Alcuni dicono che sono un ribelle, ma ho solo il…
Non parlo di coraggio da “vado a fare bungee jumping” o di coraggio “nell’affondare la mano nel vassoio di cioccolatini che trovi nella stanza del direttore di banca”.
Parlo di quel tipo di coraggio, anche quotidiano, che sembra semplice, ma che a volte può richiedere uno sforzo interiore enorme.
Insomma quel tipo di coraggio che, a volte, non si ha.
Ad esempio: capita a molti di violentare il coraggio di alzarsi la mattina, per andare al lavoro, in quel posto che proprio non ci piace, solo per poter sostenere i nostri genitori o, più serenamente, i nostri figli nella crescita sana e nel futuro, anche quando siamo troppo stanchi della vita che viviamo, che cii è cascata addosso, e che, forse, non è proprio come ce l’aspettavamo.
Il coraggio di smettere di fumare, per se stessi.
Il coraggio di dire no! ad una richiesta eticamente discutibile, per sé o per gli altri, imposta quasi come un ricatto.
Il coraggio di ricominciare umilmente dopo un licenziamento. O una disgrazia.
Storie di coraggio
Chiedetelo ad Alex Zanardi se c’avete le palle.
Chiedetelo al signore con il sottile bastone bianco, con il suo trolley che cerca le porte automatiche dell’ingresso, da solo, per raggiungere il suo treno, in un venerdì pomeriggio in una stazione piena di pendolari. Chiedeteglielo, che magari non può vedervi, ma può dimostrarvi il coraggio di raggiungere il suo treno, da solo.
Chiedetelo a Beth Hamilton, mentre tiene in braccio sua figlia, o allo squalo che le ha staccato l’altro braccio. Chiedetele se era il caso di smettere di prendere l’onda, dopo quell’incidente in acqua a 13 anni, ora che ne ha 30.
Chiedetelo ad un infermiere che in reparto corre da un paziente a un altro. Da una campanella a un’altra, la sera dell’ultimo dell’anno, con il pronto soccorso pieno di codici rosso perché un manipolo di ragazzini si sono sfidati sul “coraggio di accendere quel botto” comprato illegalmente, e con una miccia troppo corta.
Oppure, per assurdo, chiedetelo alle cicogne, se, e dove, trovano il coraggio di affamare un piccolo rispetto ad un altro, perché il cibo scarseggia. Se hanno la coscienza, oltre che il coraggio, di buttarlo giù dal nido, perché comunque non sopravviverà a lungo in quelle condizioni di scarsità.
Il coraggio e la paura: due facce della stessa medaglia
Il coraggio fa parte della natura, proprio come la paura. Per paura gli esseri viventi si difendono. Si ritraggono. Usano il coraggio per sopravvivere.
Ma come nasce la forza e la determinazione che riassumiamo in questa semplice parola?
Il coraggio nasce dalla volontà, o dalla necessità, di affrontare una paura, non di fuggirla e subirla, ma creando una azione (interiore o fisica) che innescata, annienti la repulsione per quello che la scaturisce.
Bene. Abbastanza semplice.
Ma cosa ci spinge oltre quella soglia del faccio o non faccio?
La determinazione, l’adrenalina, la resilienza? Anche.
Ora, cicogne a parte, con tutti gli esempi di questo mondo, scegliete pure quello che più vi piace, possono essere analizzati e ricondotti ad uno scopo collegato che attiva l’azione coraggiosa.
Sceglietene uno a piacimento e domandatevi il motivo per cui è stata compiuta l’azione. Provate a chiedervi se ne valeva la pena.
Coraggiosi sempre o una volta ogni tanto?
Dipende.
Se dobbiamo affrontare un serpente a mani nude probabilmente preferiremmo farlo una sola volta nella vita. A meno che ci chiamiamo Indiana Jones ed abbiamo uno spiccato senso dell’avventura e una smodata passione per l’archeologia.
Allora saremmo stati coraggiosi, e alla ricerca dell’Arca perduta.
