Ventotto anni, vive in provincia di Firenze, è laureato in…
Sono tantissimi i commenti che, in maniera più o meno invadente, più o meno improvvisata, più o meno delicata, stanno colpendo la storia dell’olandese Noa Pothoven, la 17enne che si è lasciata morire rifiutando le cure poiché le era stata negata l’eutanasia legale (richiesta per una forma gravissima di depressione, sopraggiunta a causa di due violenze sessuali subite da piccola, evidentemente da lei giudicata irrecuperabile). Ne avevo parlato anche per TPI con un articolo che è diventato virale sul web, superando le 57.000 condivisioni!
Pochi però, in questo mare di giudizi social, stanno entrando nel merito della questione senza lasciarsi andare a irrispettosi complottismi o insindacabili sentenze contro genitori, medici, Stato tutto. È molto facile infatti lasciarsi andare senza avere i giusti strumenti per maneggiare con cura la questione, evitando discorsi da bar che rischiano solamente di banalizzare il tema oltre che di calpestare ancora la dignità della povera ragazza.
Per questo motivo ho deciso di pubblicare il commento di un cara amica psicologa e psicoterapeuta che, per quest’occasione, ha deciso di restare anonima, sia per rispettare Noa sia per non darsi in pasto al web che, nello scontro delle opinioni, sa essere molto feroce soprattutto per chi non ci è abituato.
Buona lettura, e un abbraccio a Noa ovunque sia.
“Scrivo e non mi fermerei più perché questo fatto di cronaca apre a mille riflessioni. Mi concentro sul rispetto, in particolare, e sull’incapacità di vedere la persona, non solo le sue scelte.
Un grande problema è che molti si sentono in diritto di giudicare il dolore altrui. Un grande problema è che spesso si giudica senza avere le conoscenze né le competenze per farlo.
Un grande problema è che si strumentalizza ogni notizia e la si porta verso il nostro modo di pensare. Un grande problema è l’ignoranza.
Nessuno dovrebbe avere il diritto di giudicare come viviamo il nostro dolore. Nessuno dovrebbe avere il diritto di sminuire il nostro malessere e le nostre scelte.
Un grande problema è che in pochi conoscono l’empatia, la capacità di comprendere le emozioni dell’altro. Siamo troppo abituati ad evitare le nostre per capire quelle di un’altra persona. Ognuno, con i suoi vissuti, la sua storia, le sue risorse, la sua energia, reagisce o non reagisce. Si ammala o non si ammala.
Perché lei non ce l’ha fatta e un’altra persona sì? Siamo sinceri… è davvero la domanda giusta da porsi? In quanti possono davvero capire quello che ha vissuto Noa? Nessuno. Perché nessuno è Noa. Anche la storia più simile non può essere paragonata.
Non sarebbe forse più corretto il silenzio e la riflessione intima?
Si sarebbe potuto fare di più? Forse. Forse sì, forse no. È andata così però… e sul passato non abbiamo un potere.
Ricordiamoci che nessuno (NESSUNO) può aiutare una persona che ha deciso di non farsi aiutare. Dobbiamo essere capaci di accettare anche questo. E rispettare la scelta della persona, restandole vicino, cercando di farla sentire comunque accolta e rispettata.”
Cosa ne pensi?
Ventotto anni, vive in provincia di Firenze, è laureato in Scienze Politiche (curriculum in "comunicazione, media e giornalismo"). Prova a raccontare le storie degli altri come giornalista, scrittore e attivista per i diritti umani e civili. Vincitore del Premio "Cittadino Europeo" e nominato "Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana" da Sergio Mattarella. Presidente della Onlus #Vorreiprendereiltreno.