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Non mi hanno mai insegnato a perdere

Non mi hanno mai insegnato a perdere

Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con metodi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so. E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù.

Pier Paolo Pasolini

Comincio da una domanda che mi sta molto a cuore, molto in testa e molto in pancia. 

Perdere serve? 

Cioè, perdere ha una sua invisibile utilità? Se giochiamo per vincere, a cosa serve perdere?

L’anziano saggio del villaggio risponde così: “Se non servisse proprio a nulla, non avrebbero inventato la sconfitta”.

Anziano saggio, io ti rispetto. Sia perché sei saggio, sia perché sei anziano. 
Ma guarda che non ti capiscono mica tutti. Per farti qualche esempio…

Il padre – invasato – del ragazzo di 12 anni che gioca nella squadra di calcio di provincia.
Non ti capisce, perché vorrebbe che suo figlio fosse già Cristiano Ronaldo. Invece suo figlio è semplicemente molto scarso e lui questo non può accettarlo.

I tifosi – neurologicamente svantaggiati – che dedicano tempo a insultare i giocatori della squadra avversaria e i tifosi di quella squadra. 
Non ti capiscono, perché non sono stati aiutati a comprendere la sconfitta. Figuriamoci ad accettarla.

Il presidente che investe milioni perché vuole vincere campionati e coppe. Ma la sua squadra non vince perché – dice lui – i torti arbitrali hanno favorito la squadra privilegiata. 
Non ti capisce, perché è sostanzialmente un imprenditore incompetente, circondato da collaboratori ancor più incompetenti. Ma questa, per lui, è una versione inaccettabile.

Purtroppo hanno inventato la sconfitta

Purtroppo qualcuno ha inventato la sconfitta. Molto tempo fa. 

Così poi ci è arrivata sui denti, fin da quando eravamo piccoli. Anche più volte e anche da grandi. Più volte, in forme diverse, con suoni diversi (sempre un gran male, in ogni caso). 

La sconfitta è dolorosa come una sberla in faccia, vero? 

Ti fa rimpiangere di esserti messo in gioco. Ti fa maledire di averci provato. Ti fa pentire di aver dedicato tutto quel tempo, per poi rimanere lì come un idiota a guardare gli altri festeggiare.

Eh… magari fossi un idiota.

Non capiresti nulla e non avresti preoccupazioni.
Invece tu hai compreso che perdere significa proprio toccare il fondo. 
E sei lì, adesso. Lì nel fondo, dove c’è buio. 
Dove nessuno ti disturba con luci accecanti. Dove non ti chiedono come hai fatto a perdere. Non te lo chiedono perché, in questo momento, per loro non sei interessante. 

Lì nel fondo puoi sentire il freddo che ti entra nelle ossa. Lo senti?
È il freddo della delusione sportiva e, paradossalmente, è ciò che ti serve. 
Beh, ti serve anche un buon maestro vicino, che sia maschio oppure femmina. Ma quelli a volte li riconosci solo col tempo.

Dicevo… è la delusione che ti fa capire lo sport, mica la vittoria.

La vittoria ti fa capire la gioia. Ma tu hai bisogno di capire lo sport.
E quando lo capisci, a quel punto ci arrivi. Come fosse un’illuminazione divina, arrivi a capire che devi essere disposto a perdere. Di più: che hai bisogno di perdere.

Più volte. Anche da grande. Anche se pensavi che fosse il momento giusto per vincere.

Il fondo è il punto migliore per risalire

A quel ‘punto della storia’, lo sai. E non hai bisogno che uno scriva un post su Purpletude per dirtelo. 
A quel ‘punto del mondo’, non tocchi solo il fondo. 

Mentre senti gli echi dei festeggiamenti altrui, ti accorgi che quella sembra essere la migliore posizione. 
La migliore posizione per tornare a spingere verso l’alto e risalire è quella dove sei tu.

Non è il podio.

E mentre spingi e muovi le gambe, risali.
E mentre risali, riassapori il gusto dell’allenamento.
E mentre fai fatica ad allenarti – come altre migliaia di volte – ti ricordi il desiderio.

Il desiderio di vincere non è mai tramontato, vero? Non è mai svanito e non è mai stato sostituito.

La fame nemmeno. La sete nemmeno. La grinta nemmeno.

 

Fin da bambino mi hanno fatto detestare la parola “fallito”. O meglio, mi hanno fatto detestare il disprezzo con cui veniva pronunciata.
Sembrava che il fallito fosse un appestato, da purificare o eliminare. Sembrava che ci fosse solo una possibilità: avere successo. E averlo al primo colpo.
Io invece vi chiedo di imparare a perdere. 
Io vi chiedo di insegnare a perdere.

 

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