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Fame

Fame

donna con cane

Lei spiava dalla finestra. Aspettò che il postino ripartisse, e che il vicino rientrasse. Scese a prendere la posta in ciabatte; portava pantaloncini che mostravano gambe non depilate. Rientrò in casa correndo.

Lasciò da parte le bollette e la pubblicità, e si fermò a leggere una cartolina. Non riconosceva la grafia, e non riconobbe nemmeno la firma. La foto era di un tramonto in una città del nord Europa. La donna rimase a guardarla per qualche minuto, non sapendo cosa fare. Era seduta sul divano con la cartolina in una mano, e con l’altra mano accarezzava Bruto, il cane.

Proprio con capiva.
Allora prese in mano il telefono e schiacciò il tasto uno.

“Ciao, cara”, rispose la voce dall’altra parte.
“Buongiorno”, disse la donna non depilata.
“Tutto bene?”, chiese la voce.
“Non lo so”, fu la risposta. “Come posso saperlo?”.
“Hai mangiato?”, chiese la voce.
“Non mi ricordo”, disse la donna.
“Se mangi, vuol dire che va bene”, disse la voce.
“Non ho fame”, disse la donna.
“Basta poco, un po’ di minestra”, insistette la voce. “Un biscotto, una tazza di latte”.

La donna non depilata provò a spiegare, di nuovo, che non aveva appetito, che forse aveva anche già mangiato. Non se lo ricordava. Voleva solo sapere di chi fosse la cartolina, ma la persona al telefono continuava a ripetere che doveva mangiare.

Allora la donna andò ad aprire il frigo. Non c’era nulla, a parte un cartone di latte; provò a versarne un po’ in una tazza, non uscì niente.

“Ho già mangiato”, disse allora.
“Va bene”, disse la voce al telefono. “Hai bisogno di qualcosa?”.

E la donna disse ancora della cartolina, cercò di leggere quello che era scritto, ma non leggeva bene. Chiese di chi poteva essere, che lei non lo capiva. La voce al telefono disse che non era importante, che al momento giusto se lo sarebbe ricordata da sola. Le disse di non preoccuparsi. La donna continuava a chiedere, con insistenza. La voce al telefono disse che non lo sapeva; le disse che aveva gente, e che doveva salutarla. Le disse che poteva richiamare in qualsiasi momento.

La donna non depilata interruppe la conversazione e buttò a terra la cartolina.

Poi si stese sul divano, con una coperta a coprirla tutta, fino al volto. Si addormentò; e dormì a lungo.

Quando si svegliò, fuori era buio. Bruto le stava leccando il piede nudo che usciva dalla coperta. Lei si alzò e andò in bagno. Bruto la seguì e restò a guardarla. La guardò pisciare, e prendere la carta igienica per pulirsi; la guardò mentre si masturbava seduta sulla tazza del cesso.

Poi la donna non depilata si tolse pantaloncini e mutande, e indossò dei pantaloni lunghi. Si lavò le mani senza guardarsi allo specchio. Prese una spazzola e si spazzolò a lungo i capelli, che erano radi, e cortissimi. Li spazzolò fino a farsi sanguinare la pelle. Il cane era sempre lì.

“Ti porto fuori, Bruto”, disse lei. Ma non trovava il guinzaglio.

Allora prese il telefono, e schiacciò il numero uno.

“Ciao, cara”, disse la voce al telefono.
“Buonasera”, disse la donna.
“Tutto bene? Hai mangiato?”, chiese la persona al telefono.
“Vorrei sapere del guinzaglio”, disse la donna.
“Quale guinzaglio?”, chiese la voce.
“Il collare. Il guinzaglio. Del cane”, disse la donna.
“Non lo so”, disse la voce, “ma non serve, in casa”.

Ma la donna non depilata aveva insistito, voleva uscire, voleva portare fuori il cane. La persona che era al telefono le aveva detto che poteva prendere in prestito il guinzaglio del vicino di casa, che glielo avrebbe dato senz’altro. La donna non voleva, però, disse, andare dal vicino. Disse che era una persona cattiva e le faceva paura. La persona al telefono la rimproverò di essere infantile: se voleva uscire col cane doveva chiedere il guinzaglio in prestito. Poi le disse che doveva andare, perché aveva gente, e che poteva richiamare in qualsiasi momento.

Allora la donna andò dal vicino, che fu molto gentile: le prestò il guinzaglio e la aiutò a metterlo. Le raccontò che era il guinzaglio del suo vecchio cane, morto l’anno prima.

La donna non disse nulla, non lo ringraziò nemmeno; uscì in ciabatte e fece una lunga passeggiata. Il cane la precedeva.

Dopo cena non era ancora rientrata. Il telefono, a casa, squillava, ma nessuno rispondeva. A mezzanotte, il telefono smise di suonare.

Il mattino dopo, come d’abitudine, il vicino della donna si svegliò all’alba; vide che Bruto era fuori in strada, davanti al cancello, senza guinzaglio. Stava lì, fermo; sembrava aspettare qualcuno. Aveva in bocca una ciabatta bianca.

La polizia disse che non potevano fare niente. Se una donna adulta si allontana per fare una passeggiata, dissero, era nel suo diritto, e una ciabatta in bocca a un cane non significava niente.

Il vicino cercò di spiegare che la donna non stava bene; non sapeva che problemi avesse, ma normale non era, disse. Il poliziotto chiese se ci fosse un parente, un medico, qualcuno da chiamare in caso di bisogno. Il vicino non lo sapeva. Entrare in casa non potevano, non c’era motivo di pensare che fosse necessario, il poliziotto avrebbe passato dei guai, se l’avesse permesso. Il vicino disse che capiva. Disse che magari non era successo niente e la donna sarebbe tornata più tardi.

Il vicino si occupò di Bruto per tutto il giorno. Lo nutrì; giocò con lui. Il cane sembrava triste ma mangiò con appetito e si lasciò accarezzare.

La sera, la donna non era ancora tornata. Alle sette, quando il vicino si stava sedendo a tavola, il cane iniziò ad abbaiare fortissimo. Il vicino non sapeva come calmarlo, e si spaventò. Mentre cercava di accarezzarlo, il cane lo morsicò, facendogli sanguinare la mano. Il vicino fu costretto ad andare in ospedale, perché la ferita era profonda. E Bruto fu portato via.

In strada era rimasta la ciabatta bianca. La raccolse la mattina dopo un bambino che passava di lì, gli serviva un palo per la porta da calcio.

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