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Sono stata truffata da una comitiva di disabili, eppure mi sento cattiva

Sono stata truffata da una comitiva di disabili, eppure mi sento cattiva

Mi scrivono:

“Ciao Iacopo, mi prendo la libertà di darti del “tu”, spero non ti dispiaccia. Ti seguo da molto e ti stimo tanto, ma ho bisogno di raccontarti un fatto successo ormai diverso tempo fa.

Sono proprietaria di un piccolo locale in una via importante nell’Appenino toscano: mercoledì pomeriggio si è fermato un pulmino con dei ragazzi disabili per varie tipologie. Il pulmino, non essendoci molto parcheggio, si è allontanato e i ragazzi sono entrati chiedendo di usare il bagno. Ovviamente noi abbiamo il bagno per disabili, così li ho fatti accomodare chiedendo loro scusa per averne a disposizione soltanto uno, quindi avrebbero dovuto aspettare e fare un po’ di fila. Un ragazzo scocciato mi ha sbuffato in faccia, ma ve bene, non importa, capisco il disagio di far aspettare mezz’ora una persona che ha un impellente bisogno del WC.

Man a mano che uscivano i ragazzi hanno chiesto di consumare dicendo di aver lasciato i soldi nel pulmino (tutti, nessuno aveva il portafoglio, ammetto di essermi un po’ insospettita ma allo stesso tempo mi sono sentita una merda per averci pensato). Così hanno iniziato a chiedere panini, brioches, patatine ecc… facendomi tutti vedere cosa prendevano in modo da poter poi fare il conto quando il pulmino sarebbe arrivato.

Ho servito circa venti ragazzi che poi si sono accomodati fuori all’ombra a respirare l’aria fresca della montagna, sorridendo e sembrando tranquilli. A quel punto mi è arrivata gente, così ho allontanato la mia attenzione da loro, notando solo arrivare il pulmino per poi vedere i ragazzi iniziare a salire: il ragazzo dello sbuffo precedente mi dice: ‘li faccio salire, prendo i soldi e arrivo’, io rispondo sorridendo ‘okay, tranquillo, io sono qui fino alle 21:00’.

Ho continuato con il mio lavoro servendo i miei clienti, finché non mi sono accorta che il pulmino se ne era andato: se ne sono andati senza pagare, senza farsi il minimo scrupolo nel consumare 76,00 euro di roba e non pagarla.

Era qui che volevo arrivare, al fatto che io mi sono sentita a disagio nel pensare che volessero fregarmi, che volevano rubarmi la roba facendo leva al buonsenso e al disagio che una persona “normodotata” avrebbe potuto avere pensando al fatto che una persona con qualche problema avrebbe voluto fregarla. Certo, la vita di una persona con disabilità rispetto a quella di chi non ha apparenti problemi fisici è sicuramente più difficile, meno agiata e piena di ostacoli creati da limitazioni di qualunque tipo, ma il messaggio che vorrei tu facessi passare è che non tutti i disabili sono brave persone, perché come i “normodotati” ci sono persone oneste e quelle disoneste, gli educati e i maleducati, i rispettosi e gli irrispettosi, i criminali e non…

Chiedo scusa se ti ho fatto carico di questa storia difficile da proporre al pubblico senza urtare i sentimenti di nessuno. Grazie per ciò che fai e per come ti prodighi per la sensibilizzazione al tema della disabilità, un abbraccio.”

Cara amica, inizio subito (a scanso di pietismo) augurandomi che tu abbia dei riferimenti, ad esempio la targa del bus, per effettuare una denuncia verso chi di dovere. In questo caso non esiste “noi” e “voi” (non dovrebbe esistere mai, essendo una separazione discriminatoria), non esiste alcuna disabilità e alcuna “specialità”: esistono regole, educazione e rispetto. Esiste senso civico ed etico.

In seconda battuta, ci tengo a sottolineare quanto io costantemente cerchi di “normalizzare” la disabilità proprio attraverso la cinica ammissione che gli str**zi sono str**zi a prescindere. Questo, soprattutto, lo si fa anteponendo la “persona” alle insulse e melense descrizioni che spesso vengono associate alle persone con disabilità: tutte buone, tutte sorridenti, tutte brave e capaci, tutte sensibili, tutte SPECIALI… Assolutamente no!

In conclusione, non devi assolutamente sentirti in colpa per aver percepito qualcosa di sospetto, anzi. Il tuo presentimento è un barlume di speranza, significa che non hai usato il filtro del pietismo e della compassione per guardare chi avevi di fronte, ma ti sei soffermata all’essenziale: alla situazione e al gesto in sé, a prescindere da chi lo stesse facendo in quel momento. E così dovrebbe essere sempre.

Grazie quindi per averci ricordato che il miglior modo per abbattere le barriere sociali e culturali sarà sempre quello di trattare l’altro, apparentemente “diverso”, esattamente nel modo in cui tratteresti qualunque altra persona. Solo così, un giorno, riusciremo a non farci distrarre più dalle disabilità di qualcuno, considerandolo solamente per ciò che egli rappresenta. Nel bene e nel male.

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