
Sono Consulente, Formatore e Coach. Ma anche podcaster, scrittore, cuoco,…
Di tanto in tanto capita che il mio feed di LinkedIn sia popolato dall’occasionale post in cui si sottolinea come chi “ha sempre fatto così” sia destinato ad una morte prematura. O magari, quelle belle vignette in cui viene mostrata la comfort zone, con tutte le cose fighe che accadono appena al di fuori di essa.
Io osservo questi post, che sono tipicamente opera del consulente o coach di turno, e resto perplesso.
Anche l’altro giorno, mentre passeggiavo per SMAU Padova, chiacchierando con i vari responsabili delle aziende in esposizione, rimanevo colpito da quanto le loro soluzioni si focalizzassero sulla dimensione tecnologica del prodotto, trascurandone quella squisitamente umana.
Insomma, è come se l’opinione diffusa fosse che in qualche modo il cambiamento fosse un nostro sacrosanto dovere, che lo stare fermi per più di qualche secondo sia visceralmente sbagliato, che la fatica o la paura di cambiare non siano ammesse.
E su questo mi permetto di dissentire.
Non fraintendermi, il cambiamento accade, e tipicamente chi riesce a cavalcarlo meglio ottiene un vantaggio competitivo rispetto a chi non ci riesce. Allo stesso modo, resistere troppo al cambiamento porta a situazioni tipicamente patologiche o profondamente disfunzionali. Non lo nego.
Ciò che mi lascia perplesso è l’atteggiamento di chi si pone come agente del cambiamento: chi, attraverso i propri prodotti o servizi, dovrebbe aiutare il proprio cliente a cambiare, ma in realtà non fa altro che tormentarlo con l’idea che dovrebbe essere lui a voler cambiare, salvo poi lamentarsi pubblicamente (sì, molti di quei post arrivano sul mio feed di LinkedIn) di quanto le persone abbiano poca voglia di mettersi in gioco.
E io continuo ad essere perplesso, in larga misura perché “abbiamo sempre fatto così” è quella frase che i miei clienti non mi dicono mai, e non sono particolarmente bravo a sceglierli, anzi, spesso quando mi raccontano dei loro problemi mi metto mentalmente le mani nei capelli.
La psicologia ha acquisito dalla biologia il concetto di omeostasi: un sistema che raggiunge uno stato di equilibrio tenderà a mantenerlo, resistendo a cambiamenti esterni, anche quando questo equilibrio appaia disfunzionale. Questo è vero per le cellule, per gli ecosistemi ambientali, e anche per l’essere umano, messo in un contesto di cambiamento.
Si comprende quindi immediatamente come un essere umano messo nelle condizioni di cambiare, spesso anche quando la sua situazione appaia profondamente disfunzionale, tenda a resistere al cambiamento quando questo provenga dall’esterno. Insomma, la storia la conosciamo: il famoso imprenditore delle mie parti, il paròn veneto, magari sta con l’acqua alla gola perché l’azienda ha sempre meno clienti e sempre più debito, contatta il consulente di turno per risolvere i problemi della sua azienda, ma quando questi si premura a creare una mappa strategica che miracolosamente risolleverà l’azienda, risponde con un adamantino “abbiamo sempre fatto così”, mandando su tutte le furie il povero consulente che quindi si rifugia su LinkedIn a sfogarsi scrivendo “ma com’è che prima mi contatti per una consulenza, mi paghi anche, e poi non metti in pratica quello che ti dico?”
La risposta è, banalmente, omeostasi, o se preferisci resistenza al cambiamento.
E se in quanto esseri viventi, tutti siamo caratterizzati dalle nostre resistenze al cambiamento, allora chiunque si occupi di portare un cambiamento nelle vite degli altri dovrebbe preoccuparsi di come il cambiamento stesso funzioni.
Dal punto di vista comunicativo, si può guidare una persona al cambiamento in tre modi diversi:
- la si può convincere
- attraverso l’uso della persuasione
- facendo ricorso alla manipolazione.
Convincere
L’etimologia della parola Convincere richiama il concetto di vincere insieme, ed è per questo che questa parola è tipicamente la preferita di chi si occupi di comunicazione. In effetti, dal mio punto di vista la lettura è diversa: si può anche vincere insieme, ma la verità è che ci sarà sempre qualcuno che vince, e qualcuno che è vinto. Ecco perché tutti amano l’idea di convincere gli altri, ma ben in pochi ci riescono.