Ma, cambiamo poltrona, e pensiamo a Stanislav Evgrafovič Petrov.
E chi cacchio è?
Petrov è stato un militare russo che Il 26 settembre 1983 identificò un falso allarme missilistico – prendendo difficili decisioni al limite delle sue prerogative e dei regolamenti preposti – evitando così il più che probabile scoppio di un conflitto nucleare mondiale. Nell’83, io dovevo ancora nascere e senza Petrov, probabilmente non avrei mai potuto scrivere questo articolo, qui ed ora.
Ecco. Coraggio una tantum.
Credo che dopo quella scelta, il tenente Petrov, si sia seduto e si sia acceso una sigaretta per distendere la tensione, o forse si è sparato una vodka. O forse tutte e due.
Passiamo avanti.
Vogliamo chiederlo a Chesley Burnett Sullenberger?
E di nuovo, chi cacchio é?
Sully Sullenberger è un ex-pilota di aerei di linea, oggi in pensione, noto per aver portato a termine, nel 2009, un atterraggio di emergenza del volo 1549 sul fiume Hudson a Manhattan, NY .
L’aereo venne danneggiato da uno stormo di uccelli subito dopo il decollo. Lui pensò di atterrare sul letto del fiume, dato che non si trovava uno straccio di pista di atterraggio sgombra nelle immediate vicinanze, e lui era lì, col culo che traballa e tutti e due i motori in pappa, il copilota a sfogliare il manuale di bordo, e sfoglia che ti sfoglia, zero soluzioni per la circostanza, e lui ha la cloche e tutti i bottoncini che suonano impazziti, e la responsabilità di vita o di morte per più di 150 anime in una manciata di secondi. Ecco, di nuovo. Coraggiosi una tantum.
Tutte le 155 persone a bordo sono sopravvissute, compresi neonati, anziani e membri dell’equipaggio. Ci hanno fatto anche un film.
Un altro film, “tratto da una storia vera”.
Ok. Quanto ci piace il: “tratto da una storia vera” , vero?
Perché, forse, il coraggio non si può teorizzare, ma si può solo dimostrare, e raccontare, con storie come queste… O come molte altre, molto più vicine al nostro orticello.
Il “coraggio” tra virgolette
Dall’altro lato, ma mooolto più in là, anni luce da queste dimostrazioni, sempre per assurdo, (e lasciatemelo dire in altre dodici righe), prende sempre più piede il “coraggio reiterato” di chi può scrivere l’opinione che vuole, su qualunque cosa, sui social network, dimostrando così il sempre più scevro “coraggio da tastiera“, dimostrando di saper fare polemica, sterile o costruttiva che sia, ma comodamente seduto sul divano. Come gli allenatori della domenica con birra e patatine in mano che puntano il dito e dicono: “se fossi stato lì, avrei fatto così…”.
Parentesi: per me, come immagino (spero) per voi che leggete, quello non è coraggio. È diventato un meccanismo di auto celebrazione che ci fa immaginare opinionisti onnipotenti nel villaggio globale della comunicazione orizzontale.
E, se poi, sappiamo usare anche l’ironia, s’impenna lo share, ci gasiamo, ci riproviamo, e ci sentiamo nuovamente pieni di coraggio.
Tipo Morgan che dà di matto e Bugo che se ne va. E lo share si rimpenna. E Bugo piange, quando, a mio avviso, poteva inventarsi due rime a tono, rispondere al trip del Bluvertigo, e fare una “battle” come nelle cantine dove una volta si faceva rap, visto che il clima artistico è sempre più improntato alla mistificazione di questo genere musicale, Festival di Sanremo incluso.
Poi, magari, volavano pure le sberle. E poi sai le risate.
Vi è piaciuta vero? Ho fatto bene l’allenatore con birra&patatine?!
Altro che Fiorello che ci mette una pezza: “chi si è sentito male?”
E tutti in coro di nuovo leoni da tastiera. Chiusa parentesi sul carrozzone musicale nazionale.
