
Valentina Maran è nata a Varese nel 1977. È una…
È possibile fare una recensione in modo etico e professionale, soprattutto se ci sono di mezzo i soldi?
Oppure, solo per il fatto che ti paghino, va da sé che ne dovrai parlare bene?
Questo è un dilemma che mi pongo da tempo, e ho fatto scorta di dubbi e ripensamenti sull’argomento.
Per lavoro mi capita di essere contattata da aziende che mi mandano prodotti da provare e recensire e vogliono che io ne parli possibilmente bene. Anzi, direi ovviamente bene perché immagino che diano abbastanza per scontato che questo succeda, anzi, lo danno per certo soprattutto a fronte di un compenso deciso insieme.
Per regolarmi su questa faccenda ho pianificato un mio sistema per accettare o meno le recensioni e per farle in modo etico e trasparente.
Mi pagano o comunque mi regalano qualcosa: che faccio se non mi piace?
È importante che io ti dica che cosa recensisco – faccio la sexblogger e recensisco sextoy (in genere questa affermazione genera un picco di interesse in questa fare del discorso!) – figata! Dirai tu – vero, dico io, il problema è che gli oggetti che mi vengono mandati hanno anche un certo valore che va dai 50 euro medi a prodotti che possono sfiorare i 2000 euro.
Non male, certo. Il fatto è che questo determina una sorta di “senso del dovere” nel parlare per forza bene delle cose che si ricevono.
In generale la mente umana percepisce come migliori gli oggetti di costo maggiore, e anche questo rende complicato giudicare in modo oggettivo un prodotto.
Come fare quindi per uscirne bene, senza subire la pressione psicologica dei brand e soprattutto per rimanere una voce credibile nei confronti di chi mi legge?
Parlo solo di quello che mi piace
Ho deciso di adottare una tecnica poco remunerativa ma moralmente accettabile per me: parlo solo di quello che mi piace e non lo faccio per soldi. Non voglio sentirmi in dovere di parlare bene di qualcosa.
Sul mio blog personale scrivo solo quando mi va, quando ho qualcosa da dire, e non per fare numero, e soprattutto lo faccio quando i prodotti mi divertono o mi colpiscono particolarmente.
Se qualcuno decide di regalarmi qualcosa da provare, accetto ma avviso sempre che lo stanno facendo a loro rischio e pericolo perché non voglio sentirmi in obbligo di parlare bene di qualcosa.
Alcuni desistono, altri si fidano del prodotto e me lo mandano – devo dire che questi sono, il più delle volte, prodotti ottimi. E infatti mi capita di scriverne con piacere.
Ma se non mi piace?
Recensire con pressapochismo è uno dei mali del web: recensire male e forzatamente un prodotto rovina il mercato, non dà alcun servizio al pubblico e soprattutto alimenta l’immondizia di cui il web è pieno, e io non ho voglia di essere l’ennesima persona che recensisce a cavolo un prodotto perché viene pagata per farlo.
L’altro giorno mi ha contattata un’azienda di relazioni pubbliche proponendomi l’anteprima di un film in uscita in questi giorni.
Cast stellare, una sorta di thriller dove il tradimento è parte integrante della trama. Mi dicono se mi va di vederlo visto che il tradimento potrebbe essere nelle mie corde di sexblogger.
Certo che potrebbe, quindi mi danno il link per la visione privata.
E da lì nasce l’imbarazzo: recensire un film non è un problema – avendo lavorato molti anni nella pubblicità e avendo girato molti spot so capire se una sceneggiatura funziona e se un doppiaggio è fatto a regola d’arte. Il fatto è che quel film era davvero brutto. Ma brutto in modo esasperante. Roba da abbaiare a sbadigli. Da ritrovarsi lì a urlare “allora?!” allo schermo in attesa della battuta che non arriva. Ne ho visto metà a forza di andare avanti veloce con il cursore. Insomma: brutto a quel livello lì.
