Studente di Psicologia del Lavoro, libero professionista, consulente HR e…
Essendo nato nel 1993, faccio parte della generazione dei Millennial (detti anche Generazione Y). Ero alle elementari quando c’era la calcolatrice blu per il cambio Lira/Euro, ero al liceo quando ci fu la crisi del 2008 e quando nasceva lo smartphone. Giusto per citarne alcuni.
Una generazione considerata quasi la causa di ogni declino morale e produttivo del mondo.
“È colpa dei Millennials” quando un imprenditore non trova tecnici qualificati (Perché non si vogliono sporcare le mani, vogliono fare subito i manager), o quando la popolazione cala (perché non vogliono impegnarsi), o quando chiudono i negozi per fare posto a catene multinazionali (perché, quando comprano, lo fanno su Amazon).
Lo scontro generazionale
La generazione dei Millennial è quella che ha avuto più accesso all’Università, e che ha potuto viaggiare di più. Questo, chiariamo, non ci rende necessariamente la generazione più “intelligente”, né la più “colta”.
Contemporaneamente, Internet ha rivoluzionato il mondo, offrendo a tutti la possibilità di contattare potenzialmente chiunque, dovunque si trovi. Permettendo una virale (è il caso di dirlo) condivisione delle conoscenze, prospettive, ed opinioni.
Queste “novità” hanno influenzato uno dei fenomeni più antichi che la civiltà ricordi: lo scontro generazionale. Ogni nuova generazione mette in discussione le regole e le decisioni della generazione precedente, per sostituirle con le proprie. Vuole vivere secondo i propri valori e principi, non quelli dei genitori.
Tra gli altri, la generazione Millennial ha come principio quello della flessibilità. Non solo quella lavorativa, in realtà, ma avrò modo di parlarne in un’altra occasione.
Come ho già avuto modo di parlarne proprio qui su Purpletude, il concetto di flessibilità è spesso frainteso, vedendosi attribuire il significato di precarietà e quindi, di conseguenza, di poca stabilità.
Agli occhi di chi la pensa così, la richiesta di flessibilità appare insensata, masochistica. Unita ad altri fattori (che portano la mia generazione ad andarsene di casa più tardi, il rifiuto e la denuncia di determinate pratiche professionali alquanto “padronali”, ecc.), crea un quadro che dalla precedente generazione viene diagnosticato così: la richiesta di flessibilità nasce dalla mancanza di voglia di impegnarsi.
Ed è qui che sorgono difficoltà di comprensione.
Flessibilità secondo i Millennial
Se la flessibilità è vista come pigrizia, viene da sé che tutte le richieste di maggior flessibilità saranno interpretate di conseguenza.
E, se cambia la definizione di un problema, cambiano le soluzioni che si attuano. Attribuendo queste richieste alla pigrizia, la risposta a questa situazione sarà spronare a seguire le regole, anziché mettere queste regole in discussione.
Che è, come detto poco fa, la base dello scontro generazionale: i “giovani” che mettono in discussione i valori e le regole dei “vecchi”, i quali invece li difendono. Lo faremo, con ogni probabilità, anche noi coi nostri figli.
E la flessibilità richiesta dai Millennial coinvolge tutti i campi (non solo quello lavorativo), perché è una flessibilità nata da una domanda molto semplice: “dove sta scritto che…?”.
Viene messa in discussione la rigidità di alcune regole, ritenute superflue, o troppo generiche, o troppo stringenti.
Facciamo alcuni esempi lavorativi: l’orario flessibile permette a tutti di lavorare negli orari che permettano una maggior organizzazione e produttività, a seconda delle esigenze e particolarità di ognuno di noi.
Possiamo estendere il concetto alle giornate lavorative: molti di noi accetterebbero ben volentieri una settimana lavorativa che ve dal giovedì al lunedì (lasciando liberi martedì e mercoledì), anziché il classico lunedì-venerdì. Estendiamo ulteriormente? Io le ferie le farei molto più volentieri a settembre, oppure a luglio, che ad agosto.
Orario, settimana, ferie, sono tutte convenzioni, ormai radicate e soprattutto difficilmente messe in discussione. Ma come sono nate? Le ferie ad agosto sono nate nella Roma di Ottaviano (le feriae Augustae). La settimana lavorativa è organizzata così per ragioni religiose legate alla domenica come giorno di festa.
A livello pratico, questa flessibilità temporale permette di adattare i propri impegni ai propri ritmi, risultando quindi più efficienti; in parte perché assecondare i propri ritmi fisiologici (ad esempio, i ritmi circadiani) permette maggior lucidità nel lavoro, in parte perché assecondare anche ritmi più “sociali” (ad esempio, a seconda degli orari di scuola dei figli) permette di svolgere i propri impegni con maggior calma e serenità.
