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Mentire per piacere agli altri: perché lo facciamo?

Mentire per piacere agli altri: perché lo facciamo?

Mentire è qualcosa che facciamo con metodo, con sincerità, addirittura in totale serenità, senza che ci accorgiamo di farlo, ancor di più se siamo in gruppo e lo facciamo per livellarci all’opinione della maggioranza.

Io mento. Me ne sono resa conta scientemente dopo aver studiato un manuale di Neuromarketing che lo spiegava.
Quella delle bugie, del non riferire realmente le proprie intenzione o il cambiare opinione nonostante si pensi tutt’altro sono azioni all’ordine del giorno.

Avete mai fatto caso a quanto le proiezioni sulle elezioni siano spesso sbagliate? Quando si intervistano i votanti prima del loro ingresso alle urne le proiezioni di voto sono una cosa e poi capita che il risultato sia completamente sovvertito.
Ma perché succede?

Mentiamo in modo non conscio

Noi non vogliamo mentire, spesso non lo facciamo consciamente. Semplicemente quando rispondiamo a delle interviste diciamo quello che ci aspettiamo faccia piacere all’intervistatore.

Anche se in genere abbiamo una certa idea, può essere che la massa attorno, che il gruppo ci influenzi nell’atteggiamento e ci porti a livellare la nostra opinione secondo il senso comune. Tendiamo a voler essere come gli altri, a non dispiacere al gruppo.
È normale, sono riflessi incondizionati che spesso però veicolano atteggiamenti di massa.

Io sono la prima a firmare petizioni, sono la prima a lasciare nome e cognome per le varie attività a cui credo, salvo poi non metterci un euro.
Per la raccolta fondi per la Sea Watch non ho tirato fuori un euro benché ne fossi intenzionata. Il motivo? Ho letto che erano già arrivati alla considerevole cifra di 300.000 euro. Ok, allora i miei non servono, mi sono detta.

Io dico cose che poi non faccio, mi riprometto cose a cui spesso (non sempre) non tengo fede.
Il motivo? Sono molteplici: la mancanza di tempo e l’idea che la giusta causa si sia esaurita – avete notato quanto ci sentiamo emotivamente attivi e partecipi nell’immediato durante una tragedia, ad esempio un terremoto, e dopo già alcuni giorni il nostro senso di partecipazione tenda a scemare?

Quante volte avete condiviso il contenuto di una manifestazione alla quale poi non avete partecipato?

Io adoro il Pride benché non ci abbia mai messo piede e tutti gli anni mi riprometto che il prossimo sarà quello giusto.
Non ho mai dato un euro ai terremotati, non ho fatto nessun Ice Bucket Challenge. Eppure non sono contro. Anzi, se mi intervistate e mi chiedete se sono intenzionata a donare, con ogni probabilità la risposta sarà si, ma negli anni mi sono accorta di non averlo fatto mai.
Sono, siamo, pigri.

(Ma devo dirlo: contro il DDL Pillon ha vinto la rabbia e lì si, sono scesa in piazza e sono prontissima a ritornarci).

Cambiamo opinione, non sempre in meglio

I numeri contano.
Meglio non dare mai stime negative ma sempre in positivo, sempre in crescendo, quando si parla di fenomeni di massa. Non dite agli elettori che l’affluenza alle urne è bassa: avranno un buon motivo per non andarci. Penseranno che tanto un voto in più – il loro – sarà inutile. Non voteranno. Bisogna lavorare in positivo, dite che sono in crescendo, o sottolineate quanti, rispetto agli altri anni, sono già andati a votare.

La gente si unisce più volentieri al gruppo dominante, all’onda più numerosa. Se tutti vanno di là significa che è la cosa giusta da fare.
Come quando non si sa la strada e si fa quella che fanno tutti. È lo stesso principio.

Le interviste telefoniche di gradimento non saranno mai particolarmente veritiere a meno che uno non abbia avuto una situazione davvero negativa.

Dico quello che penso che la gente voglia sentirmi dire

Peggio ancora se il rilevamento viene fatto con test in tempo reale. Ho partecipato a un evento a cui dovevo dare dei voti da 1 a 5 agli interventi di alcuni professionisti. Ho dato il massimo a tutti perché sotto sotto non volevo dispiacere agli organizzatori che so si aspettavano così.

Se in un gruppo tutti vengono invitati a farsi un’opinione su qualcosa e vengono spronati a dire la loro a voce alta, in un dibattito e poi votare singolarmente, è molto probabile che dopo un po’ le opinioni si appianino in favore di quello che pensa la maggioranza.
Dipende ovviamente dall’argomento e dagli stimoli, ma tendenzialmente sono questi gli atteggiamenti. Lo facciamo anche noi soprattutto su temi che consideriamo poco importanti, come ad esempio decidere di ordinare tutti la stessa cosa al ristorante.

I social: i meccanismi di omologazione

Anche i social si basano su questo principio: quante volte avete dato un’occhiata ai like su un post prima di ricondividerlo? Quante volte avete valutato come positiva una notizia a seconda dell’influenza che aveva sui social?

Ora Instagram sta togliendo la visibilità ai like e sarà interessante vedere come cambieranno gli approcci e le interazioni.
Più sono visti e condivisi, più sono credibili – una pericolosa equazione che sta portando le fake news ad essere visionate più delle notizie reali creando una pericolosa “verità parallela” e quando questa viene sbugiardata punto per punto, non viene comunque ribattuta allo stesso modo e non viene assimilata da chi ha creduto al fake che invece continua a reputare comunque credibile nonostante sia stato smontato pezzo per pezzo.

Impariamo a usare il gruppo a nostro favore

Lo so, soprattutto se avete sott’occhio quello che sta succedendo a livello politico e come me non avete simpatia per le felpe stellate, è probabile che vi stiate domandando come volgere in positivo una comunicazione che è un continuo cortocircuito di buon senso.
Come sia possibile che tante persone abbiano smarrito il senso di umanità e si trovino ora a ritenere sensati atteggiamenti autoritari al limite del fascismo in barba alle più elementari regole democratiche.

Come si può ritrovare una narrativa positiva, costruttiva, più solida e improntata al futuro?
Sfruttando il gruppo – solleticando emozioni positive. Create alleanze, sottolineate il “quanti siamo” create visione e prospettiva. Date ambizioni e punti di vista in cui credere.

In questo periodo storico non è mai stata così alta la sollecitazione verso istinti negativi e primordiali vicino all’animalesco. Sono istinti che sfogano il male ma a lungo termine non costruiscono

Ma con l’odio non si combatte l’odio.

Ho presente un film che mi ha molto colpita: “NO, i giorni dell’arcobaleno” dove si spiega come il dittatore cileno Pinochet nel 1988 perse il referendum per essere riconfermato grazie a una campagna pubblicitaria che non mostrava i suoi crimini, ma costruiva la speranza di gioia e di allegria per un futuro migliore.

Che sia la strada giusta per riconquistare il favore delle masse?
Io me lo auguro.

 

Quante volte avete cambiato idea o opinione, anche sulle piccole cose, per omologarvi al gruppo?
In una tavolata dove tutti la pensano diversamente da voi, cosa fate?

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