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Il Semaforo

Il Semaforo

Il semaforo

Un’auto procede lentamente, imprigionata insieme ad altre nel traffico dell’ora di punta; al suo interno, due persone si trovano insieme e completamente sole per la prima volta.

Fuori c’è un vento feroce, di quelli che sollevano foglie e cartacce da terra, un vento che spinge, disordina, sposta e allontana. Dentro, ci sono un uomo e una donna che non sono mai stati così vicini.

La donna si chiama Clara: guarda dal finestrino alla disperata ricerca di una idea per trascinare la conversazione verso un argomento preciso. L’uomo guida, tamburella le dita sul volante e parla di qualsiasi cosa pur di riempire ogni vuoto.

Fareste così anche voi, se vi trovaste in macchina, da soli, per la prima volta dopo sei mesi di sguardi, parole, sorrisi, sei mesi di confidenza sempre più stretta, dopo essere stati colleghi ed essere diventati amici, dopo ore passate al telefono e in chat, fingendo di essere superficiali, cercando di essere seducenti.

Sei mesi è un tempo sufficiente per aver parlato di tutto: film, libri, il marito di lei, ristoranti, politica, la moglie di lui. I colleghi hanno già spettegolato, ipotizzato una relazione clandestina che entrambi hanno negato con decisione. Ed erano assolutamente sinceri, quando hanno negato.

Clara adesso guarda verso Cesare, pensa che ha fatto bene ad indossare un abito che le lascia scoperte le gambe, e che dovrebbe trovare una scusa per prendere un fazzoletto di carta dalla borsa e con disinvoltura strofinarsi via il rossetto. Dovrebbe fare così, se volesse baciarlo.

Lui approfitta di una brusca frenata per rubare un fotogramma alla realtà e inserirlo nel film che sta girando nelle sue fantasie: le ginocchia di Clara che si sfiorano, dondolando per seguire un ritmo che conosce solo lei, le labbra che si tormenta pensierosa, le dita sottili.

Gli sta raccontando che ieri sera ha cucinato una torta per i suoi figli, e a lui sembra di sentirne il profumo che ancora emana la pelle di lei, di vedere le sue mani che affondano nell’impasto morbido e lo lavorano, come se fosse in quella cucina, al suo fianco.

Clara spera che lui riesca a costruire la scena nella sua mente, gliela sta raccontando apposta, aggiungendo mille dettagli. E certo che Cesare sta immaginando di stringerla a sé, di spingerla contro il frigorifero, certo… per questo alza il volume della radio, per smettere.

La ragazzina che attraversa la strada ora, inseguendo la sciarpa che il vento le ha sfilato dal collo, si scusa con un gesto rapido e distratto per averli costretti a rallentare e fermarsi, ma non può sapere che nessuno dei due ha davvero voglia di tornare a casa, non subito almeno.

Squilla il cellulare di Cesare e la chiamata passa al vivavoce: è sua moglie, che chiede tempi e dettagli per la cena.

Per qualche secondo scende il silenzio, Clara si schiarisce la voce, perché vorrebbe dire la cosa che si agita dentro di lei da quando sono partiti.

Cesare pensa alle vacanze al mare appena prenotate, alle serate in cui sua moglie si accoccola sul divano accanto a lui, e se potesse farebbe scendere Clara ora, subito, giù da quella macchina e fuori dalla sua vita.

Ma proprio in quel momento, Clara sospira.
Ed è un soffio, a labbra socchiuse.
Lui le bacerebbe, lì, adesso, quelle labbra.
E allora accende una sigaretta.

Se foste sul sedile posteriore dell’auto di Cesare, accanto al seggiolino di suo figlio, vedreste diffondersi nell’abitacolo disordinate volute di fumo, sentireste l’odore amaro del tabacco mescolarsi al profumo di caffè e a quello di ore passate lontano da casa. Poi vedreste, all’improvviso, inaspettato, un gesto.

La mano di Cesare è sul cambio, dove deve essere.

La mano di Clara solleva appena l’orlo del vestito, come per errore, poi si appoggia sulla sua. E, date le circostanze, quello è il posto meno opportuno per la mano di Clara.

Se foste su quel sedile posteriore, a questo punto trovereste un pretesto qualsiasi per andarvene, perché l’atmosfera si è fatta ancora più pesante: il fumo, il caffè, i profumi, il sudore, il calore, i respiri, le fantasie che si stanno facendo solide e ingombranti. Ma esiste ancora un breve spazio tra il precipizio e la caduta libera. 

Un passo.

La macchina si ferma ad un semaforo rosso. Clara bisbiglia a voce talmente bassa che potrebbe capire solo chi fosse sul punto di dire la stessa cosa.

Dice: “Andiamo”.
Ma forse è: “Ti amo”.

Perché sei mesi di amicizia e confidenze sono più che sufficienti per decidere di andare, ovunque, pur di sciogliere una volta per tutte una tensione che fa persino male fisicamente, come un filo di nylon sottile, teso, che penetra in una piega della pelle. Ma sei mesi sono anche più che sufficienti per rendersi conto di essere innamorati. 

E comunque, da fuori, attraverso i finestrini chiusi, contro cui il vento continua a sbattere, è impossibile distinguere le parole.

Per sapere come va a finire dovreste essere su quella macchina, ora che il semaforo è diventato verde. E invece non c’è più nessuno, non c’è più niente. Nemmeno il rossetto sulle labbra di Clara.

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