
Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia,…
Quando si parla di personal branding, e della necessità del personal branding, si pensa sempre alla creazione di un’immagine convincente. Forte e orientata ad ingaggiare le persone e raggiungere un determinato obiettivo; solitamente si tratta di vendere qualcosa ma ultimamente se ne parla anche per trovare lavoro (punto sul quale avrei alcune riserve).
Ma dare un “volto” a noi stessi nel mondo digitale è solo un primissimo passo. Importante ma insufficiente.
Forse andava bene agli albori di tutto questo, quando avere un sito web era differenziante, quando visto su internet pareva avere la stessa forza del visto in tv. Forse andava bene prima, non oggi.
Oggi essere on line potrebbe essere discriminante in negativo. Ci sono così tante fake e così tanti messaggi/persone da cui guardarsi che il risultato è una generale allerta. Potremmo pensare che in fondo non sia così ma le barriere emotive continuano ad essere altissime quando la posta aumenta. Puoi anche essere un signor nessuno e racimolare milioni di like. Puoi perché si tratta di poco. Ma quando si tratta di avere attenzione, impegno, soldi (si tratta anche di questo), la situazione cambia drasticamente.
Il risultato è un circolo vizioso nel quale si alterna la frustrazione del “Perché non mi vedi?” a quella del “Perché non mi credi?”.
Le persone si fidano delle persone. Non della pubblicità ma nemmeno dei profili.
Siamo talmente immersi in tutto questo da dimenticare che una persona non è un profilo, che un profilo non fa una persona. È un passaggio fondamentale ed è esattamente ciò del quale c’è bisogno per comunicare on line in modo soddisfacente.
Dovessi scegliere una parola userei“consistenza”. “L’aver corpo, fondamento, concretezza, rispondenza alla realtà”.
Parola che spesso si usa negativamente con gli spiriti, che consistenza non ne hanno. Ed ecco, anche “spiriti” è una parola che ci può stare. Una volta saltati nel web siamo tutti spiriti fatti da pixel.
Perfettamente somiglianti a una persona ma non siamo ancora una persona.
La consistenza, la veridicità, “sapere di reale” è ciò che fa la differenza.
La nebbia del digitale
C’è una scena del “Tredicesimo guerriero” che spiega bene la situazione. Per chi se lo fosse perso (niente di cui rammaricarsi), narra le vicende di un villaggio assalito da misteriose creature, spiriti. Il figlio del re va dunque a chiedere aiuto ad un villaggio vicino. La scena che spiega bene ciò che intendo dire, si apre dunque con il ragazzo sulla prua della nave. Fermo, da giorni. Un forestiero che vede la scena dalla terra ferma non capisce cosa stia facendo e perché se ne stia lì fermo. La spiegazione è nel dialogo sottostante.
“C’è un ragazzo, sta in piedi fermo come una statua.” “Il ragazzo si lascia vedere da loro.” “Ma è in piena vista…” “Loro non sanno se quello che vedono è vero. È qualcosa che ha a che fare con la nebbia a quanto pare la nebbia mette loro paura porta con se pericoli e spiriti. Il ragazzo è stato educato…concede loro il tempo di decidere se è reale o meno.”
Immagine > Consistenza > Comunicazione
On line siamo tutti come quel ragazzo. Siamo perfettamente in vista, ci vedono ma non sanno se siamo reali.
La nebbia del digitale è fatta da spam, scam, virus, ritorsioni, fregature, tentata e spietata vendita, perdita di tempo, ecc. Quasi nessuno, quasi mai le persone che per noi contano, sono disposte a parlare, davvero, con chi potrebbe essere uno spirito e portatore di sventure.
Il nostro compito, “l’educazione”, è quella di stare lì, mostrarci sino a quando sia chiaro il nostro essere reali, la nostra consistenza. Fuor di metafora si tratta di:
- Non tanto ciò che diciamo ma ciò che facciamo
- Non tanto ciò che diciamo ma ciò che altri dicono di noi
- La coerenza di ciò che il web dice di noi
- Da quanto tempo siamo lì a “farci vedere” (familiarità)
- L’umanizzazione delle nostre figure (non mi fido mai di un professionista che non ha traccia di una vita privata)
- Quanto della vita “reale”, del mondo “analogico” sappiamo portare in quello digitale
Sembra un secolo ma siamo solo all’inizio
Siamo così presi dai nostri smartphone, così dipendenti dalla tecnologia da pensare sia sempre stato così. In realtà siamo tutti nuovi di questo mondo e per capirlo, viverlo e interpretarlo abbiamo sempre bisogno di portare idee, concetti, cose, della vita “analogica”.
Le metafore come “piazza” o “vetrina” o “tribù” funzionano perché offrono questo genere di appigli.
Per lo stesso motivo, persone provenienti dal mondo dello sport, della televisione, le grandi firme nazionali, riescono in tempi brevissimi a creare un pubblico nel mondo on line. Spesso sono più incapaci dell’uomo “medio” da un punto di vista digitale. Ma non importa.
Hanno un peso diverso, hanno tanti appigli con ciò che le persone conoscono. Hanno, a volte penso anche immeritatamente, consistenza.
Consistenza. Tra tanti termini inglesi è spesso questo a fare la differenza.
Cosa ne pensi?

Scrittore semplice | Co-Founder Purple&People | Papà di Nicolò, Giorgia, Quattro (Schnauzer) e Pixel in crisi (libro) Aiuto le persone a trovare-raccontare-vivere il proprio scopo. Qualcuno parlerebbe di Personal Branding ma preferisco dire “Posizionamento personale”. (Perché non riguarda affatto solo il tuo lavoro e perché l’obiettivo è vivere pienamente e non essere scelti da uno scaffale.)