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93. Lo zen di un cantastorie

93. Lo zen di un cantastorie

Cantastorie

Lo zen di un cantastorie.

– Negli ultimi cinque anni non ho fatto altro che inseguire fallimento dopo fallimento. Eppure bastava sempre poco, il suo sorriso o anche la nota suonata da un cieco per strada, per riportarmi quell’entusiasmo che finivo sempre per considerare una falsa speranza.
– …
– La richiesta di quell’uomo mi aveva messo di fronte al mio più grande limite: la capacità di far fluire davvero libere le mie storie. Voleva che gli narrassi la fiaba dell’Uomo Pesca così come sapeva fare sua madre. Pensavo che, allora, dovessi perseguire quello che per me era l’intento di ogni madre. Pensavo che tutte raccontassero solo per far addormentare i propri figli. Provai, addirittura, a immedesimarmi per nove mesi in una mamma.
– …
– Infine, realizzai la vera differenza tra me e la madre del nobile Yamaoka. Questa non sapeva di essere una cantastorie. Potrà sembrare banale ma, da sempre, il mio più grande limite non era altri che io. Davo tanto per scontata la mia professione, mi identificavo così completamente con essa che avevo smesso di essere semplicemente me stesso.
– …
– Luna alta nel cielo, mia signora, quanta fortuna ho a essere visto da voi soltanto per quello che sono! Dimentico della mia persona, posso finalmente calcare questa Terra. Semplici come quelle di una madre, le mie parole divengono magiche come solo un bambino sa farle essere.

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