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Accenditi, avviati, connettiti (e ritrova te stesso)

Accenditi, avviati, connettiti (e ritrova te stesso)

Esiste uno specifico termine inglese per definire gli studenti che abbandonano gli studi: drop out.

Faccio parte anch’io di questo gruppo di studenti: quasi al traguardo, – mancavano un po’ di ore di tirocinio, alcuni esami e la tesi,- mi sono fermata. Ho abbandonato il corso triennale in musicoterapia, anche se mi aveva stimolata verso una crescita e una dimensione molto umana.

Lo stesso termine, drop out, lo utilizzò anche Timothy Leary (scrittore, psicologo ed attore nonché sostenitore dell’utilizzo dell’LSD negli anni ’60).

Leary però modificò il senso del termine drop out grazie al suo famoso motto “Turn on, tune in, drop out” che significa: accenditi, sintonizzati, abbandonati.

In sostanza (è il caso di dirlo) una sorta di bisogno di risvegliare la mente aprendo le porte alla percezione, entrando in sintonia con l’universo, cercando di ascoltarlo e comprenderlo per finire in uno stato di abbandono verso una più profonda coscienza di sé, scoprendo la propria unicità e quella necessità di muoversi da un immobilismo verso un cambiamento possibile.

Di se stesso, Leary scrive di essere stato: “un anonimo impiegato istituzionale che ogni mattina guidava la propria auto fino al lavoro, in una lunga colonna di auto pendolari per poi tornare, ogni notte, a casa a bere martini… come molti milioni di borghesi, liberali, robot intellettuali”.

Sicuramente l’incontro con sostanze psichedeliche ha molto influito sul suo successivo percorso di vita fino a portarlo a definire la nascita dei primi personal computer come la nuova LSD, tanto da trasformare il motto “Turn on, tune in, drop out” in Turn on, boot up, jack in che significa accenditi, avviati, connettiti.

A ben pensarci, Leary ci ha visto giusto: oggi viviamo proprio così.
Accesi, avviati e connessi, spesso 24 ore su 24.

Un bene o un male?

Non credo sia necessario un giudizio, in fondo ciascuno ha il proprio metro di misura su come spendere il proprio tempo e la propria vita nel modo che ritiene migliore.

Sicuramente l’arrivo dei personal computer, di tablet, di smartphone hanno rivoluzionato il mondo dell’informazione e dell’informazione fake, della connessione immediata e della realtà digitale e virtuale.

Un bene o un male?

Vale la risposta sopra.

Per quanto mi riguarda oltre i molti pro ci sono anche i contro.
Stiamo perdendo contatto con le persone perché ci affidiamo a messaggi online, videochiamate, messaggini vocali accompagnati da emoticons e gif di vario genere e per quanto possa essere immediato e veloce ed utile in molte circostanze, stiamo perdendo il senso dell’essere fisicamente uno di fronte all’altro, di conoscerci attraverso quello spazio vitale che ci fa tenere la giusta distanza e la giusta vicinanza, di annusarci, di dare credito o meno alla prima impressione, di stringerci la mano, di vedere se siamo alti o bassi, magri e tonici, di scoprire che abbigliamento ci contraddistingue, di scorgere micro espressioni e gesti che ci possono aiutare nel decifrare il nostro interlocutore, di entrare in uno stato empatico, di recarci in un bar seduti ad un tavolino con un caffè davanti e parlare di lavoro, di vita, di noi stessi, di progetti e sogni, di fatica e difficoltà.

Recuperare una dimensione più a misura d’uomo è necessario e credo faccia anche bene. In fondo siamo e saremo sempre animali sociali che senza gli altri non possono riprodurci, progredire, crescere, imparare, evolvere.

Ma anche questo non basta. Serve una profonda capacità di sapersi sintonizzare gli uni negli altri e di saper creare relazioni e connessioni profonde, a tu per tu.
In fondo il più grande progresso e la più grande innovazione non è data da tecnologie sempre più raffinate in 4G e 5G o da creazione di robot simili all’uomo, ma dalla capacità di ritrovare se stessi in questa società ultra veloce. Sapersi riconnettere con le proprie radici e quella parte di anima che ci rende unici, speciali, capaci di vivere il cambiamento e di creare connessioni reali e profondamente umane.

La vera rivoluzione del XXI secolo sta tutta qui: saper “abbandonare”, (o trovare il giusto punto di equilibrio, almeno in parte) quello che è il futuro ipertecnologico, per ritrovare una dimensione più intima ed umana che porti ad una coscienza più profonda del grande potenziale che ogni essere umano racchiude in sé. Il solo modo per vivere una vita più serena e pacifica, meno stressata e orientata al potere/successo, più consapevole, più cooperativa e meno individuale.

E si può così leggere il mantra di Leary Turn on, boot up, jack in in una chiave nuova.

Accenditi, avviati, connettiti per ritrovare te stesso prima di tutto, per dare così spazio a quell’essere umani di cui oggi abbiamo decisamente bisogno. Esseri umani buoni, attenti alle proprie necessità e a quelle degli altri, che credono nell’importanza della collaborazione e dell’interdipendenza, che vivono per rendere il mondo quel “posto migliore” che in fondo ognuno desidera.

Un bene o un male?

Vale la risposta sopra… ma forse è proprio un bene necessario.

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