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La dieta sbagliata e le domande giuste

La dieta sbagliata e le domande giuste

Dieta sbagliata e domande giuste

Durante il lockdown ho messo su qualche chilo.
Penso di essere in buona compagnia, ma immagino non sia un’attenuante. D’altra parte si stava quasi sempre in casa, con più tempo a disposizione: questo ha comportato per qualcuno l’opportunità di curare di più la propria dieta, per altri invece è stato uno stimolo a cedere di più alle tentazioni e a seguire un’alimentazione sbagliata. Per me il combinato disposto delle due opzioni.

In molti, tra amici e parenti, si sono sentiti liberi di sottolineare la mia forma fisica diciamo pure non ottimale. Non che tradizionalmente io abbia spiccato per lineamenti statuari ma, sintetizzando brutalmente, stavo messo peggio del solito. E a molti sembrava doveroso segnalarmelo, laddove mi fosse sfuggita la cosa, con la classica domandina retorica: hai messo su qualche chilo, eh?! Bisogna che ti dai una regolata con i dolci e fai un po’ di sport! 

Eh si, grazie al cazzo.

Se le domande aiutano a migliorarsi

In questi casi ci sono due effetti. Un po’ ci rimani male, e ti chiedi se sei l’unico ad usare un po’ di tatto quando si tratta di affrontare questo tema con altri. Il secondo passo è di riflessione: lo sapevi già, che eri fuori forma, sicuramente lo intuivi già da prima che qualcuno te lo facesse notare. Ma il fatto di sentire qualcuno che grida che il re è nudo è il timbro ufficiale: ci devi fare i conti.

L’insieme di queste due reazioni può generare un forte stimolo a migliorare la propria forma fisica o, di contro, a capire che alla fine stai bene cosi. Ma un po’ meglio, di solito, si può fare. Almeno si può provare: non è detto ci si riesca, ma questo sta nelle cose insomma.

Poi certo c’è chi viene bullizzato, c’è il bodyshaming e molto altro e non lo voglio assolutamente sottovalutare, ma non sto pensando a quel livello. 

Qui siamo parecchi gradini sotto, siamo su un piano genuino, fatto di gente che si rispetta – nonostante ci si sorprenda a constatare quante persone si occupino del (mancante) tono muscolare altrui. 

Una volta su dieci

Lo stimolo a migliorarsi, dicevo. Ne avevo scritto a proposito di un’altra domanda interessante in tempi non sospetti – cioè qualche chilo fa: 

È un po’ come l’amico che ogni tanto ti chiede se vai ancora in palestra quando sa benissimo che non ci metti piede da un anno: punta il faro su un piccolo vuoto da riempire, ti pungola moderatamente e in nove casi su dieci dal giorno dopo non accade nulla di diverso.

Ma una volta su dieci, magari sì.

E in effetti si: ho iniziato a correre in bici, da qualche settimana. Poi ho aggiunto qualche corsetta scimmiottando i runner. Mi sono iscritto anche in palestra e ci vado alle 6:30 del mattino. Sto anche migliorando sensibilmente la mia alimentazione. Non so quanto durerà, e non è che stia portando tutti questi risultati tangibili, ma ho scoperto cose nuove, sto superando dei (piccoli) limiti, sto alzando un po’ alla volta l’asticella e continuerò finché ne avrò voglia. Queste domande interessate hanno contribuito cioè ad innestare un cambiamento positivo nei miei comportamenti.

Quindi se lo strumento “domanda-stimolo”, utilizzato con rispetto, si digerisce a fatica ma a volte fa bene, viene da chiedersi perché non applicarlo in ambiti diversi dalla forma fisica.

Perché nessuno mi chiede come va la mia dieta culturale?

Ad esempio, che libri stai leggendo? 
Quand’è l’ultima volta che sei andato al cinema?
Ogni tanto fai binge watching di documentari su Netflix, oltre alle (rispettabili e venerabili) serie tv?
L’ultimo spettacolo teatrale che hai visto?
A mostre d’arte come stiamo messi?
Hai fatto qualche corso online in questo periodo? Ne offrivano anche al MoMa, gratis.
È un po’ che non leggo tuoi articoli, ti stai impigrendo?
Ti sei abbonato a qualche rivista?

Ho solo un amico che lo fa con me, per dire, ma è un’eccezione non la regola. 
Una volta su dieci, magari, potrebbe diventare due, tre volte, potrebbe aiutarmi a fare davvero meglio.

Tanto più che mentre una dieta sbagliata dal punto di vista alimentare può avere effetti evidenti, visibili prima di tutto a chi li subisce, una dieta culturale starata può tranquillamente passare inosservata. Ed è per questo che le domande giuste, qui, sono ancora più rilevanti.

Dieta mentale e supply chain culturale

Di cosa ti nutri dal punto di vista culturale in effetti non dovrebbe essere secondario. Il fatto di essere o meno in forma culturalmente ha spesso ricadute anche sul fisico, e sulle attività che servono a tenerlo in salute.

Se ne parla anche a proposito della mental diet, che però spesso viene associata alla selezione consapevole dei pensieri che ci attraversano la mente. Ma la logica è simile e l’ho trovata sintetizzata perfettamente in un pezzo pubblicato qualche anno fa su HuffPost:

Com’è la tua dieta mentale?

Non sto parlando di cosa hai mangiato oggi, ma di cosa hai permesso che entrasse nella tua testa! Non è altrettanto importante? Lo è eccome, perché – come con il cibo – in fondo ciascuno di noi ha a che fare con gli effetti finali delle proprie scelte, e spesso sono conseguenze spiacevoli se non hai scelto consapevolmente. Se il cibo è il carburante per il corpo, i pensieri sono il carburante per lo spirito.

Ma vorrei fare un passo in più: io qui sto parlando di una dimensione diversa, meno mindfulness e più concreta: parlo dell’approvvigionamento di tutto quello che contribuisce a costruire la nostra personalità, la nostra conoscenza, la nostra visione delle cose, della vita, delle persone.

Parlo della supply-chain culturale, dei meccanismi, delle routine che avrebbe senso coltivare per nutrire i nostri pensieri.

Su questo versante io credo siamo tradizionalmente meno organizzati, meno sistematici negli allenamenti, meno attenti ai comportamenti disfunzionali altrui.

Noi e gli altri

So bene che la dieta culturale è un tema molto individuale, molto personale, ma non lo è fino in fondo. Gli altri c’entrano, e quindi il parallelo con la dieta alimentare non mi pare forzato, anzi.

Poi la responsabilità rimane la propria, l’obiettivo deve essere del singolo, che lavorando su se stesso, sui propri impulsi, decide di ingurgitare meno junk food e più cibo salutare, piuttosto di iniziare un nuovo sport o di continuare esattamente (e consapevolmente) la vita di prima. E vale anche per i libri, il teatro, le mostre, i workshop e così via.

Ma gli altri, le persone che fanno parte a più livelli della nostra rete di relazione, hanno un ruolo su come ci sentiamo. Siccome spesso siamo noi “gli altri”, ricordiamocelo alla prossima domandina retorica.

Insomma: “Ti vedo un po’ sciupato mentalmente, stai leggendo un po’?” sarebbe bello diventasse the new “Hai messo su pancia, vai a correre ogni tanto?”.

Ci proviamo?

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