Come si fa a convincere? Utilizzando leve e argomentazioni di natura razionale. La regola è che chi ce l’ha più grosso (il dato) vince. L’altro, inevitabilmente, è vinto, ma è più una ritirata strategica, in attesa di reperire nuove argomentazioni più efficaci.
Insomma, è possibile convincere qualcuno solo se il suo interesse rispetto a una situazione è di natura prettamente razionale, e non ha alcun attaccamento emotivo per essa. Questo è anche il motivo per cui, nonostante tutta la comunicazione del mondo dei medici a favore dei vaccini, esistono comunque sacche importanti di antivaccinisti: la scienza, tipicamente, mira a convincere, mentre chi si pone in antagonismo alla scienza usa strategie comunicative di stampo manipolatorio!
Manipolare
Visto che l’ho citata, parlo quindi di Manipolazione, che sfrutta la logica opposta rispetto al convincimento. La parola stessa richiama all’uso delle mani, e quindi si identifica come a una forzatura nei confronti del punto di vista dell’interlocutore. Una forzatura, però, incredibilmente efficace.
Manipolare significa usare leve prettamente irrazionali per forzare un cambiamento. Se hai letto Influence di Cialdini, lui parla di Persuasione, ma non farti ingannare: è Americano, e l’Americano è una lingua barbara; le famose tecniche che lui propone sono, in realtà, manipolatorie.
Proprio perché è così efficace, la manipolazione è quindi lo strumento di riferimento di truffatori e persone dalla dubbia moralità, che la usano per avvantaggiarsi sugli altri, e per questo motivo ha una nomea ingiustamente negativa: come tutte le tecnologie comunicative, infatti, è l’uso che ne viene fatto che la identifica come giusta o sbagliata.
Naturalmente non è tutto oro quello che luccica. Se è così efficace, dov’è la fregatura? Nel fatto che forzando un cambiamento, le persone spesso ci ripensano, e tornano ad assumere il comportamento precedente. Insomma, hai presente quando sottoscrivi un contratto con un venditore porta-a-porta, ma dopo pochi minuti che è uscito ci ripensi e chiami la compagnia per disdirlo immediatamente? Ecco, probabilmente hai appena subito una manipolazione.
Persuadere
Ecco perché tra le tecnologie comunicative la più potente è certamente la Persuasione. Persuadere significa, etimologicamente, guidare dolcemente a sé, e come probabilmente avrai intuito coinvolge sia la sfera razionale che quella emotiva del tuo interlocutore.
La caratteristica principale della persuasione è che non costituisce una forzatura, per cui non conduce l’interlocutore ad un cambiamento verso cui non sarebbe disposto ad andare; si tratta piuttosto di un percorso di facilitazione. Attraverso un processo di persuasione si può aggirare agevolmente la resistenza al cambiamento delle persone, poiché le guida in modo spesso invisibile a costruire un nuovo equilibrio.
La persuasione è un’arte sottile, che però esiste da migliaia di anni, scoperta in diversi periodi storici e in diverse parti del mondo ogni volta che ci si è resi conto di quanto siano potenti le parole nel guidare le persone a costruire la realtà. Insomma, non esistono parole magiche, ma se esistessero sarebbe parole persuasorie.
La prossima volta che sentirai dire “abbiamo sempre fatto così”, quindi, non farti cogliere dalla frustrazione. Consideralo piuttosto un incentivo ad imparare l’arte della Persuasione, in modo da saper aggirare con grazia le resistenze dei tuoi interlocutori.
Cosa ne pensi?

Sono Consulente, Formatore e Coach. Ma anche podcaster, scrittore, cuoco, giardiniere, marito e padre. Studio modelli di Comunicazione e Problem Solving, e li uso per aiutare le persone e le aziende a risolvere problemi apparentemente irrisolvibili, o a raggiungere obiettivi incredibilmente sfidanti, che di solito hanno a che fare con la gestione del cambiamento, la leadership, e la negoziazione. Insomma, un po' un Mr. Wolf, senza però tutto quel sangue, rughe e papillon.