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Non dite più che i commerciali servono a vendere. Servono per dare la colpa a qualcuno.

Non dite più che i commerciali servono a vendere. Servono per dare la colpa a qualcuno.

C’è una parola che – a prescindere che si parli di azienda piccola, media o grande – esiste sempre, ma non si menziona mai: “scarica barili”. Il termine inglese forse è più affascinante e non lascia ambiguità: Scapegoat, che si traduce con il nostro “capro espiatorio”.

Crisi aziendale? Commerciali VS CEO

In un mondo ideale, e le aziende non lo sono, ognuno si assume la propria responsabilità: dall’ultimo stagista appena assunto all’amministratore delegato (brevemente d’ora in avanti CEO).
Il problema è che di rado questo avviene. La lista delle potenziali crisi aziendali è piuttosto articolata e lunga, quindi mi concentrerò su quella che, a mio avviso, è una delle più classiche: il fatturato.

In un’azienda il fatturato forse non è tutto, ma è un buon indice per capire la salute di una entità profit (in vero anche nelle no-profit ma lì il discorso è più lungo)!

Chi produce fatturato, leggasi soldi, è il commerciale. Nel tempo questa parola e funzione si è evoluta: post-sales, pre-sales, sales advisor, account (da non confondersi con l’accountant) più le cariche apicali come il sales director, sales manager etc..

Al netto della passione per le aziende italiane di titoli e lingue straniere, se il commerciale non vende, sono problemi seri.

Uno dei classici errori di un’azienda o, meglio ancora che il CEO di un’azienda può fare, è, per scusarsi di fronte agli azionisti o al Consiglio di Amministrazione (nel caso più ridotto per scusarsi di fronte a sua moglie alla quale non può comprare la collana di perle nuova), scaricare la colpa del mancato fatturato sui commerciali.

Ora non è mia intenzione difendere i commerciali a spada tratta, tuttavia sarebbe opportuno fare un ragionamento più ampio.

Tecnologia e innovazione

Attualmente continuano ad uscire nuovi software per gestire le vendite. Sono utili? Sì e no. Una delle massime aspirazioni di un CEO è di avere pochi problemi.

Di solito il pensiero classico è “ho un prodotto/servizio che solo io posseggo (siamo 8 miliardi sulla terra, forse qualcun altro potrebbe avere soluzioni simili), i miei commerciali non devono far altro che venderlo. Come dire si vende da solo!”

Le tecnologie digitali possono aiutare in varie sezioni. Generazione di contatti (si dice anche Lead generation): una serie di strategie che, combinando software automatizzati (ma che qualcuno deve comunque programmare) e piattaforme sociali (Facebook, LinkedIn, Twitter scegliete voi) possono generare richieste di contatto.
Sia che si tratti di una richiesta di contatto via LinkedIn o una mail, il gioco non cambia: un potenziale cliente si affaccia alla porta.

Ci sono poi i software di efficienza, Pipeline tanto per fare un nome, che come i vecchi database permettono sia al commerciale che al “capo” (che si tratti di direttore commerciale o del CEO/padrone, cambia poco) di controllare quanti clienti ci sono in lavorazione (leggasi nella pipeline, da cui il nome del programma). Anche in questo caso uno strumento ottimo, come molti altri.

Di recente sono usciti anche software che funzionano come una specie di app per appuntamenti. Solo che invece di trovare il biondo o la bionda del vostro cuore potrete trovare (si fa per dire) un potenziale cliente. Persino LinkedIn ha questa funzione di proximity.
La logica di queste app ammetto mi sfugge. Se parliamo di un mondo B2B, dove la discussione tra un venditore e un buyer (o figure più apicali come un CFO, un CEO etc..) è per lo più basata su razionalità e scontistiche… avere la app che mi lampeggia e mi dice che c’è un mio potenziale cliente vicino mi sembra poco pratico.

Ad ogni modo tutte queste soluzioni, e altre che arriveranno sul mercato, si basano sul concetto che il commerciale sia una persona digitale. Siamo sicuri?

L’età media di un commerciale in un’azienda italiana, se parliamo di una persona strutturata e non un junior, si aggira sui 35-40 anni. In teoria un’età che permette di essere digitali. Tuttavia resta da comprendere quanto il commerciale sia disposto ad essere digitale e soprattutto se ne tragga beneficio.

Stiamo parlando ovviamente di commerciali assunti in azienda, di fatto dipendenti, che possono avere accesso a formazione continua sulle nuove tecnologie.

Se parliamo di agenti di commercio, ovvero il prodotto più ricercato dalle aziende così “li pago solo a fattura incassata”, il costo per una formazione continua appare già un ostacolo, quindi questa “digitalizzazione “ non è da considerarsi così automatica.

Stress commerciale

Vendere, stressa, inutile dirlo. Chiunque sia stato nella vendita B2B può confermarlo.
In un mondo ideale il commerciale dovrebbe essere libero di fare una sola cosa: vendere. Niente burocrazia, niente report da siglare, niente P&L, niente recupero crediti.

Tuttavia negli ultimi anni le aziende (specialmente quando scendiamo di dimensioni con aziende medio e/o piccole) hanno caricato sempre più spesso il commerciale di ruoli che non gli competono, o mansioni che potrebbero essere gestiti altrove.

