
Fabio Martinez è scrittore (ha pubblicato tre libri e Il…
Nel 1906, lo scrittore giapponese Okakura scrisse in inglese The Book of Tea, col quale non si limitò a presentare all’Occidente l’anima del suo paese tramite la filosofia del tè ma si spinse fino ad attaccare la cultura occidentale, secondo lui non proprio capace di comprendere fino in fondo l’arte di una cerimonia così intrisa di spiritualità. Anche più di un secolo dopo, leggendo l’opera di Okakura è difficile non condividere le sue parole, quando è facilissimo, invece, quasi spontaneo, comparare il tè al caffè.
Nel nostro immaginario il caffè sembra sempre più un modo per svegliarsi, semplicemente una bevanda utile, eppure lo definiamo pur sempre un rito. E non a torto.
In Italia è, in effetti, soprattutto questo: un rito che sancisce l’inizio della giornata, che completa la convivialità a fine pasto o il culmine di pause che hanno tutto il sapore della libertà. Forse non ne siamo pienamente consapevoli ma il caffè è per noi Italiani importante non meno che il tè per i Giapponesi, solo che non sempre dedichiamo alla sua preparazione – né probabilmente alla sua qualità – la giusta attenzione. E dire che ci basterebbe poco per farne di esso una cerimonia davvero totalizzante: potremmo, quantomeno a casa, macinare i chicchi manualmente, così da non perdere gran parte dell’aroma, adottare preparazioni che sappiano rispettarlo e, soprattutto, scoprire il mondo degli Specialty Coffee.
Abbiamo voluto parlarne con Emanuele Bernabei, fondatore e torrefattore della micro roastery romana Picapau, la quale cerca (e, non a torto, ci crede) con i suoi specialty coffee di cambiare l’intera filiera del caffè.
Ciao, Emanuele. Partendo subito con le domande e senza fronzoli, più che dirci da dove viene la tua passione per il caffè e per gli specialty coffee, ti andrebbe di raccontare che cosa è ora, dove ti ha portato e verso dove ti sta portando?
R.: Oggi il caffè ricopre un ruolo importante nella mia vita, da semplice passione si è trasformato in lavoro primario. Oggi sono un imprenditore, un tostatore, un artigiano. Mi ha portato e mi sta portando a creare rapporti forti con fornitori e clienti, fatti di fiducia reciproca, e a continuare a fare ricerca verso nuovi progetti e idee, condivisione e divulgazione.
Qual è la vera realtà italiana del caffè? Siamo un paese che ha fatto di questa bevanda un punto fermo, quasi un rito ma è quel “quasi” che ancora pare faccia troppo la differenza.
R.: La realtà è che oggi purtroppo il caffè è ancora visto come l’elemento che ti sveglia, quello del mattino che se non è intenso e amaro non piace. Così è per lo meno con la maggior parte delle persone. Fortunatamente abbiamo scelto di lavorare con un prodotto per cui il cliente finale è attento ed esigente. Attualmente questo tipo di consumatore rappresenta una piccola nicchia, che approccia il caffè in maniera diversa rispetto il resto dei consumatori.
Non trovi che in Italia si beva il caffè con ancora poca consapevolezza, con un’attenzione più al suo effetto stimolante che al suo sapore? Può diventare un rito vero, quasi come la cerimonia del tè in estremo oriente?
R.: Come dicevo precedentemente, sì, è così. Siamo plagiati dalla pubblicità di massa che ci spaccia per buono ciò che non lo è (ma è così per qualsiasi tipo di prodotto). Inoltre l’industria del caffè ci ha abituati a un livello qualitativo medio molto basso, e si tende al “nascondere” invece che al “mostrare”. A oggi credo che bere il caffè rappresenti già un rito, anche se dietro al semplice gesto c’è poca cultura, dal cliente, al barista, fino allo stesso torrefattore.
Lo chiamiamo espresso, tanto lo prendiamo velocemente ma già macinare i chicchi a mano, ogni volta che stiamo per prepararlo, non può prepararci per una degustazione profonda e saporita?
R.: Certamente. Tecnicamente un caffè macinato al momento è decisamente migliore di un caffè già macinato, poiché preserva gran parte dei componenti aromatici. Macinare il caffè al momento estende e fa parte della degustazione stessa, ti preannuncia quello che andrai ad assaggiare. Infine ti permetterà di prendere contatto diretto con la materia prima, capire quanto fine o grossolano si debba macinare il caffè per una migliore estrazione.
Sul sito di Picapau spiegate bene le realtà agricole e sociali dei vostri specialty. Ti va di aggiungere qualcosa, come le emozioni che provi ogni volta che collabori con loro?
