità. Il filosofo Jeremy Benthan lo descriveva come il carcere perfetto e ideale, composto da una struttura circolare che permette alla guardia che si trova al centro di questo edificio di osservare tutti i detenuti mentre questi non sanno se sono effettivamente controllati o meno.
La sensazione stessa del non sapere se c’è un controllo induce le persone a comportarsi come se effettivamente lo fossero.
L’occhio vigile del grande fratello
A ben pensarci, non rappresenta in pieno la bolla di controllo digitale a cui viviamo?
Soprattutto nell’ultimo periodo, con questo panottismo, viviamo costantemente sotto la potenziale visione di qualcuno che guarda, che controlla i nostri movimenti: sappiamo perfettamente che siamo osservabili e, di conseguenza, ci comporteremo come se fossimo effettivamente osservati.
Il nostro consiglio, come sempre, è di controllare molto bene le impostazioni della privacy dello smartphone e di non concedere alle app troppi accessi invadenti.
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Solid Gold, The Darkness
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Padre di Violante e marito di Tania. Divido la mia vita tra l’insegnamento di informatica e lo studio universitario. Amo follemente la tecnologia di cui ne seguo quotidianamente le nuove uscite, le novità ma sopratutto l’impatto che questa ha nella società. Non mi parlate di motori e gioco del pallone, vi guarderei senza capire una virgola del vostro discorso. Infine mi piace fotografare il caffè, in tutte le sue versioni e situazioni, oltre che a berlo ovviamente.