
Sono Consulente, Formatore e Coach. Ma anche podcaster, scrittore, cuoco,…
Io sono Veneto, e se qualcuno parla di Diversità in azienda, tutti pensano che sia una battuta.
No, dai, sto scherzando. Non è che pensi davvero male dei miei conterranei. Però dobbiamo ricordarci che il Veneto ha dato i natali alla Lega, quella delle origini, e un motivo c’è. E non dimentichiamoci del referendum per l’indipendenza. Ci sono un milione di eccezioni, naturalmente, ma come popolo siamo un po’ chiusi, ecco. Ci piace stare sul nostro, e in generale tendiamo a fidarci di più di un altro Veneto, ancora meglio se della stessa provincia, ancor meglio se il nostro vicino di casa. Facciamo due case in là, che anche con i vicini non è che andiamo sempre poi così d’accordo.
E non c’è nulla di male, in fondo. Ad oggi il Veneto è ancora considerato una delle locomotive d’Italia, dal punto di vista industriale. Sembrerebbe che questa cultura, un po’ chiusa, in effetti, sia la chiave di oltre quarant’anni di successo.
Eppure, dall’altra parte, tutti si parla sempre di più di quanto sia importante accogliere la diversità in azienda. Tra i tanti, Forbes e HBR portano ricerche e statistiche che mostrano chiaramente come da una parte l’efficacia dei team diversi (per età, genere, cultura ad esempio) sia maggiore anche a livello economico di quella dei team più omogenei; dall’altra, come i processi decisionali siano più oggettivi, che poi non significa altro se non che prendono in considerazione prospettive diverse, il che li rende anche più innovativi.
Insomma, da una parte abbiamo una cultura, quella italiana, in cui il diverso viene visto con grande diffidenza, dal punto di vista sociale ma anche politico. Dall’altra parte, tutte le principali ricerche sia in ambito psicologico che manageriale sottolineano come la diversità vada accolta, e accettata, per migliorare la competitività.
Ecco, insomma, le aziende del Veneto sono tutte belle e interessanti, ma “competitive sul piano internazionale” probabilmente non è la descrizione più calzante della maggior parte di esse.
La verità è che troppo spesso nelle aziende abbiamo un problema con la diversità. E il problema può essere descritto in modo molto semplice: non c’è.
Di nuovo, non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono un’infinità di realtà, lì fuori, che sono assolutamente in controtendenza con quello che sto scrivendo in questo momento. Ne conosco personalmente qualcuna. Purtroppo, però, sono una minoranza molto stretta, e sarei davvero, davvero felice che qualcuno mi scrivesse, e mi portasse delle statistiche raccolte in Italia per smentire questa mia percezione.
Quello che vedo è che nelle aziende, soprattutto quelle un po’ piccoline, entri in magazzino, e son tutti uomini. In amministrazione son tutte donne. In azienda potrebbero essere anche 50 e 50, un po’ come quando entri nelle Moschee, dove per tradizione le donne hanno una loro galleria dedicata.
E poi ci sono le persone di origine non Italiana. Non è che non ci sono. Di solito li trovi in magazzino, o alle consegne.
Sembra quasi che abbiamo reinventato il meccanismo delle classi sociali. Un po’ come se avessimo preso consapevolezza del fatto che gli esseri umani possono avere sia il pistolino che la patatina, e che la loro pelle possa essere di tutte le sfumature dal latte al caffè nero, passando per macchiato e cappuccino, e che possano credere in questa o quell’altra Divinità, e per questo cerchiamo di classificarli, di metterli ciascuno nella sua scatola.
Il che a sua volta alimenta il pregiudizio.
Ho conosciuto qualche commerciale donna, che mi ha raccontato come il lavoro di commerciale sia tendenzialmente maschile, e che questo per loro sia una sfida continua: se sei donna, non vieni presa sul serio, e in generale devi farti il mazzo il doppio degli altri per dimostrare che vali la metà. Ora, questo riflette la percezione delle commerciali che ho conosciuto direttamente, e di nuovo sarei ben felice se arrivasse qualcuno a smentirmi. Però, per quanto sia aneddotica come affermazione, ci dà una prospettiva su come una persona non omogenea percepisca la sua realtà quotidiana.
Questo non ha nulla a che fare con diversità e inclusione.
Accogliere la diversità è una scelta che parte dalla cultura aziendale, ma ha effetti incredibilmente concreti sui risultati economici, come ci mostrano le ricerche. E naturalmente è una scelta libera: nessuno obbliga nessuno a sviluppare una politica di diversità. Questo è solo uno di quegli ambiti di cui dovrebbe interessarsi un’azienda che vuole essere realmente competitiva.
Ma come tutti i cambiamenti culturali, anche quello per introdurre la diversità in azienda è difficile, a tratti doloroso. Accogliere il diverso non significa assegnargli un ruolo all’interno dell’azienda, ma essere realmente disposti a considerare il suo punto di vista, e cercarne uno condiviso.
Accogliere il diverso non significa avere delle quote rosa, gialle, verdi o nere, ma favorire l’assunzione di personale non per omologazione, ma per differenza, spesso sfidando i propri pregiudizi su chi sa fare cosa.
Accogliere il diverso, alla fine, significa iniziare un viaggio intorno al mondo, consapevole che quanto tornerai non sarai la stessa persona di quando sei partito.
Ma se hai paura di metterti lo zaino in spalla, e fare quel primo passo fuori dalla porta di casa, allora il tuo mondo non sarà mai più grande di quei quattro muri.
Cosa ne pensi?

Sono Consulente, Formatore e Coach. Ma anche podcaster, scrittore, cuoco, giardiniere, marito e padre. Studio modelli di Comunicazione e Problem Solving, e li uso per aiutare le persone e le aziende a risolvere problemi apparentemente irrisolvibili, o a raggiungere obiettivi incredibilmente sfidanti, che di solito hanno a che fare con la gestione del cambiamento, la leadership, e la negoziazione. Insomma, un po' un Mr. Wolf, senza però tutto quel sangue, rughe e papillon.