L’agenzia di PR mi ha ricontattata qualche giorno dopo, chiedendomi se mi è piaciuto e soprattutto se ho scritto qualcosa (fanno così: ti mandano le cose, ti danno un giorno x entro cui scriverne e ti pungolano attorno alla data stabilita per avere il così detto buzz – il rumore attorno all’evento o al prodotto).
Sono stata sincera: ho detto che il film era brutto, al di sotto delle aspettative, ho elencato in modo dettagliato i difetti e ho detto che avrei preferito non scriverne, perché se l’avessi fatto avrei dovuto parlarne male.
La persona dall’altra parte della mail ha compreso, mi ha comunque ringraziata della disponibilità e ci siamo lasciate con la promessa di risentirci per eventuali altre collaborazioni.
Ma perché non ne parli male?
Siamo d’accordo che le recensioni non debbano per forza essere positive, ci mancherebbe. Scrivo male dei prodotti – o comunque non mi spertico di lodi – se c’è spazio per migliorarli e quindi so che il mio commento può essere utilizzato positivamente dall’azienda. Non scrivo male e basta di qualcosa semplicemente brutto perché sarebbe comunque pubblicità – se qualcuno mi regala qualcosa che non mi piace lo avviso ed evito di scriverne riportando in privato all’azienda quello che secondo me non funziona.
Non ho scritto una recensione negativa del film perché non ci sarebbe stato spazio di miglioramento.
È un film brutto. Posso evitarvi di andare al cinema? Si, ma preferisco di gran lunga spingervi ad andare quando qualcosa mi esalta davvero: credo di essere molto più convincente.
L’altro caso in cui non mi faccio problemi a recensire un prodotto negativamente è se ho speso del mio, se il mio ruolo non è più quello di sexblogger ma di utente che ha acquistato un prodotto a seguito della pubblicità e lo trova al di sotto delle aspettative allora sì, ne parlo male perché è venuto meno il patto di fiducia tra me cliente e il brand. Questa è la differenza.
Ok, ma i soldi come li fai?
Ci sono sexblogger che lo fanno per mestiere, e va bene così. Ho rispetto di chi sceglie di scrivere ogni giorno per i brand, e sono certa che molte colleghe e molti colleghi lo facciano in modo serio.
Io preferisco farlo per divertimento perché farlo per lavoro mi toglierebbe credibilità e passione.
Scrivo a pagamento non sul mio blog ma sui blog degli altri. Scrivo recensioni sui blog dei brand ma anche qui, la condizione è che il prodotto che mi chiedono di testare mi piaccia. Non posso e non voglio mentire al pubblico.
Per me è una questione etica fondamentale.
Potrei guadagnare molto di più, farmi pagare profumatamente per ogni post sui social e per ogni volta che cito qualcuno, ma no, non lo faccio.
Mi limito semplicemente a mettere #ad ai post quando cito un marchio perché, anche se non ho voluto denaro per scriverne, comunque si tratta di pubblicità e preferisco essere chiara. E anche questo ha contribuito a costruire la mia credibilità nel tempo.
Tu ti fidi delle recensioni che trovi in giro?
Sapere che sono a pagamento le rende meno credibili? È un dilemma dal quale non riesco a uscire!
Cosa ne pensi?

Valentina Maran è nata a Varese nel 1977. È una copywriter freelance. Si è formata nelle più grandi agenzie di comunicazione milanesi e dopo un trionfale licenziamento ha scritto “Premiata Macelleria Creativa” (Fandango 2011). Scrive per riviste, committenza privata, blog di ogni tipo e si occupa prevalentemente di questioni di genere, femminismo, parità di diritti nella comunicazione. Con la sua socia Vanessa Vidale ha una piccola agenzia di comunicazione che si chiama NoAgency dalla quale non può licenziare nessuno, tranne se stessa. Da anni è docente in corsi ITS e IFTS post diploma dove insegna creatività.