R.: Sin dal principio abbiamo cercato di rapportarci con aziende del nostro calibro, piccole o alla mano come noi. Ci piace impersonare le singole aziende e rappresentarle direttamente quando proponiamo i loro (quindi anche nostri) caffè. Con alcuni abbiamo costruito dei rapporti che vanno oltre il semplice acquisto di caffè, come i ragazzi dal Perù o dal Brasile. Parlo di sinergie, scambi, creazione di progetti, condivisione aperta e crescita. Sembrano ovvietà ma ti assicuro che non lo sono.
Quale ritieni possa essere il miglior metodo per gustare il caffè? Quantomeno quello che preferisci (filtro, espresso, moca)?
R.: Non credo che esista un metodo migliore in assoluto per gustare il caffè. Incide molto l’abitudine e la cultura. Io amo bere caffè filtro, lo preferisco su tutti. A seguire la moka e tutti gli altri, nessuno escluso.
Non pensi che la cuccumella napoletana sia un po’ colpevolmente trascurata se non dimenticata?
R.: Così come la moka, la cuccumella rappresenta a tutti gli effetti un metodo di preparazione alternativo all’espresso. Entrambi potrebbero giocare un ruolo fondamentale soprattutto per l’inserimento di una diversa tipologia di caffè che è lo specialty coffee, diminuendo così l’impatto forte che potrebbe avere un caffè filtro, per esempio, da noi ancora molto distante.
Il caffè non fa male, non nelle giuste quantità, ovviamente, anzi. Gli specialty accentuano o no i suoi benefici? Insieme a un più ampio ventaglio aromatico e olfattivo, hanno, o conservano, più minerali e vitamine?
R.: Sicuramente con il bere uno specialty coffee si intende bere un caffè migliore dal punto di vista della lavorazione in piantagione, maggiore cura e attenzione. Nello specialty coffee non abbiamo difetti gravi nel caffè (chicchi marci, mangiati da insetti, etc..) che bene sicuramente non fanno. Parliamo dunque di prodotti maggiormente selezionati, privi di difetti e che hanno ricevuto i migliori trattamenti. Dobbiamo comunque stare attenti e non fare di tutta l’erba un fascio. Dire specialty non vuol dire “sano”, o “qualità” in assoluto perché nella definizione di specialty non viene incluso il mezzo, ovvero come ci si arriva per farlo. Noi lavoriamo con una realtà in Perù che lavora in Permacultura senza l’utilizzo di pesticidi, erbicidi, prodotti chimici in generale. Utilizzano diverse tecniche agricole come la policultura e la biodinamica. Questa è la vera essenza dello specialty coffee, tazza pulita e priva di difetti, complessa, ottenuta da agricolture sostenibili.
Le sensazioni più belle che hai provato e provi bevendo caffè?
R.: Stupore quando assaggiai il primo caffè filtro della mia vita (ma davvero questo è caffè?)
Momento di pausa e relax, e piacere giornalmente. Sorpresa quando incontri gusti inaspettati.
Vi è un libro illuminante sul caffè, qualcosa di paragonabile al capolavoro di Okakura?
R.: Di libri sul caffè ne ho letti diversi, non ne ho uno in particolare da indicare, tutti a loro modo hanno dato il loro contributo.
Questo periodo di pandemie, con le sue chiusure, come lo state vivendo?
R.: Che dire! I primi tre mesi sono stati devastanti. Il fatturato era pari a zero ma, avendo una struttura piccola, siamo riusciti a tenere botta. Da giugno, invece, siamo ripartiti anche abbastanza bene. Però tutto ci è servito per capire che dovevamo e dobbiamo investire di più su noi stessi. Quindi, abbiamo colto l’occasione del lockdown per aggiornare il sito, migliorarne l’aspetto e l’appeal. Abbiamo lavorato sulla comunicazione, creato il blog e la newsletter. Insomma, ci siamo adattati al momento e concentrati di più sull’utente da casa.
Grazie mille per il tuo caffè e il tuo tempo, Emanuele!
R.: Grazie a voi per l’opportunità e la chiacchierata. Auguro a tutti di potersi godere ottimi momenti di relax, sorseggiando caffè speciali. D’altronde tutti noi ce lo meritiamo.
Cosa ne pensi?

Fabio Martinez è scrittore (ha pubblicato tre libri e Il Graal ritrovato, edito da Tipheret, è il suo ultimo romanzo), sceneggiatore e storyteller. Per narrare (anche impresa), ha inventato un nuovo format (#dialoghidimpresa): dialoghi autonomi, per lo più brevi e che non si esauriscono svolgendo la loro funzione pubblicitaria, restando capaci di durare nel tempo e nello spazio. Possono essere tra due o più persone, tra un essere umano e un animale, un robot, il vento o qualunque altro interlocutore immaginabile. Possono raccontare e parlare di tutto anche dello Zen. D’altronde, il nostro modo di pensare, di ragionare non è un dialogare con noi stessi? Tutta la nostra realtà non è forse un dialogo costante?