Regole vecchie in contesti nuovi
La richiesta di una generazione di cambiare delle regole provoca una reazione da parte della generazione precedente, che con quelle regole è cresciuta e si è abituata ad utilizzarle come misura per osservare il mondo. Ma quindi, la generazione precedente ha vissuto secondo regole sbagliate? Quelle nuove sono migliori, in assoluto?
Non necessariamente, in certi casi sì, ma bisogna ragionare in termini relativi. Le regole si sono sempre evolute così: vengono introdotte, cambiate ed eliminate a mano a mano che la società cambia a sua volta. Questo inizia rendendosi conto di quali regole abbiano davvero senso di esistere (nel contesto attuale) e quali no.
Nel ciclo di vita delle regole, la fase finale è in genere segnata dal confronto (più o meno pacifico) tra promotori di regole nuove e sostenitori di quelle vecchie. L’elemento che caratterizza i due gruppi, e li distingue, sta nella percezione delle vecchie regole; i primi (osservando il mutamento nel contesto) le percepiscono come inefficaci o dannose, i secondi (non riconoscendo questo cambiamento, o non ritenendolo tale da dover cambiare le regole) le percepiscono come necessarie e, quindi, da difendere.
I Millennial vedono un mondo in continua evoluzione: dopotutto, Internet ha davvero cambiato (e continua a cambiare) il mondo.
E in un mondo che cambia così rapidamente, è necessario che la società riesca a stare al passo, sia a livello individuale sia a livello collettivo, rendendo necessaria una maggior flessibilità.
Che ovviamente non significa “ognuno faccia come vuole”. Si tratta solo di una maggior rapidità ed efficacia nel riconoscere regole obsolete e adattarle al contesto nuovo.
Richiesta, purtroppo, spesso fraintesa.
Richiesta di adattamento o rifiuto di adattarsi?
Sulla base di quanto detto finora, possiamo stabilire che chi vuole conservare le attuali regole lo fa perché le ritiene ancora necessarie e corrette. E le ritiene tali perché non crede che il contesto attuale sia diverso rispetto a quello in cui le regole sono state scritte, o che questo cambiamento sia avvenuto ma non rende comunque necessario cambiarle.
Ed ecco che, come dicevo prima, questi penseranno che la richiesta di cambiare le regole provenga da un rifiuto ad adeguarvisi. O da un capriccio.
Quindi, dove sta la verità? Davvero noi Millennial stiamo rifiutando di adattarci alle regole? O ne stiamo semplicemente seguendo di nuove? Sono i figli che non vogliono adattarsi ad un mondo più statico, o sono i genitori che non vogliono adattarsi ad un mondo più flessibile?
Per trovare una risposta, occorre un confronto. Occorre che i genitori mettano in discussione le proprie regole e i propri schemi, permettendo ai figli di spiegare come sia il mondo ai loro occhi.
E capisco sia difficile: rendersi conto che le proprie regole, che il “come ho sempre fatto” possa non essere più efficace o persino controproducente, spaventa. Perché il rischio è quello di sentirsi nudi, senza strumenti efficaci, e quindi in pericolo. Provocando un rifiuto viscerale anche solo all’idea che le cose stiano così. Lo capisco perché mi rendo conto che, tra una trentina d’anni, forse ci passerò anch’io.
E qui, per una volta, il passato può aiutare. Perché il processo che ho sinteticamente descritto qui avviene ormai, in modi diversi, da qualche migliaio di anni. Basti pensare alla famosa citazione di Platone sui “giovani d’oggi”.
Ai nostri genitori dico: se volete davvero aiutarci e capirci, fateci le domande che avreste voluto che i vostri genitori facessero a voi.
Alla fine, ci basta solo un sincero “perché?”.
Cosa ne pensi?
Studente di Psicologia del Lavoro, libero professionista, consulente HR e magnagati. Una di queste quattro finirà presto e mi auguro davvero sia la prima. Ma quando ci si laurea in psicologia non si smette mai di studiare. Orgogliosamente pieno di domande, scrivo per offrire (e ottenere in cambio) un punto di vista diverso e non per insegnare qualcosa. Scrivo principalmente per me stesso, perché attraverso la scrittura mi “costringo” a mettere in ordine i miei pensieri. Attività che sento di consigliare a chiunque. Classe ’93, la crisi del 2008 l’ho vista sui banchi di scuola e, fortunatamente, mai in casa. Questa stabilità mi ha portato a lanciarmi, e non ad impigrirmi, nel mondo del lavoro prima ancora di laurearmi, e ne ho pagato lo scotto ma anche raccolto i frutti. Il mio mondo sono le Umane Risorse, e credo fermamente che la loro gestione in azienda dovrebbe essere “to the people, by the people, for the people”. Molte cose devono ancora cambiare, e se anche non sarò protagonista di questo cambiamento sicuramente ne voglio fare parte.