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Voglio un lavoro che mi lasci tempo libero (mica una vita spericolata)

Voglio un lavoro che mi lasci tempo libero (mica una vita spericolata)

Lavoro e tempo libero

“Entro il 2030 l’umanità dovrà affrontare la più grande sfida mai immaginata nella storia: gestire una quantità immane di tempo libero.”

L’ha detto un uomo, circa 90 anni fa. Quell’uomo si chiamava John Maynard Keynes e quella sua frase oggi più che una previsione illuminata sembra una sciocchezza.

Anche Benjamin Franklin, nel diciottesimo secolo, profetizzava le quattro ore di lavoro al giorno come un futuro inevitabile per l’uomo. E John Stuart Mill sosteneva che la tecnologia dovesse essere usata “per accorciare il più possibile la settimana lavorativa”.

Henry Ford, che di valore del tempo e di capitalismo se ne intendeva, aveva invece scoperto che una settimana lavorativa più corta aumentava la produttività fra i propri dipendenti. E quando introdusse la settimana lavorativa di 5 giorni, gli diedero del pazzo.

Poi il mondo cambiò idea, facendo finta di non averlo mai pensato (che fosse pazzo).

Non abbiamo mica capito il lavoro

Cos’è successo nella realtà reale? La storia ha smentito quegli illustri veggenti, dato che la rivoluzione industriale non ha aumentato il tempo libero delle persone. Lo ha paurosamente accorciato, lasciando che il lavoro occupasse anche le ore del riposo, oltre i ritmi naturali del giorno.

Negli ultimi 250 anni ci siamo abituati a considerare il lavoro come un elemento fondamentale e insostituibile della vita. Negli ultimi 50 anni abbiamo iniziato a ridimensionare (verso il basso) l’importanza vitale delle altre attività del nostro quotidiano.

Così, come dei devoti alla “religione lavoro”, abbiamo sempre più sottovalutato l’importanza essenziale delle relazioni sociali generative, dell’apprendimento tramite il divertimento e del sano ozio che non ha timore di perdere tempo.

Crescita personale e basta?

Nell’antica Roma, l’ozio (otium) era il cosiddetto tempo libero. Solo che forse, qui non basta parlare di libertà: bisogna distinguere le due direzioni della libertà del tempo.

Duemila anni fa, per esempio, il tempo poteva essere libero da che cosa? Probabilmente dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (cioè dai negotia).

E poteva essere libero di che cosa? Di esser dedicato alle cure dei familiari, della casa, del podere, ma soprattutto agli studi.

Lo studio personale, in età adulta, è diventato un obiettivo sociale molto più ambito. E per raggiungerlo, le persone hanno bisogno di…tempo.

Lo studio, in questo caso, va sotto il nome di “formazione”. E a volte, forse troppo banalmente, viene catalogato come “crescita personale”. Per le persone, rimane comunque una fondamentale opportunità per:

  • un incremento di saggezza e intelletto.
  • un accrescimento della dimensione del pensiero.
  • una sostanziale evoluzione consapevole.

Non abbiamo mica capito il tempo 

In una società apatica e utilitarista, si sostiene un’assurda contrapposizione tra studio e lavoro.

La demarcazione è segnata da una linea netta che separa le due fasi di vita. La prima deve servire per formare la seconda. E la seconda deve servire per dare un senso a tutto il viaggio.

Come dice Ken Robinson, però, la formazione non può essere un pieno di benzina che ci facciamo fino ai 25 anni, affinché duri per tutta la vita. Questa è follia allo stato puro (anche se purtroppo è realtà convenzionalmente accettata).

A livello di imprinting, poi, abbiamo un problema enorme: concepiamo ancora la vita come un qualcosa di lineare. E concepiamo noi stessi come delle macchine che devono tirare avanti. Come fossimo cioè dei buoi che arano i campi.

Ma non è così. Perché altrimenti possiamo anche dire che il Sole gira attorno alla Terra. E che la Terra è piatta (okay, c’è chi lo pensa).

La vita è organica, ciclica e creativa.

Ognuno di noi ha un proprio corso, sostiene Robinson. Ognuno di noi ha propri interessi e crea la propria vita mentre viviamo. Che sembrano parole altisonanti, ma è effettivamente la caratteristica degli esseri umani. Ed è il motivo per cui la cultura umana è così interessante, varia e dinamica.

Ma, per fare ciò, alle persone serve…il tempo.

L’El Dorado pratico e quello emotivo

La dimensione del lavoro è lineare. Anche se, nel ventunesimo secolo, è sempre meno architettata per una ripetitività di azioni. Una sequenza di operazioni che mirano a fare quello che già conosciamo e realizziamo quasi per inerzia.

Poche persone sono consapevoli dello spegnimento della loro vitalità nel ripetere le stesse azioni negli ambienti dove lavorano. Quelle stesse persone, però, saprebbero descrivere con entusiasmo le attività diverse e originali che hanno “interrotto” la loro giornata lavorativa tipo.

Il gusto di imparare ciò che ancora ci è ignoto dipende dalle condizioni nelle quali ci mettiamo.

L’El Dorado a cui sempre più persone mirano, assomiglia a un flusso armonico. Una dimensione di benessere aumentato dove, oltre i confini del nostro lavoro, riusciamo ad avere anche tempo libero: libero di essere vissuto sulla base delle nostre intime volontà.

Questo El Dorado può essere pratico, se ci permette di immergerci in attività che danno valore al senso pratico del nostro agire, cioè di collaborazioni o progetti personali.

Oppure può essere emotivo, perché ci fa ricordare che il tempo è di qualità solo se stiamo bene in esso.

Prima di renderci conto che non è infinito. Prima di ricordarci che non ci torna indietro.

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