Dove trovare il coraggio?
Ma se dovessi provare a dare un consiglio su come trovare il coraggio, per qualsiasi cosa, cosa posso dire? Poco.
Ogni persona può avere la necessità di cercare questa virtù nelle più disparate situazioni. E può trovarlo solo dentro di sé e soprattutto a modo suo.
No, non me ne sto lavando le mani.
Voglio solo dire che ognuno dentro di sé può sentire le paure, come la leva per affrontarle, come il momento giusto per poterle combattere.
Il sostegno di persone vicine, può essere il perno, ma la leva parte sempre con la forza che viene dal profondo di ognuno di noi.
Gli esempi che abbiamo appena visto, dai più allegorici ai più para-simpatici, danno solo un punto di osservazione sul coraggio di qualcun’altro. Quel qualcun altro che oggi, o domani, potremmo essere noi.
Nella mia ricerca del piccolo coraggio quotidiano, cerco di prendere il buon esempio. Come? osservando il coraggio delle piccole cose, più che quello delle grandi battaglie: il coraggio dei piccoli gesti.
Il coraggio in silenzio. Senza fiocchi e bandiere di gloria.
Quello delle mamme lavoratrici, che poi fanno la spesa, tornano a casa, cucinano e fanno pure le lavatrici.
Quello dei padri di ragazzi diversamente abili, che combattono con la burocrazia, le inadempienze morali, le indifferenze e i costi spropositati per abbattere le barriere sociali, per rendere normali le cose più semplici.
Quello dei volontari che la notte aiutano i disadattati, quelli veri, non quelli che giocano a fare il rock’n’roll.
E, ancora, quello dei medici come Li Wenliang e dei paramedici allo Spallanzani, oggi. Anche loro hanno famiglia, mica sono cavie, robot, automi che spostano solo provette! Pensate che non siano combattuti, tutti i giorni tra l’invenzione di una cura efficace e una possibile contaminazione, una micro diffusione nelle proprie case? Anche loro, con il coraggio di affrontare il problema, che non è solo il loro, ma di tutta la popolazione globale, per risolvere, e con la sottile paura di rimanere coinvolti.
E allora, cerchiamo il coraggio di fare piccole cose, che il resto poi viene da solo.
Facciamo come quello sconosciuto che prende sotto braccio un anziano e lo aiuta ad attraversare, fermando le auto guidate da gente stressata che crede di domare bolidi ad Indianapolis, ma sulla normalissima strada urbana con limite 30 km orari.
Non è tanto per chi offre il braccio, ma per quell’anziano lì che, molto probabilmente, ha difficoltà a trovare il coraggio anche semplicemente di attraversare la strada.
“Ora Dorothy, rimettiti le tue scarpette rosse, e corri, per piacere!”
Cosa ne pensi?
Alcuni dicono che sono un ribelle, ma ho solo il fuoco della curiosità che mi brucia dentro, che mi spinge a sperimentare, a cercare e ricercare conoscenza e “mosse Kansas City”. Ho studiato, mi sono anche laureato, e poi ho realizzato che era importantissimo continuare a studiare. Sempre. Coltivo relazioni, piante di basilico quando mi riesce, continuo a scoprire cose che non conoscevo e mi sento sempre più ribel… curioso! Mi piace il cinema, la radio, il rock e le onde. Ho una moto ed una tavola da surf, che ogni tanto mi portano lontano dalla noia. Un cassetto pieno di taccuini neri che potrebbero raccontare tutto il mio passato. Ho uno zaino sempre pronto all’ingresso per partire verso nuove avventure. Nel resto del tempo sono parte di un team per lo sviluppo e la gestione delle risorse umane: il motore delle aziende. L’obiettivo è creare la predisposizione allo sviluppo dei modelli centrati sulle persone, che possano valorizzarne potenzialità e competenze, per favorire il complesso organizzativo, la produttività ed il benessere personale e sociale del singolo nel contesto in cui opera. Per il resto sorrido.
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