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La concorrenza al ribasso: tra miopia e bassa qualità

La concorrenza al ribasso: tra miopia e bassa qualità

Prezzo basso

Riassunto della puntata precedente: qualche settimana fa, mi ero soffermato sul mito/fascino del prezzo basso e, in particolare, avevo discusso il modo in cui accettiamo un prezzo basso senza farci troppe domande, mentre ad un prezzo alto reagiamo con dubbio, stupore, e anche un po’ di scetticismo.
Allo stesso tempo, avevo messo in evidenza il fatto che, così per i prodotti ma soprattutto nei servizi, un prezzo più basso generalmente porta con sé anche una qualità ridotta.
A conclusione, invitavo tutti a iniziare a guardare ad un prezzo basso con lo stesso occhio critico e scettico.

Una conseguenza di questo fenomeno è la concorrenza al ribasso, che si manifesta tipicamente in coloro che fanno del prezzo basso la leva per posizionarsi sul mercato e acquisire clienti.

Cos’è la concorrenza al ribasso

È il proporre ai clienti un prezzo più basso rispetto ai propri competitor, allo scopo (consapevole) di convincerli a scegliere i propri servizi. Per conquistare il cliente, quindi, si decide di puntare tutto sul fatto di essere l’alternativa più economica sul mercato.

Ora, chi ricorre a questo metodo di concorrenza in genere mette in atto tutta una serie di strategie per rendere “convincente” la convenienza dei propri servizi, alcune delle quali non troppo oneste; ad esempio, la strategia del “non sono io che costo poco, sono gli altri che chiedono troppo!”, dicendo al cliente che la concorrenza chiede un prezzo sproporzionato ai servizi che offre.

“Lo stesso servizio” – ne siamo davvero sicuri?

Un discorso ricorrente che, per altro, ho sentito con le mie orecchie: “quella società offre lo stesso servizio che offriamo noi, però chiede quasi il 50% in più. Com’è possibile che, fornendo lo stesso servizio e sostenendo gli stessi costi, il prezzo che vi propongo sia sufficiente a noi per avere un margine, ma non per loro? Evidentemente, o non sono molto efficienti, oppure in realtà vogliono un margine più ampio”.
Interessante notare come la sua argomentazione per giustificare il prezzo più basso ruotava intorno all’insinuare che il proprio concorrente fosse, di fatto, o incompetente o disonesto.

Ma possiamo dire “forniamo lo stesso servizio e sosteniamo gli stessi costi”? Sappiamo bene che abbassare il prezzo significa o ridurre il proprio margine, o ridurre le spese, o ridurre entrambi.

Non ci si può molto girare intorno; si può sicuramente rendere più efficienti le proprie attività, ottenendo maggiori/migliori risultati a parità di costi. E, certamente, tutto ciò può tradursi in un prezzo più basso per il cliente, se si sceglie di rinunciare (anche solo in parte) all’aumento di margine.

Ma, spesso, ridurre le spese significa ridurre i tempi di esecuzione del servizio, o la qualità dei materiali o processi utilizzati per un determinato prodotto.

Ricordiamo una cosa: chi porta avanti una strategia di concorrenza al ribasso punta tutto sul posizionamento nel mercato come “partner poco costoso”. Sostanzialmente, si offre un prezzo più basso per aumentare il numero di clienti, ottenendo quindi un maggior numero di incarichi e, si suppone, di fatturato.

Questo implica necessariamente una qualità inferiore? No, ma è importante farsi la domanda e esercitare il proprio spirito critico, anche perché usare il prezzo basso come unico criterio di esclusione sarebbe tanto acritico quanto sarebbe l’usarlo come unico criterio di scelta.

Ma, alla fine, perché no?

Giustamente, un’obiezione che si può rivolgere è: “se nessuno accettasse una gara al ribasso, non ci sarebbe chi la propone”.
Vero. Così come è vero che “se non esistessero i tossicodipendenti, non esisterebbero gli spacciatori”; ciò non significa che sia giusto lasciare gli spacciatori liberi di operare come meglio credono.

E il paragone con lo spaccio non è scelto a caso: la concorrenza al ribasso ha l’effetto di drogare il mercato dell’offerta e della domanda.
Nel momento in cui una determinata società decide di puntare sul prezzo basso, costringe le altre ad adattarsi in qualche modo; generalmente, abbassando il prezzo a loro volta.

