All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in…
Chi ha detto che “Il lunedì non è un giorno della settimana ma uno stato d’animo” probabilmente aveva ragione.
Da quando abbiamo fondato Purple & People, vedo viola dappertutto; per questo stavo cercando su YouTube delle vecchie performance di Prince, famoso per la sua Purple Rain, e sono inciampato nel tributo che Justin Timberlake gli ha dedicato al Super Bowl 2018.
Il Super Bowl è la finale del campionato della NFL, la lega professionistica di football americano degli Stati Uniti ed è una cosa enorme: l’evento sportivo di tutti i superlativi, con 100 milioni di spettatori in diretta, 1 miliardo in differita mondiale, 5 milioni di dollari per uno spot pubblicitario di 30 secondi, faraonici concerti di metà tempo con artisti come Lady GaGa, Madonna, Beyoncé o, appunto, Justin Timberlake. Che intona “I would die 4U” e qualcuno devo pure averglielo augurato sul serio. Però il palco è viola.
Non ho trovato informazioni sul livello di gradimento dell’intervallo musicale, ma in compenso ho letto delle statistiche del Super Bowl piuttosto interessanti. Ad esempio, pare che sia il giorno in cui gli Americani consumano più cibo in tutto l’anno, fatta eccezione per il pranzo del Ringraziamento; ma ancora più sorprendente è il fatto che 15 milioni di lavoratori il giorno dopo si daranno malati. Il fenomeno è talmente conosciuto che ha persino un nome: il “Super Sick Monday”.
Ma non è il solo lunedì in cui si preferisce restare a letto: ricordo che c’era uno studio di Mercer che stimava le assenze malattie del primo giorno della settimana al 35% del totale. È comprensibile, mi dico io: sarà qualche milione di furbetti che vuole fare il week-end lungo e sono sicuro che succede la stessa cosa a ridosso del sabato. E invece no. Con sorpresa, leggo che il venerdì è il fanalino di coda dei giorni preferiti dagli assenteisti, con un modestissimo 3% del totale.
Adesso, Super Bowl a parte, ci rendiamo conto dell’impatto economico di un fenomeno di questo tipo? Secondo la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il conto da pagare per le assenze malattie è in media di 2.15% del prodotto interno lordo di una nazione. Prendo la calcolatrice e faccio due conti: ogni anno i lunedì di malattia costano alla società italiana 14 miliardi di Euro, e 4.7 miliardi di Franchi in Svizzera.
Chiaro perché alcune aziende hanno introdotto alcuni controlli supplementari se la malattia cade subito dopo il week-end. D’altro canto i datori di lavoro che danno fiducia ai propri collaboratori, ad esempio introducendo lavoro flessibile e smart working, sembrano diminuire le malattie legate allo stress in modo significativo. Non è poca cosa: la depressione rappresenta fino al 7% di tutte le assenze malattia sul posto di lavoro. La prevalenza è il doppio nelle donne e aumenta progressivamente con l’età.
Quindi, al di là delle misure di contenimento (o di repressione, genere certificato medico obbligatorio) che non vanno all’origine del problema, perché le persone se ne stanno a casa? Alcuni sono malati di sicuro (statisticamente un 15-20%), ma gli altri? Troppo stanchi dopo un week-end di fiesta e bagordi? Troppo stressati per avere il coraggio di tornare in azienda?
Il fatto stesso che non ci siano studi approfonditi sull’argomento è allarmante, perché vuol dire non abbiamo ancora preso le misure del fenomeno. O lo consideriamo inevitabile? Non saprei dirlo, un po’ come questa cover di Prince, che non mi convince.
Cosa ne pensi?
All’età di tre anni ho deciso di diventare vegetariano; in seconda elementare, la maestra ha convocato i miei genitori perché “non era normale” che un bambino conoscesse tutti i nomi dei funghi in latino; a 13 anni ho amato per la prima volta senza sapere che non era amore; a 15 ho smesso di fare decathlon perché odiavo la competizione; ancora minorenne, sono stato processato da una corte marziale. A 20 anni mi sono sposato e a 23 ho divorziato; a 25 anni dirigevo una start-up che ho fatto fallire; a 29 ho avuto la meningite, sono morto ma non ho saputo restarlo. A 35 anni ho vissuto una relazione poliamorista e sono diventato padre di figli di altri. A 42 mi sono licenziato da un posto fisso, statale e ben pagato per fondare l’Agenzia per il Cambiamento Purple&People e la sua rivista Purpletude. A parte questo, ho 20 anni di esperienza nelle risorse umane, ho studiato a Ginevra, Singapore e Los Angeles, ho un master in comunicazione e uno in digital transformation e ho tenuto ruoli manageriali in varie aziende e in quattro lingue diverse: l’ONG svizzera, la multinazionale francese, le società americane quotate in borsa, la non-profit parastatale. Mi occupo soprattutto di comunicazione del cambiamento, di organizzazioni aziendali alternative e di gestione della diversità – e scrivo solo di cose che conosco, che ho implementato o che ho vissuto.