Sono un umanista in rete. Nasco analogico e cresco digitale.…
Lo ammetto, ho passato i trentacinque ma non cambia: sono anch’io in questa terra di mezzo tra i trenta e i quaranta. I vent’anni sembrano un’altra vita e i quaranta fatico a immaginarli, persi come sono in questa nebbia di piombo. Avanzo tastoni e, tra non molto, dovrei sbatterci il muso contro; così dicono.
Alla mia età Dante aveva varcato la selva oscura; i miei genitori avevano una casa, due lavori fissi e due figli. Io sto per iscrivermi al secondo master, ringrazio Dio di avere un lavoro prostrandomi alla magnanimità di chi lo offre, ho la barba che s’imbianca e figli no grazie, non è il caso. E, soprattutto, nell’organigramma sono una risorsa junior.
Junior per sempre
Faccio il mio lavoro da dodici anni; in ambiti e aziende molto diverse, è vero, ma pur sempre quello ho fatto. Lo ripeto lentamente perché vorrei tu capissi: d-o-d-i-c-i a-n-n-i.
Ho una magistrale e un master. Leggo circa trenta libri l’anno per tenermi aggiornato sul mio settore e dintorni, e un numero infinito di articoli su web e riviste. Ho a mia volta scritto libri e articoli – ma questo non importa.
Eppure sono una risorsa junior come se avessi cominciato ieri, nemmeno puzzassi ancora di studentato.
Ma sono in buona compagnia. Ho coetanei messi peggio, credimi; so che può sembrarti strano ma sono fortunato.
Ho tenuto salda la mia bussola nella tempesta dei primi anni duemila, quando là fuori imperversava la crisi e, non si sa come, sono riuscito a tenermi un lavoro coerente con i miei studi umanistici. Sono miracolato come Tom Hanks in Cast Away, e ce l’ho fatta pure senza Wilson.
La maledizione degli anni Ottanta
Noi, nati a metà degli anni Ottanta, siamo finiti in un reflusso del progresso che non si sa come sia partito. Abbiamo le carte in regola per una vita di successo, abbiamo fatto tutto quello che ci dicevano – studia, fai il bravo, laureati, fai la gavetta, continua a studiare, cercati un lavoro serio, non ti lamentare, trovati un partner e pagati almeno un affitto – ma qualcosa è andato storto.
Proprio come quando sei al mare e stai nuotando per rientrare a riva. Si agita all’improvviso una corrente insidiosa e ciao. Le onde ti rigettano al largo e fai una fatica boia per toccare terra.
Siamo partiti spinti al massimo dalle speranze di gloria di chi non ha vissuto guerre e ha mangiato l’impossibile, siamo figli del benessere più sfrenato nella storia dell’umanità. E poi, dalla mattina alla sera, ci siamo ritrovati senza futuro, con un presente così ristretto nemmeno ce lo avessero lavato in acqua gelida.
Risorse junior e consumatori di serie b
Persino le ricerche di mercato ci snobbano. Sì, siamo Millennials ma ancora acerbi, tipo le prime arance che son buone forse per la spremuta.
Chi è già sui quaranta, la Generazione X, è un target di prim’ordine: gran lavoratori quelli, manager o al peggio startupper, gente che si è meritata il suv e la mountain bike elettrica.
I più giovani di noi, la Generazione Z, loro sì che sono animali da studiare. Consumatori attivi e critici, nativi digitali; quando ancora avevano l’apparecchio ai denti, contavano più follower su Instagram di quanti noi ne avremo mai in tutta la vita e su tutti i social (Facebook chi?). Specialistica all’estero e master Sole 24Ore, mica scemi. Parlano un paio di lingue come se ci fossero nati, quando noi abbiamo capito il genitivo sassone per grazia ricevuta.
A noi, i marketer ci filano zero. Capacità di spesa che fammi ridere, se non avevi la paghetta della nonna fino ai vent’anni manco la pizza il sabato sera vedevi. Da piccoli programmavamo in dos e siamo finiti nerd, quelli che si iperspecializzano in passatempi troppo di nicchia per far venir la fregola alle multinazionali.
Noi, laureati ai tempi dei numeri chiusi e delle SSIS che, mi dispiace, non esistono più; noi, quelli con la porta del mercato del lavoro chiusa in faccia, che se entravamo nel servizio civile ci sembrava d’aver vinto al superenalotto. Noi liquidi e mai definiti, sparpagliati in ogni dove come fuggiaschi dopo una bomba; nemmeno Nielsen s’impegna più a fotografarci come si deve.
Pane e resilienza
In rari momenti di lucidità come questo, mi domando quale congiuntura astrale ci abbia portato qui. Ripenso al mio essere – ancora – una risorsa junior, e ripercorro con la mente i dodici anni che mi hanno portato alla conquista del piano terra di un organigramma. Me li sento tatuati addosso, quei dodici anni di fatiche, di lavoro sottopagato nonostante i titoli e le skill, di “porta pazienza che sono tempi duri”, di “resisti che arriverà il momento”.
Quando il guru di turno viene a dirci che non dobbiamo abituarci alla comfort zone, che il cambiamento deve entrarci nel dna, che dobbiamo essere resilienti… beh, anche se non lo do a vedere, rido fragorosamente, rido di me stesso e di noi, rido di voi e di questa sconfinata ipocrisia.
Rido perché noi, quelli nati a metà degli anni Ottanta, a pane e resilienza ci siamo cresciuti. Siamo i maestri del cambiamento e dell’incertezza, gli equilibristi sempre fuori dal comfort: avete solo da imparare, da noi dell’età di mezzo. Sul palco dovremmo esserci noi. Noi che fino a ieri chiamavate bamboccioni, giusto per distrarci mentre ci rubavate la terra sotto ai piedi; con il risultato che oggi non ci spaventa più niente, nemmeno il covid, perché in una prospettiva così breve ci sguazziamo: il futuro corto è casa nostra.
E dopotutto, alla fine, la nostra terra ce la siamo presa lo stesso. Seppure sputando sangue, ci siamo conquistati questo miserevole fazzoletto di terra in fondo all’organigramma. Ebbene sì, abbiamo passato i trentacinque e siamo sempre risorse junior.
Ma non sai che soddisfazione.
Cosa ne pensi?
Sono un umanista in rete. Nasco analogico e cresco digitale. Mi occupo di comunicazione e marketing, e sono fermamente convinto che una storia aggiunga sempre valore a prodotti, aziende e persone. Credo nel potere delle parole e delle immagini. Credo negli imprenditori illuminati e nell'umanesimo come filosofia di vita. Nel tempo libero mi nutro di cultura, fotografia, natura e archeologia.