
Narratrice ~ Ghostwriter Scrivo per capire. Scrivo per ricordare. La…
In questi giorni sto leggendo Andrea Fontana per capire il suo punto di vista sullo storytelling.
Sono incappata in un concetto che non conoscevo e che vede la cultura occidentale, ma non solo ormai, basarsi sul “redemptive self”.
Il sé redentivo, per dirla con parole più comprensibili.
Ovvero “l’idea che sia possibile migliorarsi sempre e, nonostante le avversità delle condizioni sociali o della vita, riuscire nella propria realizzazione”, per utilizzare la formula chiarificatrice di McAdams.
E chi non desidera realizzarsi?!
Leggo nei social, quasi ogni giorno, di “vecchi imprenditori di se stessi” che cercano il modo per continuare a migliorarsi, da una parte, e dall’altra di volti nuovi, freschi e spesso alle prime armi che cercano di sfondare nel mondo del personal branding per divenire a loro volta “imprenditori di sé stessi”. Alcuni ci sono riusciti, altri continuano a provarci, altri arrancano, altri ancora si sono arresi.
E lo stesso mi accade incontrando persone conosciute e sconosciute che hanno come desiderio la realizzazione personale. Una sorta di necessità di dare un senso vero e profondo all’esistenza. Ma come fare? Da dove iniziare? E se c’è un inizio, c’è pure un lieto fine?
In aiuto viene il viaggio dell’eroe, quello espresso bene da Campbell e ripreso da Vogler.
Viaggio che affonda le sue origini nel mondo ordinario in cui ciascuno si trova a vivere fino a che non arriva una sorta di chiamata all’avventura e qui ciascuno ha la propria versione di avventura.
Quasi sempre la prima istintiva reazione è rifiutare questa chiamata perché spaventa, sembra troppo bello per essere vero o il suo contrario: è troppo vero per essere bello. È quello di solito il momento in cui incontriamo una persona che, anche se non la stavamo cercando, diventerà il nostro mentore. E qui ognuno ci vede quello che più lo rappresenta: è destino? succede ora perché è il momento giusto? è un caso? o semplicemente è il bisogno che ci spinge a cercare qualcuno che ci possa “guidare”?
Il mentore ci aiuta a varcare la prima soglia che porta in un mondo straordinario. Ma una volta messo piede al di là della soglia iniziano i casini, fatti di prove, nemici da identificare e alleati su cui contare. Inevitabilmente si è costretti a passare in una caverna oscura (fatta di paure personali, crisi esistenziali, salti nel vuoto) che a quanto pare è il solo modo per divenire persone migliori e ricevere così una ricompensa (motivazione) che ci permetta di riprendere la strada verso casa.
Ma non finisce qui il viaggio. Il bello arriva proprio adesso, adesso che si è chiamati a dimostrare con i fatti ciò che si è appreso lungo il viaggio e di portare con sé l’elisir che fa essere persone migliori, nuove, più consapevoli e desiderose di far conoscere anche ad altri il viaggio dell’eroe.
Vi ricorda qualcosa, questo susseguirsi di eventi?
È lo schema che si ritrova dentro le storie. E cosa sono le storie che si leggono nei libri se non storie che in un qualche modo ci toccano da vicino?
E così il messaggio che resta è solo uno: farcela ed essere felici.
Possibile sicuramente, difficile decisamente.
Ma fino ad oggi non ho ancora incontrato nessuno che per farcela ed essere felice , non abbia dovuto intraprendere il viaggio dell’eroe. Viaggio che per quanto complesso, alla fine porta ad un redemptive self, perché anche se magari ci pare poco, dopo ogni viaggio esteriore ed interiore non si può che tornare verso la via di casa se non come persone migliori.
Tanto, poco, non fa differenza.
La differenza la fa il coraggio di aver intrapreso il viaggio.
Cosa ne pensi?

Narratrice ~ Ghostwriter Scrivo per capire. Scrivo per ricordare. La mia vita è scandita da tre parole, che sono molto più di semplici parole: carta, penna ed emozioni. E lungo il mio viaggiare non manco mai di prendere tutto ciò che incontro, anche sassi ed imprevisti all'occorrenza. Ogni domenica puoi leggere di me e sua maestà Open il gatto sulla rubrica "OpenZen" di purpletude.