La concorrenza al ribasso porta ad abbassare mano a mano il tetto massimo di prezzo considerato accettabile per quel servizio.
Nulla di drammatico, anzi può anche essere una buona occasione per alcune realtà di efficientare un poco i propri servizi e modalità. Una sorta di “svecchiamento coatto”, diciamo.

Altre società, invece, potrebbero scegliere di adattarsi non adeguando il proprio prezzo, ma al contrario promuovendosi come fornitori “di qualità”, che costano di più rispetto agli altri, ma che offrono maggiori qualità e garanzie.

Soluzioni molto efficaci sulla carta; ma nella pratica?

Nella pratica, rimane il problema: il cliente, generalmente, tenderà ad orientarsi sulla base del prezzo. In molti casi, anche istituzionali, il bando di concorso lo vince il prezzo più basso.

Quando parliamo di servizi, diventa difficile per un potenziale cliente toccare con mano il prodotto finito: le aziende produttrici possono mandare campioni dei prodotti, possono organizzare una demo di un macchinario, e così via.
Ma per chi offre un servizio, o specialmente una consulenza, la questione è molto più complessa.

Come faccio a “far toccare con mano” il mio servizio ad un potenziale cliente prima che questi abbia firmato un contratto? Serviranno altri indicatori.

Uno di questi indicatori può essere la grandezza della società che offre il servizio: può essere il suo fatturato? O il numero di dipendenti al suo interno? Forse. Una società che fa concorrenza al ribasso avrà necessariamente un fatturato basso o pochi dipendenti? Decisamente no, anzi: avendo come scopo (e, purtroppo, risultato) quello di aumentare il numero di clienti, è perfettamente logico supporre che una società come questa abbia un buon fatturato, e abbia la necessità di avere più dipendenti per fare fronte al carico di lavoro.

Possiamo usare come indicatore il numero di clienti? Perché no, se ha molti clienti significa che i suoi servizi siano molto richiesti, giusto? Forse. Un’alta richiesta è necessariamente espressione di un’alta qualità? Decisamente no, anzi: il punto della concorrenza al ribasso è proprio questo, abbassare il prezzo per avere più clienti.

Il mondo delle consulenze è, purtroppo, facilmente drogato dalla concorrenza al ribasso. Anche a causa delle modalità in cui le società concorrenti si trovano costrette ad adeguare il prezzo (spesso a scapito della qualità), per fare fronte all’emorragia di clienti che si spostano verso i competitor più economici.

È un mondo nel quale è molto facile, e anche vantaggioso (nel breve termine), risolvere tutto con un taglio ai prezzi.

La miopia della concorrenza al ribasso

E nel lungo termine? Nel lungo termine, i danni superano i benefici.
Puntare tutto sul prezzo basso, innanzitutto, significa dover limitare di molto il margine: le spese possono essere limitate fino ad un certo punto, e comunque limitare le spese inutili è qualcosa che tutte le società cercano di fare (anzi, alcune limitano pure quelle necessarie, come la formazione).

L’alternativa, per proporsi con un prezzo basso ma al contempo avere un ampio margine, passa necessariamente per l’avere spese molto basse; un’equazione impossibile da risolvere senza proporre una qualità oggettivamente infima.

Ci sono esempi di mercati in cui la politica della concorrenza al ribasso ha portato a vere e proprie rivoluzioni, anche e soprattutto a vantaggio del consumatore, ma si tratta di poche eccezioni solitamente legate ad industrie che sono o erano governate in modo monopolistico. Un caso tipico è quello delle compagnie aree low-cost.

Ma nella maggior parte degli ambiti, ridurre il prezzo significa andare ad abbassare il tempo dedicato ad ogni incarico, che si traduce in una inevitabile riduzione della qualità. E questo può essere un autogol: innanzitutto, è più probabile lasciare un cliente insoddisfatto.

Soprattutto riduce la possibilità di fidelizzare un cliente: che tipo di rapporto puoi creare, se tutto ciò che ti distingue nel mercato è il fatto di costare poco? Quanto tempo puoi dedicare ad un cliente, se già devi ridurre all’osso il tempo che puoi investire per rientrare nel prezzo ed avere comunque un margine?

E questo solo considerando i rapporti coi clienti. Se consideriamo anche eventuali partnership? Quanti professionisti vorrebbero instaurare collaborazioni durature con una società che fa concorrenza al ribasso?
Ancora: quanto può investire una società così? Quanto può evolvere, crescere e, soprattutto, far crescere chi ci lavora?

La risposta a tutte queste domande è “poco”: appropriata, considerato come la concorrenza al ribasso sia, alla fine dei conti, una gara di pochezza.

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