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Odio la normalità

Odio la normalità

Padre e figlia

Batuffolo di capelli neri.
Ci fissiamo.
Occupi a malapena il mio avambraccio.
I tuoi occhi mi stregano, mentre frughi il mondo, curiosa.

Quante ore passerò a cullarti, camminando.
Così diversa da tuo fratello.
Energica e dispotica. Mai sazia di guardare.

Sono ignaro. Siamo ignar*.
Ci sono stati dei segni, che non abbiamo voluto vedere.
Medici rassicuranti ci hanno tranquillizzato.

Sono serviti più di quattro mesi sono per dissipare quella tranquillità.
Tutto sembra congiuri per tenerci lontano dalla verità.
Alla fine diventa impossibile negare l’evidenza: qualcosa non va.
Arriva la diagnosi: sei immersa nel silenzio, un silenzio quasi assoluto.

Provo ad immaginarmelo, tappando le orecchie, ma non posso.
Superiamo la sensazione d’impotenza che ci ha aggredito.
Agiamo.

Se solo ti avessimo potuta vedere oggi, ci saremmo risparmiat* tante angosce, tante silenziose accuse a noi stess*, la vana ricerca del perché.
Ma non potevamo pre-vedere il futuro e non conoscevamo abbastanza il presente.
Non so se sia stata Fortuna o attenzione, caso o Cura.
Una lunga catena di eventi, di scelte, di tentativi felici.
Il tuo cervello che compensa quello che la tecnica non può ancora darti.

Quei gesti e quelle parole, trattenuti dal muro del silenzio, cominciano a fluire, a moltiplicarsi, a dilagare.

Crescere richiede fatica. A te ne richiede di più. Molta di più.
Ancora non cammini bene e già studi.
Studi la voce. Apprendi il suono.
Sottigliezze, per chi cresce in un bagno di suoni. Ostacoli per te.

E nonostante tutto, contro ogni previsione, impari.
Prima poche. Poi a decine. Infine a centinaia. Le parole sgorgano dalle tue labbra canterine.
Resta la fatica. Ed ogni rumore è un ostacolo.

Angoscia per una nuova scelta: un’operazione in anestesia totale, per sposarti con la tecnologia.
Lo diciamo solo per scherzo, ma fai parte della prima generazione di esseri umani bionici.
Una tecnologia impensabile fino a pochi anni fa si integra con il tuo orecchio. Il tuo cervello impara di nuovo. Da zero.

Questa volta la fatica si scioglie, si diluisce fino quasi a scomparire.

Lo avevo studiato all’Università: DSP, Digital Signal Processor. Un piccolo computer che elabora suoni.
Ne abbiamo a migliaia di DSP, nei nostri sistemi audiovisivi, per scomporre e ricomporre suoni. Mai avrei immaginato che uno di loro sarebbe stato il tramite tra il mondo dei suoni ed il tuo nervo acustico.

Ancora oggi fatico a realizzare cosa possa fare la tecnologia.
Mentre ci interroghiamo sull’Intelligenza Artificiale, sulla Singolarità immaginata da Ray Kurzweil, la prima, forse già la seconda generazione di esseri bionici è in mezzo a noi.
La nostra imperfetta tecnologia, che troppo spesso ci consuma, per te, per voi, ha rotto il muro della parola ascoltata e della parola parlata. E poi quello del suono, della Musica.

Hai pagato un prezzo enorme al Destino, una fatica che nessun* ti restituirà.
Stai ancora pagando. Perché soffri quando cerchi in te stessa il coraggio per svelare a chi ti sta attorno il tuo deficit invisibile, perché hai paura che nuovamente qualcun*, desideros* di ferirti, lo faccia usando quella parola, handicappata, che sposta da loro a te la responsabilità del tuo essere diversa.

Quante volte ho spiegato che nasciamo con dei deficit e che è la Società, il contesto in cui viviamo, a renderli degli handicap.
Odio il linguaggio politically correct, perché credo che serva solo quando non c’è consapevolezza delle nostre responsabilità, quando abbiamo bisogno di incerottare le nostre coscienze.

Tu sei nata sorda. I documenti qualche volta ti chiamano ipoacusica e qualche volta sordomuta. SORDOMUTA! Non una diagnosi: un destino, fino a qualche anno fa; nascere sord* significava non imparare a parlare. Sono decenni che non è più così, eppure in tanti angoli della nostra Cultura quel termine è ancora presente, anche tra gli addetti ai lavori.

Bene. Tu, la mia piccola “sordoMUTA”, parli quattro lingue e guardi film in lingua originale. Quei sottotitoli che abbiamo invocato per anni, come aiuto contro la fatica, ora sono la porta per seguire le tue passioni, per scavalcare altri ostacoli, per assorbire altre lingue e aprire altre relazioni.

Ogni nuova generazione di tecnologia ti apre delle porte. Ora puoi portare il tuo gioiello anche in acqua!
Ogni tanto entri in crisi: sei affamata di relazioni, di amicizia, e ti spaventa quel muro che ogni tanto cresce, perché c’è troppo rumore, perché qualcosa si guasta, perché una pila si esaurisce.

Ma l’ostacolo più grosso siamo noi con cui entri in relazione, noi che qualche volta ci dimentichiamo del tuo deficit invisibile e qualche volta interpretiamo attraverso di esso ogni tuo comportamento, ogni tua diversità.

E tu ogni tanto regali a chi ti sta vicino uno specchio, per guardare attraverso te le nostre diversità, i nostri deficit, le situazioni che ci producono degli handicap, in questo mondo che ha bisogno di inventare la normalità per poter misurare tutto.

E io ho imparato a diffidare di chi vuole misurare tutto, di chi non sa più SENTIRE.

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