Si consideri, per fare un esempio, tutta l’attività di recupero crediti. La logica, specie nelle Pmi è stile “be’ il cliente è tuo, tua la responsabilità di farti pagare”. La cosa ha senso se si discute di aspetti relazionali, ma può diventare un evento che riduce il tempo di vendita di un commerciale.

Stessa cosa si dica per la reportistica: nelle grandi aziende esiste ed è un tempo perso sulla vendita, nelle piccole e medie, se esiste, spesso è ancora fatta a mezzo Excel. Un programma di per sé valido ma che non fa miracoli.

Inoltre, succede che i software di vendita avanzati non sempre vengano assorbiti dall’intera media impresa, che si ritrova con commerciali più “avanti” che li usano e quelli più “anziani” che lo trovano un ingombro.

Prodotti nuovi?

Che un commerciale venda un prodotto o un servizio ha sempre un problema. Quello che vende deve piacere. Detto così è semplice, ma un’azienda non può sfornare un prodotto/servizio nuovo ogni mese. Un ciclo medio di un’azienda implica di solito almeno un anno.

Tornando al nostro mondo ideale, un’azienda, modernamente strutturata, opera con una serie di strategie di integrazione dei feedback. Detto in parole semplici un’azienda riceve complimenti, lamentele e suggerimenti dagli stessi clienti e evolve il suo prodotto o servizio in virtù della domanda del mercato.

Se da un lato questo percorso può avvenire in parte grazie al mondo digitale (dai feedback raccolti in rete sulle piattaforme sociali a sistemi integrati di gestione di prodotti o servizi tramite routine automatizzate dagli RFID in poi) l’altra voce importante da tenere sott’occhio sono i commerciali.

In quanto in prima linea sono i primi a tornare in azienda con opinioni dei clienti.

Di solito le opinioni sono divise in due grandi macro aree: costi e risparmi. Quanto un prodotto o servizio fa risparmiare o fa guadagnare è, spesso, la prima se non l’unica voce che interessa all’azienda cliente.

I commerciali sono ascoltati dalle aziende?
Sì e no.

Spesso nelle medie imprese c’è cecità nei confronti dei commerciali. E la frase più (ab)usata è:

“tu pensa a vendere, al resto ci pensiamo noi”.

Una risposta del genere, per un commerciale, è motivo di stress. Specialmente se non è un dipendente ma un agente di commercio.

Possiamo dire che i commerciali sono coloro che fanno andare avanti un’azienda?
Si.

Ovviamente non si può fare di tutta un’erba un fascio, ma se un’azienda non fattura, non va avanti.

I commerciali sono sempre compresi?
Purtroppo no.

Il fenomeno non è nuovo. Già nel 2008, la CBS tracciava il fenomeno dei commerciali sfruttati e incompresi. E non parlo di Italia ma di America, che, spesso, viene considerata la nazione che più esalta i commerciali.

Dopo il crollo del 2008-10 (se parliamo del rimbalzo sulle vendite) le cose non sono veramente migliorate. Nemmeno 10 anni dopo, Forbes tracciava uno scenario simile, dove spiegava quando e come il tuo “boss” possa avere necessità di trovare uno scarica barile… tu.

Ora senza poter trovare una soluzione a tutto, consideriamo cosa si dovrebbe fare, quanto meno osservando la “crisi dei commerciali” in una discussione di amplio respiro.

Caso classico, l’azienda è in crisi perché non vende. La colpa è ovviamente dei commerciali che sono “spompi” o non sanno più vendere come un tempo.

Fa nulla se negli ultimi 5 anni il mondo si è evoluto: se non si vende, sarà sempre colpa del commerciale.

Alcune utili riflessioni tanto per comprendere se è veramente colpa del commerciale.

  1. Negli ultimi anni l’azienda ha investito in innovazione dei processi (dalle sopra menzionate applicazioni commerciali a software più complessi di CRM o PLM)?
  2. Negli ultimi anni il dipartimento comunicazione e marketing dell’azienda come ha posizionato il brand e come lo sta promuovendo? Premesso che lo stia promuovendo.
  3. Quali sono le scelte in ambito di finanzia ordinaria e straordinaria che l’azienda ha affrontato? Nella gestione degli UTP (al cui interno rientrano sia i crediti ai fornitori sia quelli da gestire dei pagamenti) che strategia è stata adottata? O si è preferito lasciare tutto sulle spalle dei commerciali perché “il cliente è loro”?
  4. In ambito di ricerca e sviluppo quali sono stati i feedback raccolti dall’azienda (anche ascoltando il front office che significa comunicazione, marketing e commerciale)? Ci sono stati nuovi prodotti o servizi lanciati o in lancio? Oppure ci si affida al commerciale che deve vendere perché “è il suo lavoro e il prodotto è il migliore del mondo”?
  5. La forza vendita è stata valutata e formata continuativamente? I “giovani” hanno modo di approfittare dell’esperienza dei “vecchi” e viceversa?

Sono domande semplici ma, spesso i CEO o gli imprenditori non se le pongono. Tanto, se non si vende, è sempre colpa dei commerciali che hanno in mano un prodotto/servizio d’oro, ma non sanno fare il loro lavoro…

E intanto l’azienda affonda.

 

@enricoverga

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